Generazione che sale

Scuola Media Cassinis – Classe III E

Progetto Riguarda Niguarda

Testi autobiografici classe 3E, età media 13 anni – scuola media Cassinis – Milano – gennaio/aprile 2015

Professoressa referente: Cinzia Cirillo

 

NOEMI S.

  • Il mio albero

E’ un caldo giorno estivo, il sole scalda qualsiasi cosa venga toccata dai raggi, in lontananza echeggia il risuonare delle campane che mi riporta in mente i ricordi di quando ero in montagna insieme alla mia famiglia. Adoro il caldo, mi sento come una lucertola che prende il sole su un muretto.

Chiudendo un attimo gli occhi sento risuonare le voci di Sara e Matteo che giocano a “ ce l’ hai”, che bel suono la voce soave di Teo, lui è un bellissimo ragazzo alto con dei profondi occhi marroni che spesso fissano il nulla, mi riempie il cuore e mi scalda ancor più del sole, e dopo un attimo … ce l’hai!

Sono estraniata, un dito ghiacciato ha interrotto la mia quiete affondando nella mia spalla, riapro gli occhi e improvvisamente tutti quelli intorno a me scappano:

-Oddio che ho fatto? Mi sembra di aver mollato una flatulenza.

-Niente, ce l’ hai tu! Mi dice Isabella, la mia migliore amica.

-Ce l’ho io? E che cosa?

-Oh, nulla, solo che tocca a te, devi inseguirci.

-Allora okay, scappa e io ti inseguo.

Dopo solo un secondo la calma e la tranquillità che fino a un attimo prima regnavano nella mia mente svaniscono, tutti i miei muscoli si attivano, pronti per mettersi in moto in una corsa sfrenata come quella di un predatore che insegue la sua povera vittima.

Sono la ragazza più veloce della mia classe, mi sento molto potente, non sono più la lucertola che prende il sole stesa sul muricciolo !!

-Ce l’hai!

Sotto il nostro albero sono finalmente riuscita a liberarmi dall’oscura piaga del “ce l’hai”.

-Ce l’hai!

( oh no! Mi ha ritoccato, non vale!)

-Ce l’hai!

(ok , così va meglio e ormai non riusciamo più a …)

-Ce l’hai!

-Ce l’hai!

-Ce l’hai!

-Ce l’hai! …

Ci guardiamo fissi negli occhi.

-Eh, chi ce l’ha ora.

-Non lo so,credo tu

Sotto al mio albero la corsa sfrenata si interruppe.

Questo albero è come un lacrimogeno naturale: mi fa ridere e commuovere! Quando ho tempo vengo qui per rilassarmi e ricordare i bei tempi passati con i vecchi compagni d’ avventura delle elementari, sotto la folta chioma di questa pianta. Avverto al tatto la diramazione delle radici al suolo e con la schiena appoggiata al tronco posso sentire l’inebriante profumo dei suoi piccoli semi spinosi in passato spesso ingrediente principale di pozioni magiche di streghe e stregoni. L’ombra proiettata sulla mia pelle mi rinfresca dandomi una pausa dalla calda afa estiva, i rami si intrecciano lasciando spazio a piccoli spiragli di luce che creano un’ atmosfera magica, le foglie creano un muro naturale intorno al tronco, ricordo ancora ciò che quel posto aveva significato per me, era stata una seconda casa, un luogo di sfogo, sia per motivi positivi spesso in compagnia dei miei amici più stretti che per negativi, sola con la mia mente. E anche quando, arrampicandomi a partire dal ramo più basso, arrivavo al più alto e mi pareva di essere sdraiata su un letto di foglie e rametti, incurante delle formiche che a volte trovavano posto nei risvolti della stoffa dei miei vestiti.

Ancora rimembro quando … dopo essere stata imprigionata giocando al gioco dei pirati ero stata legata, con la corda per saltare, al tronco del nostro albero. Intorno a me lo scenario era molto famigliare: davanti c’erano tre alberi e a destra un enorme anfiteatro, nell’anfiteatro un pittore aveva disegnato sulla parete delle immagini colorate, tutte le volte che ci passavo davanti vedevo la riproduzione de “lo Avatar”, una creatura blu che è la protagonista di un film che va tanto di moda, e che mi faceva rabbrividire e accelerare il passo per l’orrore. A destra vedevo poco, perché la mia testa era bloccata con un elastico stretta al tronco, ma sapevo con certezza che i miei compagni se ne erano già tornati in classe lasciando me imprigionata nella morsa oscura della temibile arma letale, la corda per saltare.

La resina scivolava lentamente giù dal tronco e mi colava nei capelli appiccicandoli fra loro più potentemente di qualsiasi gel, il liquido dorato scorreva lucente verso le radici e giungeva al colletto della maglietta venendo a contatto con la pelle, che schifo!!!.

Per togliere la giallastra resina dal collo mi ci vollero numerose docce!

Ma la cosa più brutta fu che suonò la campana e al suo trillio finì l’intervallo. “Esiste la parola trillio? Non lo so, però a me piace così quindi la uso”.

Tutti i miei compagni, dimenticandosi di me migrarono veloci verso le classi proprio come un gregge di pecore che corre verso un campo fiorito;

“oh, no! Come faccio adesso?” – mi sarebbe piaciuto tanto che il mio supereroe preferito fosse venuto a tagliare le corde con un fendente di sciabola, ma, purtroppo, era impossibile.

“Oh mio Dio, aspetta, aspetta … sta arrivando Matteo, allora qualcuno si è ricordato di me …”

Si avvicinava a passo veloce ma a me pareva ci impiegasse secoli, passo dopo passo era a metà del cortile, ingranava la marcia e fece una sgommata.

“Noo! Un testa coda! E’ inciampato! Si rialza! Si rialza! Una curva ????? Come mai una curva?? Io sono a sinistra perché va a destra?” Ah ecco, il mio baldo cavaliere si stava avvicinando al traguardo più velocemente di quanto velocemente colava la resina, ma il traguardo non ero io bensì la felpa da poco tempo dimenticata sulla panchina dello spiazzo.

“Sarà il caso di farmi notare”; urlai a squarciagola sperando di riuscire a farmi sentire, lui girò la testa proprio come una marmotta sotto il caldo sole estivo impaurita dalle aquile.

“Teo! Sono io! Mi avete lasciata qui da sola!”

“Arrivo Noe! Prendo la felpa, un secondo!”

“Ah, ecco, visto che avevo ragione, il suo obiettivo era la felpa!”

 Dopo qualche minuto (e menomale che era un secondo!)  arrivò e con una matita per sciogliere il nodo, il senso di libertà era troppo forte per curarmi del fatto che il supereroe non aveva pugnali ne altre spade ma solo una matita, comunque tutto era troppo inferiore al fatto che al mio ritorno in classe Betta, la mia maestra di matematica e scienze, mi avrebbe sgridato per il ritardo.

A passo lesto mi avviai verso la porta preparandomi ignara a ciò che mi aspettava …

MIANI

  • Il viaggio

Sono le 9,30, ho appena finito di mangiare, la macchina è pronta, io sono pronto!  Beh, al pensiero che finalmente andrò al mare … sono agitatissimo, mi batte forte, ma proprio forte il cuore; mi immagino già sulla spiaggia in costume da bagno, con la brezza che mi rinfresca e il rumore del mare che mi fa rilassare.

Mentre mi trovo in mezzo ai mi pensieri, mi accorgo che è giunto il momento; prima di salire in macchina concedo un ultimo sguardo a  casa  mia. La macchina è piena di bagagli di tutti i tipi e di tutte le grandezze: valigie di piccola taglia, blu, con piccole tasche, e grandi, nere, con poche tasche esterne.

Il viaggio che mi aspetta ha una durata di 12\13 ore: partiamo da casa mia a Niguarda, un quartiere nella periferia nord di Milano, per arrivare in Costa Brava, fino in Spagna! Farò tutta la costa francese e una parte di quella spagnola: già mi aspetto un viaggio estenuante, che non finirà più, con il cane che sta male … stare praticamente fermo per tutto questo tempo mi farà imbestialire; però sono sicuro che ne varrà la pena, devo solo tenere bene a mente la meta, ora si comincia …

E’ passata un’ora ed è estate buio pesto, abbiamo appena imboccato l’autostrada. Non va bene: già sono stanco e stufo: ho sonno e non riesco a dormire, quello stupido sedile mi fa venire mal di schiena, la macchina in certi punti traballa un po’.

Sono passate tre ore, ho quasi raggiunto il confine, tra poco arrivo “territorialmente” in Francia, non avrò neanche più la connessione … Questo non mi piace, visto che l’unico metodo per distrarmi dal viaggio è usare il cellulare.

Sono passate cinque ore, la mia schiena è a pezzi, non ho ancora chiuso occhio, anche perché devo aiutare mio padre con la cartina.

Sono passate sette ore, forse, ho detto forse, finalmente riuscirò a dormire, sono esausto, mi sembra quasi di aver fatto il tragitto a piedi …

Ho raggiunto Marsiglia, mi sono fermato in un parcheggio con un bar, così posso stiracchiarmi, bere qualcosa con caffeina, che mi sento stordito, e affrontare qualche ora in più di viaggio; anche se ormai i miei occhi si chiudono ogni tanto da soli, le gambe non le sento più, la schiena è a pezzi e il mio umore è un disastro.

Sono passate nove ore e finalmente riesco a dormire! Non ne posso più, quando mai  abbiamo deciso di andare in macchina …

Dopo finalmente dieci ore, ho raggiunto il confine, il sole è uscito e la temperatura sta aumentando, posso guardare il mare e notare la sua bellezza, la forza del vento notturno sta diminuendo; la mia agitazione sta aumentando … Non sto più nella pelle, ormai manca soltanto un’ora per arrivare all’appartamento che abbiamo affittato! Siamo arrivati! Sono felicissimo

Marco M.

  • La gara

Novembre 2012, sono in macchina con i miei genitori e mia sorella , è autunno, ci sono tante foglie secche lungo le strade, il cielo è grigio e la gente è numerosa sui marciapiedi, ma del resto siamo in città, a Milano.

Sono molto agitato, non faccio altro che pensare alla gara, sto sudando, abbasso il finestrino, mia sorella è seduta di fianco a me; anche lei dovrà partecipare, ma essendo la più grande del gruppo gareggerà con i più grandi, più tardi.

Mentre continuo a pensare alla gara non mi accorgo che abbiamo parcheggiato, devo scendere, prendere la borsa ed entrare in piscina. Rispetto alla piscina dove mi alleno (la Suzzani, quella con le vetrate, lungo lo stradone del mio quartiere, a Niguarda) questa è un castello. L’aria è fredda e solo l’idea di dover entrare in acqua mi fa rabbrividire. Entro nella reception, saluto i miei genitori e mia sorella che si dirigono verso le tribune, ora sono solo e il momento della gara è sempre più vicino.

Fosse per me non l’avrei mai fatto; ne la gara ne il corso di nuoto, mia madre insiste da quando sono piccolo; nemmeno io posso negare che fare nuoto sviluppa molto il fisico. Mi dirigo verso gli spogliatoi, sono enormi, i soffitti sono abbastanza alti e mi mettono in soggezione.

C’è un corridoio con a destra delle cabine e delle panche, mi dirigo verso una di esse, entro e comincio a prepararmi. Dopo aver indossato cuffia, costume, ciabatte e occhialini esco dalla cabina e mi dirigo verso le vasche. Ci sono tantissimi ragazzi nel corridoio, sono tutti qui per la gara.

Arrivato nella sala delle vasche mi viene incontro Alessandro, il mio istruttore, è un ragazzo abbastanza alto, con i capelli biondi e con un fisico da nuotatore; la piscina è profonda almeno cinque metri, alla mia destra ci sono gli spalti sui quali siedono i genitori, saranno almeno duecento persone, ora l’agitazione è ancora più forte. Cerco di incrociare gli sguardi dei miei genitori, dopo qualche secondo riesco a trovarli,  mi salutano sorridendo, mia sorella mi guarda e dice qualcosa ai miei, che si mettono a ridere: colgo le espressioni, non capisco bene cosa significhino … siamo lontani.

Con Alessandro salgo sugli spalti alla mia sinistra, dedicati a noi “atleti”; arrivati sugli spalti ci sono dei ragazzi della mia stessa piscina, li conosco solo di vista ma mi basta per essere più tranquillo. A questa gara partecipano molte delle squadre delle piscine di Milano, quindi i ragazzi non si contano. Io farò i trenta metri a stile libero, pur essendo una sola vasca dovrò farla al massimo della velocità, contro altri sette ragazzi.

Mentre sono sulle tribune faccio conoscenza con Timothy, un ragazzo del 2000. Lui ha molta più voglia di fare la gara, a differenza mia, gli spiego che sono li non per mia scelta e intanto che sto raccontando di me Alessandro mi chiama dicendomi che è il mio turno.

Mi preparo davanti alla vasca, il cuore mi batte forte e sono molto agitato. Se arrivassi ultimo? Il mio istruttore cosa direbbe? Nel momento in cui mi sto ponendo queste domande l’arbitro fischia l’inizio della gara, di colpo mi “sveglio” e mi tuffo in acqua, inizio a nuotare velocemente, respiro ogni cinque o sei bracciate per andare ancora più veloce e non rallentare il ritmo, ci vuole metodo, mi concentro. In venti secondi finisco la vasca, sono arrivato quarto su otto ragazzi, un risultato mediocre, potevo fare di più.

Esco dalla vasca e torno negli spogliatoi, mi cambio in silenzio ed esco dalla piscina e con i miei genitori mi dirigo verso casa, in silenzio, abbastanza deluso dal risultato, sollevato per essermi liberato dall’ansia da prestazione per la gara.

KATIA C.

  • Non mi dimentico

Sono andata a dormire da mia nonna, con mia mamma e mia sorella. Durante la notte mia nonna sente un respiro faticoso: sono io, ho otto mesi; è spaventata, chiama mia mamma e mio nonno, mi portano all’ospedale e mi ricoverano nel reparto di rianimazione. Dicono che ho la broncopolmonite aggravata dalla la bronchiolite, nel frattempo è arrivato mio papà. Sono collegata a tanti tubi, fuori ci sono tante persone preoccupate per me, anche colleghi di mio padre e la mamma della migliore amica di mia sorella. Di fianco a me è arrivato un bambino, ha cinque mesi e forse il mio stesso problema o più grave. E’ passata una settimana, il bambino di fianco a me non ce l’ha fatta … Mia sorella ha visto una piccola bara passare davanti a lei, spaventata, è corsa a vedere dal vetro se io ero ancora nel mio letto: c’ero. Durante i giorni all’ospedale mi è uscita una macchia rossa sul petto, mio papà, spaventato sempre di più, chiama il dottore che, insieme ad altri due dottori e tanti infermieri, iniziano a farmi delle analisi; mi sento in trappola, già i tubi che ho da due settimane mi danno fastidio e ora ne mettono altri e, come se non bastasse, mi prelevano pure il sangue e mi fanno analisi su analisi, non ce la faccio più!

Voglio tonare a casa! Dalle analisi risulta che sono allergica all’uovo. Sono passate tre settimane e mezza, finalmente mi stanno togliendo questi maledetti tubi; però non posso tornare a casa, mi spostano nel reparto di pediatria, dovrò restare ancora una settimana, non mi lasciano più uscire.

Mi sono appena svegliata, sono in braccio alla mamma e di fianco ci sono mio papà e mia sorella. Finalmente anche questa settimana è finita, mia mamma mi sta vestendo e mi riportano a casa. Basta ospedali per un po’!

Avendo otto mesi tutto questo mi è stato raccontato dai miei genitori, ora ho quattordici anni e ho raccontato tutto come se i ricordassi ogni cosa, non è proprio così … Mentre i miei genitori mi ripetono questa storia sono felici, anche commossi, ma certamente più felici perché i medici mi hanno salvato.

Io sono contenta e grata, soprattutto a mia nonna perché senza di lei non so se adesso sarei qui a scrivere la mia storia.

Daniel

  • Sono pronto ad entrare in campo

Sono alla fermata dell’autobus per andare all’aeroporto di Malpensa e partire con i miei compagni per  l’Inghilterra perché abbiamo un campionato da giocare e ci alleneremmo molto per poter vincere il campionato ed essere la migliore squadra del mondo. Vogliamo rimanere nella storia perché  negli ultimi giorni eravamo gli   ultimi nel campionato e abbiamo fatto la promessa di migliorare e di crescere di più  di tutte le squadre che ci sono e arrivare ad affrontare  la più forte. Quando siamo arrivati  in Inghilterra faceva molto freddo, ci stavano aspettando con l’autobus. Dopo una settima ci  prepariamo  per la prima partita. Ci vengono comunicati i nomi dei convocati per quella partita: il mio nome non c’è. Per fortuna abbiamo vinto: 5 a 1. Quando siamo tornati a casa eravamo felici per la prima partita vinta il mister era molto contento per come avevamo giocato. La settimana dopo mi sono allenato molto e per fortuna il mister mi ha detto che nella prossima partita avrei giocato.  Il giorno arriva: e’ un giorno bellissimo perché e’ quella della mia prima partita: mi alzo dal letto, mi vesto poi sento che stanno chiamando me e i miei compagni. Io scendo subito dalle scale, i miei compagni mi salutano. Alle ore 20:45 arriviamo allo stadio, sento dentro di me una grande emozione  e sento tutti i tifosi che cantano e lanciano petardi. Finalmente usciamo dal pullman e andiamo nello spogliatoio.  Il mister ci dice che dobbiamo vincere questa partita perché e’ molto importante per tutti .. “va  bene? ragazzi ok! salite in campo” … il titolare sono io e sono pronto ad entrare in campo. Poco dopo arriva l’arbitro: “siete pronti ragazzi? andiamo in campo”. Il momento è arrivato e sto per uscire per la prima volta. Mi guardo intorno e vedo tutti i tifosi che mi guardano. Al trentesimo minuto per fortuna ho segnato e abbiamo vinto 4 a 0 contro il Manchester.  Quando mi sono guardato intorno ho visto tutti i tifosi che fischiavano e gridavano il mio nome. Tornando agli spogliatoi tutti i miei compagni mi lodano: è il mio primo gol nel campionato, un mio compagno mi dice: “se continui cosi diventerai il giocatore più forte del mondo e vincerai molti palloni d’oro”. Penso a Cristiano Ronaldo che vinse nel 2015 tre palloni d’oro, e a Messi che ne vinse 4 nel 2014. Il mister mi dice: “sei molto forte ma ti voglio più cattivo! hai capito? forza Daniel, forza !!!”.

Incredibile ma vero, abbiamo vinto tutte le partite e io sono diventato  il giocatore più forte del mondo. Quando arrivammo in Inghilterra eravamo gli ultimi e adesso non posso credere che siamo i primi nel campionato. Dopo la finale sono entrato nella lista dei giocatori più forti al mondo ma non era ancora finita: dovevo arrivare primo per vincere il tanto atteso pallone d’oro. E finalmente arriva anche questo risultato: grazie al mio duro allenamento e ai miei gol l’ho vinto davvero io. Ho sentito una emozione cos’ grande che non saprei descrivere, ho anche pensato fra me e me che tutto questo me lo sono guadagnato non mollando mai. Le lacrime hanno iniziato a scendermi sul volto, per la felicità. Sono presente su tutte le tv, in tutte le radio,  famoso in tutto il mondo. Ringrazio i miei compagni e i mio allenatore perché senza di loro non ce l’avrei fatta. La mia famiglia davanti al pallone d’oro si lascia andare a  lacrime di gioia. Ora è il momento della finale contro il Real Madrid. Giochiamo allo stadio Santiago Bernabeu. Ancora una volta vedo la folla dei tifosi e penso che questa sarà la mia futura squadra. Appena salito in campo penso che da titolare giocherò per tutta la partita: obiettivo è vincere la coppa europea. La partita è intensa e il gol arriva al novantesimo minuto. Vinciamo 1 a 0. Ora siamo sul podio per ricevere la coppa e io realizzo: finalmente sono il nuovo Cristiano Ronaldo.

Fabrizio T.

  • Una grande voragine

Era il 19-12-15, ero appena uscito da scuola, un mio amico mi aveva chiamato chiedendomi se volevo andare con lui e altri suoi amici a festeggiare il suo compleanno. Gli avevo detto che prima avrei dovuto chiedere ai miei genitori. L’ho chiamato dopo pochissimi minuti per dirgli che ci potevo andare.

Sono andato in fretta e furia a compragli un regalo e rapidamente arriva l’ora di prepararmi per uscire. Mi metto una camicetta carina, un jeans classico in modo da non stonare troppo e mi faccio  trovare pronto sotto casa mia. Mi passano a prendere, tutti contenti, soprattutto il festeggiato. Stiamo andando al Bicocca Village, un grande centro commerciale poco lontano da casa, nella periferia a nord di Milano; Finalmente siamo arrivati! Noi maschi ci siamo tutti ma ovviamente delle ragazze, le solite ritardatarie, non se ne vede neanche l’ombra. Dopo circa quindici minuti però siamo tutti al completo. Finalmente possiamo giocare a bowling. Appena entriamo si sente una puzza di sudore disgustosa. Facciamo solo una partita, e ovviamente io sono il vincitore. Sono contentissimo!  Nella squadra delle ragazze ne intravvedo una proprio carina! Comincio a diventare rosso, così chiedo ad un mio amico come si chiama la ragazza, ma lui non mi risponde così chiedo ad altri chi sia ma non mi risponde nessuno. Dopo un pò di tempo trascorso in sala giochi, ci è venuta fame, così decidiamo di andare a mangiare al ristorante. All’improvviso ho davvero una fame tremenda! Ci sediamo tutti intorno ad un tavolo rettangolare in fondo al ristorate, è più isolato dell’ Isola di Pasqua. Come se fosse destino, quella ragazza si siede davanti a me, lei va in bagno con tutte le sue amiche e io con la scusa che mi devo lavare le mani la seguo insieme a un mio amico. Dopo aver mangiato una bella pizza calda e succulenta, iniziamo a dividerci naturalmente in gruppi. Sto parlando con il mio amico quando arriva anche lei e si unisce a noi, poi quasi tutti gli altri. Facciamo un Selfie e con la scusa di volere la foto mi faccio dare il suo numero. E’ arrivato il momento di scartare i regali e lei si siede vicino a me, e passiamo la serata così, finché non arriva il momento di andare a casa. Io le scrivo subito, solo che il telefono è scarico e mi si sta per spegnere, allora appena arrivo a casa faccio più in fretta possibile a metterlo sotto carica. Io le chiedo se le piaccio, fortunatamente mi risponde di si. Sono al settimo cielo! Il giorno dopo le chiedo se vuole mettersi con me, mi rispose di si! Passiamo quasi otto settimane senza che ci si veda, perché lei nel week end ha sempre impegni. I miei amici cominciano a dirmi che sono tutte scuse, ma io le credo. Finalmente dopo otto settimane la vedo, solo perché decido di andarla a prendere fuori da scuola. Quel giorno ci scriviamo tutta la sera, finché vado a dormire. La mattina seguente è il giorno di San Valentino. Prendo il telefono e vedo un messaggio nella barra delle notifiche, ero ancora mezzo rimbambito, vado a sciacquarmi la faccia e leggo il messaggio. Come avevo intuito la sera prima, lei mi scrive che mi lascia. Dentro di me sento come una voragine. Dopo un po’ si sveglia anche mio papà, vede che sto piangendo e mi chiede cosa sia successo: io gli  spiego tutto. Ma senza capirci comunque granché. Forse dovevo ascoltare i miei amici.

L'autore

El Ghibli

El Ghibli è un vento che soffia dal deserto, caldo e secco. E' il vento dei nomadi, del viaggio e della migranza, il vento che accompagna e asciuga la parola errante. La parola impalpabile e vorticante, che è ovunque e da nessuna parte, parola di tutti e di nessuno, parola contaminata e condivisa.