vengono pubblicati altri tre testi di quelli presentati al concorso. Al titolo “concorso Io scrivo”, sono già stati pubblicati i testi dei vincitori
Martin, la volpe e l’incomprensione di Ortiz Victor
-Che esagerato che sei!!!-
-Sei troppo ansioso!!!-
-Perché sei così nervoso!!!-
Queste sono alcune delle tante affermazioni che le persone gli dicono a Martin, una cosa del
tutto normale per lui. Ormai ha capito che questo è il mondo in cui vive, pronto a giudicare in
modo veloce e nervoso.
Tuttavia, ha iniziato a notarlo anche nelle persone della sua età. Un giorno Martin aveva fatto
notare agli altri una sua preoccupazione e coloro che lo stavano ascoltando hanno iniziato a
giudicarlo facendogli notare in modo rabbioso e irruento che si stava preoccupando troppo
per una cosa banale.
Stessa cosa gli hanno detto i suoi genitori e le persone più vicine a lui.
-Sei troppo esagerato!!!-
-Quanto rompi, sempre la stessa cosa!!!-
-Basta sei pesante!!!-
Si sentiva ripetere la stessa cosa.
Molte volte non capiva la loro reazione violenta e scomposta. Lui stesso si domanda se è una
persona pesante o esagera troppo con i suoi pensieri. Questo atteggiamente lo ha portato ad
essere sempre preso in giro, solamente perchè ha un carattere diverso dagli altri. Molte volte
si sente fuori posto. Sente di essere nato nell’epoca sbagliata.
Ha la percezione di essere scomodo per gli altri, che la sua presenza gli dia fastidio, e crede di
essere solo comodo quando per loro è vantaggioso. Pensa di essere il guastafeste di turno che
rovina il momento. Parecchie volte si è sentito fuori posto, inutile e frragile quando vuole
esprimere i suoi sentimenti.
-Sì sto bene…-
E la solita risposta che lui da a coloro che non lo capiscono e anche a quelli che lo prendono
sempre in giro.
-A loro cosa importa…- Ripete a se stesso -tanto nessuno mi capisce…-
Questa è la situazione di Martin e ogni volta che ci pensa diventa triste.
Ha paura di non essere capito. Ha il timore di rimanere incompreso e teme che
quell’incomprensione lo porti all’isolazione e alla completa solitudine.
Mentre pensa a tutto questo, cerca di non disconcentrarsi dal sentiero che sta percorrendo.
Victor Ortiz Racconto concorso
Camminare lo rilassa, lo porta a riflettere su tante cose, come ad esempio: le persone che ha
intorno a se. Decide di sedersi su un tronco, per riposarsi, non sa per quanto ha camminato,
non gli e mai importato.
-Come sarà il domani?- si chiede alzando la testa verso il cielo grigio che tenta
disperatamente di coprire il sole. – Riuscirò a farmi trovare qualcuno che mi possa capire?…-
-Perchè quelle domande?- dice una voce con tono saggio.
Martin ritorna in se sconcertato. Si guarda intorno…
-Dietro di te- dice la voce
Si gira, spaventato.
Vede una volpe seduta su una roccia che lo osserva.
-Perchè quelle domande? ripete l’animale.
-Tu parli- dice il ragazzo.
-Sì, perchè ti sorprendi?- dice la piccola volpe mentre inizia a camminare per avvicinarsi a
lui per vederlo da vicino -Ho sentito quelle domande e sono preoccupato- dice con tono
calmo -Capisco farsi domande del genere, ma non a questa età e con quel tono da resa- dice.
-Chi sei?- dice Martin.
-Io sono…- rilfette sulla risposta-colui che sono– dice la volpe
Martina inclina la testa, non ha capito.
-Vabbè, lascia stare, non importa ch’io sia, ma importi tu e ciò che ti voglio dire-
-Percepisco la tua rabbia e frustazione e la capisco-
-Non è semplice esprimere i tuoi sentimenti in questo mondo-
-Persone che riescono a non giudicarti quando apri bocca ce nè sono poche-
-Ma devi anche capire che la maggior parte degli essere umani non è fatta per ascoltare, ma
per agire. Sono come della macchineche gli ha costretti a tralasciare un sacco di cose, tra cui
quello di ascoltare i propri sentimenti.-
-Quindi mi stati dicendo che le persone sono diventate così perchè sono state obbligate-dice
Martin.
-In un certo senso sì ma devi anche capire che anche loro soffrono come tu ora stati
soffrendo, perchè non ti capiscono.-
-Se lo fanno è perchè loro come te si sentono incompresi perchè questo mondo.- -Questa
società non è fatta per comprendersi.- dice la volpe.
Martin è sorpreso, non l’aveva pensato così. Ora che ci pensa tutte le volte che si
preoccupava di qualcosa quasi nessuno interveniva per calamarlo, anzi lo ingnoravano
completamente. Guardavano tutti dall’altra parte, come se non esistesse.
Victor Ortiz Racconto concorso
-Ora che ci penso…- dice Martin. -Non l’avevo mai pensato così, quando mi ripsondono
male vedo nei loro occhi del dolore, ma non so se è dolore vero e prorprio.-
-Questo è dovuto al fatto che molte volte le persone non sanno mai come rispondere. Quando
ti rispondono cercano di far morire sul nascere il discorso perchè sanno che non li capirairisponde
la volpe. Hanno la colpa di non saper gestire le emozioni in quanto alle risposte
violente che qualche volta possono ferire.-
-Le parole fanno più male e sò che tu qualche volta lo hai subito-
-Sì è vero- dice Martin abbassando la testa. Inizia a singhiozzare.
Passa qualche secondo il cielo inizia ad aprirsi e i raggi del sole iniziano a cadere sulla foresta
umida e fredda in un tentativio disperato di ridarli vita. Colpiscono anche Martin in procinto a
piangere come se il sole tentasse di consolarlo con i suoi raggi.
-Gli odio…- Dice Martin con le lacrime agli occhi.
-Non devi- dice la volpe. -Devi volergli bene-
-So che è difficile per te sentire questa cosa ma… ascoltami. Anche io come tante altre
persone ero incompreso, soltanto che a me questo loro atteggiamento mi ha portato alla
morte.- dice la volpe.
-Mi hanno ucciso, perchè non erano persone ma erano dei maligni ignoranti. Costretti a
rinnegare i loro sentimenti. Io volevo dimostrare quanto li volessi bene e per farlo li ho
aiutati, li ho cercati di capire ma putroppo qualcuno a cui ho deciso di ascoltare e che
purtroppo non ho compreso lo ha portato alla decisione di vendicarsi.- continua la volpe.
-Mi ha accusato- dice la volpe. -A deciso di fare calunnia del mio nome per vendicarsi.-
Martin lo guarda e non riesce a sincronizzare la testa. Qualche momento fa era immerso nei
suoi pensieri, e ora si ritrova a conversare con una volpe.
-Anche io sono come te e parte di quelle poche persone che devono subire ogni giorno le
malizie di questo mondo. Ma ricorda.-
-E meglio capire noi stessi che farsi capire dagli altri–
-Anzi facendo questo imparerai a capire anche gli altri-
-Non è assicurato ma può succedere- conclude la volpe
Martin capisce che cosa vuole intendere la volpe, non l’aveva mai pensato così.
-Sei giovane e in quella fase devi essere nel pieno di vivere la tua vita- dice il mammifero
avvicinandosi alla sua faccia.-Questo è il periodo dove devi imparare a saper affrontare le
ingiustizie della vita con il sorriso. Questo è il periodo dove devi capire a rimanere solo.-
La volpe stava tremando, sembra che anche lei voglia piangere.
Victor Ortiz Racconto concorso
-Perderai un sacco di persone che non vorrai lasciar indietro perchè sei così come carattere,
ma non devi cambiare per nessuno.-
-Non devi vivere per gli altri, ma devi vivere per te.- continua la volpe.
Martin è rimasto a bocca aperta, gli occhi spalancati. Non sa cosa rispondere.
-Ho capito- dice.
-Ricorda, che la solitudine è una delle cose che ti capiterà nella vita- dice la volpe.
-Che sia brutta o bella non importa, perchè è lì dove imparerai di più-.
La volpe in alto verso il cielo.
-Ora devo andare.-
Si dirige sulla roccia dove era apparso davanti a Martin.
Si gira e guarda fisso negli occhi il ragazzo.
-Ricorda ciò che ti ho detto-
Detto quello la volpe fa un salto e scompare dietro la roccia.
-Aspetta, devo chiederti un sacco di cose- dice Martin nel tentativo di fermare il mammifero.
Appare un vento che lo blocca. Così intenso da fargli chiudere gli occhi e da fargli perdere i
sensi.
Martin si sveglia inspirando tutta l’aria che poteva.
-Dove sono?- dice.
Si guarda intorno e capisce di essere ancora seduto sul tronco. Si alza e cerca di vedere se la
volpe è lì intorno.
Gli uccelli cantano e il vento soffia. Si rialza e verso la roccia dove la volpe gli ha parlato
sorride.
Si volta e continua per il piccolo sentiero che stava percorrendo ancora con il sorriso sulla sua
faccia.
DEDICHE – Ajete Hyka
Una raccolta di parole non dette o da ribadire, perché è facile perdersi quando le nostre radici si mescolano profondamente con il nuovo terreno che trovano o quando cerchiamo di adattarci, dimenticandoci da dove veniamo.
Alla mia mamma. Sei una donna che sta scoprendo la sua forza ogni giorno che passa e non hai mai smesso. L’hai sempre avuta dentro di te, ma solo ora ti accorgi di quanto sia potente, di quanto puoi incanalarla attraverso tutte le tue esperienze e il tuo passato. Al contempo, però, non ti manca la delicatezza, caratteristica nelle tue parole di conforto e di incoraggiamento, nelle tue carezze che ti fanno vibrare il cuore o nei tuoi abbracci che trasmettono calore. È un po’ così con te, emani un’aura che attrae le persone che ti circondano e la tua gentilezza è ciò che le fa rimanere. Il tuo cuore è così grande e colmo d’amore che solo al pensiero mi emoziono. La tua fragilità è anche la tua salvezza. È ciò attraverso cui riesci a lasciarti andare in quei momenti dove sei tu ad aver bisogno di qualche carezza. Il mondo è ingiusto perché non ricevi indietro tutto l’affetto che dai, però noi ci proviamo. Ti teniamo sempre nel nostro cuore, quando siamo di fianco a te mano per mano sedute sul letto sulle note delle nostre risate o quando siamo così lontane, con chilometri che ci separano e l’unica cosa che rimane con noi è il profumo del tuo maglione che abbiamo preso in prestito per assopire la nostalgia. Non voltarti mai indietro incerta delle tue scelte. Ora è il tuo momento per essere egoista e prendere le scelte che non ti sono state concesse tempo fa. Continua a riscaldare il mondo col tuo sorriso. Te dua shume zemra ime.
A Xh, la mia sorellona. La prima cosa che conosciamo delle persone è il loro nome e il tuo lascia di stucco ovunque tu vada. Che sia la tua madrepatria, il paese dove hai vissuto per più di venti anni o il luogo della tua vacanza, tu lasci il segno, lasci una parte di te alle persone che incontri. Non è un dono che molti possiedono, è una cosa rara, un tratto particolare. Sarà forse il tuo coraggio nel guardare le persone negli occhi quando ci parli? Sarà come ti fai trasportare dalle tue parole quando parli di qualcosa che ti sta a cuore e che ti appassiona vivamente? Oppure
sarà il sorriso che mette le persone a loro agio e le fa sentire importanti? Porti un grande peso sulle spalle, quello di essere la prima figlia in una famiglia immigrata. Grazie a te noi altre possiamo uscire la sera senza che mamma e papà facciano troppe storie, grazie a te posso tingermi i capelli a patto che me li paghi con i miei soldi, grazie a te la mia voce non trema quando davanti alle persone che incontro nella mia vita dico di essere albanese senza aver paura del loro (pre)giudizio. Sono sicura che la tua vita saprà regalarti tanti momenti di gioia quando meno te lo aspetti, perché te lo meriti. Thjesht faleminderit moter.
A S, la mia altra sorellona. Sei stata tante prime volte per i nostri genitori e la nostra famiglia. La prima figlia ad essersi rasata i capelli a zero, la prima ad aver iniziato a vestirsi come più le piaceva incurante dei commenti altrui, la prima ad essersi trasferita in un altro paese e ad aver iniziato una nuova tappa nel tuo percorso. Spesso mi chiedo se riuscirò ad essere audace e intraprendente quanto te e ancora non sono riuscita a trovare una risposta, però so anche che tutto ciò che hai dovuto affrontare per rimanere fedele a te stessa non è stato facile. Hai superato tanti ostacoli e penso che più volte ti sarà sorto il dubbio, chiedendoti se hai fatto la scelta giusta, nonostante ciò non ci hai mai fatto pesare niente. Ogni volta che ci vieni a trovare riesco a sentire genuinamente tutto l’affetto che provi per ognuno della nostra famiglia, un amore che è maturato col tempo e non è dato per scontato dal nostro legame di sangue. Alcuni giorni vorrei essere come te, altri vorrei essere lì con te, per non farti sentire mai sola e per poterti dare un minimo di appoggio anche quando non ne hai bisogno. Continua a lottare per te stessa, ne vale la pena. Jam krenare per ty.
A M, la mia sorellina. Dico piccolina anche se sono solo due anni più grande, però con il tuo carattere esuberante e la tua personalità travolgente ho sempre sentito il bisogno di tenerti d’occhio, lontana dai guai. Penso che il nostro rapporto sia speciale. Battibecchiamo ogni giorno, possiamo stare sedute sul divano a farci gli affari nostri o mangiare in silenzio quando torniamo da scuola. Però non riusciamo a stare troppo tempo senza parlarci, quando siamo sedute sul divano c’è sempre un punto di contatto fisico tra noi per far sentire la nostra presenza all’altra e ci
aspettiamo sempre quando torniamo a casa cosicché nessuna delle due mangi da sola. Sei il vortice nella mia vita che mi sprona a superare i miei limiti e a non avere paura di buttarmi, perché non c’è cosa peggiore di avere rimorsi. Sprigioni una certa luce quando entri una stanza, o forse è solo la tua incessante parlantina che coglierebbe di sorpresa chiunque, o magari è il modo in cui urli senza imbarazzo quando guardi qualcosa sui tuoi cantanti preferiti. Sai che se hai bisogno ci sono, anzi soprattutto se non mi vuoi attorno ti starò appiccicata addosso mentre continui a dirmi che ti infastidisco, ma anche tu ci sei sempre e a me va bene così. Rri gjithmonë me mua.
Ad A, la vera piccolina. Noi siamo le due A della famiglia. Siamo legate da una lettera e da tutto il tempo che trascorriamo assieme. Sei così piccola ma allo stesso tempo così grande, ti supero di età ma tu mi superi in altezza, riguardo alla materia grigia non c’è molta differenza devo ammettere. Se penso ad una parola per descriverti direi solare. La tua risata è solare, l’espressione che fai quando bevi un bubble tea è solare, solare è anche il modo in cui mi abbracci ogni volta che mi vedi. Sprizzi idee e creatività da tutti i pori, hai sempre un progetto per la testa, un nuovo hobby da provare e sei aperta alle sfide. Hai una consapevolezza che forse quasi stona con la tua piccola età e ti preoccupi più di quanto dai a vedere, ma spero di essere per te un punto di riferimento. Quando hai paura, quando sei triste, quando vuoi condividere qualcosa o semplicemente quando vuoi qualcuno accanto, non esitare a pensare a me. Ti viene difficile chiedere aiuto, lo so, però piano piano voglio che tu impari a farlo per te stessa, così riuscirai a capire quanto tengano a te le persone della tua vita. Je si yll.
Al mio papà. Le parole non sono il tuo forte e non voglio metterti a disagio, però ci tengo a scriverti queste parole. Io ti ammiro. Non riesco neanche ad immaginare quante avversità tu abbia dovuto passare per riuscire ad esserci per noi, per la tua famiglia. A volte vorrei che tu non abbia sentito il bisogno di sacrificare così tanto di te stesso, perché solo pensare a come tu ti possa essere sentito mi provoca un’immensa tristezza. Avere avuto cinque figlie per quanto sia stato difficile, penso sia stato un dono per te e la mamma. Sicuramente non sei la persona che
eri venti anni fa o la persona che pensavi saresti diventato. Però sono certa di una cosa: sei una persona che ha imparato che a volte prendere un respiro profondo e riposarsi un attimo non deve essere un lusso e stai ancora imparando che nonostante si abbiano idee diverse, non è impossibile trovare compromessi. Hai reso possibili per noi opportunità che in altre condizioni non ci sarebbero state concesse, però adesso prenditi cura di te, non trascurarti. Ogni essere umano si merita di vivere per sé stesso. Te kam shume xhan
IL GIARDINO DAL FINESTRINO di Mariela Kristine Pacion
“Qual è il tuo primissimo ricordo?”
Il tuo primo ricordo, il primissimo avvenimento che puoi dire di ricordare dalla tua nascita. Il momento in cui puoi dire di essere stato finalmente cosciente per la prima volta.
Secondo gli esperti, i primi ricordi di una persona risalgono all’infanzia, mediamente durante i primi 3 anni di vita. In genere si ricordano momenti speciali, come quando si rimuovono le rotelle della bici per la prima volta, o il primo giorno di scuola.
Avevo solo 3 anni. Ero una piccola e dolce bambina, seduta di fianco alla mia ancor giovane mamma. Guardavo fuori dal finestrino, annoiata dal lungo e incessante viaggio, e improvvisamente vidi questo prato verde attraversato da uno, o forse più stradine.
Mi ricordo perfettamente cosa dissi a mia madre dinanzi a quella vista: “Che bel giardino, ci farei volentieri una passeggiata.” E lei mi rispose: “Sei sicura? Secondo me ti faresti solo prendere in braccio.” – Indizi che fanno pensare che probabilmente non ero una bambina molto attiva. Avrei sicuramente preferito starmene sul passeggino o, ancora meglio, in braccio alla mamma, invece che usare le mie gambine corte per camminare.
Da quel momento in poi, del nostro volo non mi ricordo più proprio niente. Il resto sarà stato poco interessante. Forse mi ero addormentata, o forse eravamo atterrati poco dopo.
Il finestrino da cui vidi quel giardino era infatti di un aereo. La piccola me stessa di soli 3 anni, annoiata e curiosa come pochi, su un aereo di fianco alla mamma, partito da Manila, diretto a Milano Malpensa.
Sicuramente non ero consapevole del perché stessimo volando verso un posto lontano da casa. Anzi probabilmente non ero nemmeno cosciente del fatto che da un momento all’altro, non avrei più rivisto la casa dove ho passato i miei primi anni di vita. Sono sicura però che non feci mai domande. Io seguivo la mamma e questo mi tranquillizzava.
Questo mio ricordo continuò solo dopo il nostro atterraggio. Ricordo benissimo il primo pensiero che mi passò per la testolina: “Wow che grande. Questa è la mia nuova casa?”, riferendomi all’aeroporto. Non so esattamente il perché e il come, ma era probabilmente un pensiero normale per una bambina.
Intanto seguivo mia madre, che dovendo spingere il grosso carrello con le enormi valigie, non poteva tenermi per mano. Camminavamo e camminavamo. Io seguivo la mamma cercando di tenerle il passo con le mie gambine (che come sapete sono poco attive), in quell’enorme spazio pieno di gente, finché finalmente ci fermammo.
Davanti a noi un mi trovai questo signore. Chi era? Purtroppo i cassetti del reparto ricordi del mio cervello erano ancora totalmente vuoti, quindi non avevo indizi per rispondermi da sola.
Questo signore però sembrava felice di vedermi. Si chinò per raggiungere la mia piccola altezza di un metro e pochi centimetri, e cominciò ad abbracciarmi contento, contentissimo.
Mi disse: “sono papà, ti ricordi di me?”
Io, piccola, confusa, con gli occhi e le orecchie ben spalancate, non ebbi neanche il tempo di capire cosa stesse veramente succedendo, che improvvisamente sentii la voce di mia madre: “Sai che cosa mi ha detto in aereo?” Rivolgendosi al signore.
Egli rispose: “Che cosa?”
“Ha visto un bel prato verde dal finestrino e ha detto che avrebbe voluto tanto farci una passeggiata.”
Egli mi guardò e mi disse sorridendo: “Non ci credo. Ti faresti solo prendere in braccio!”
Ah, allora era proprio il mio papà.
E così infilai il primo ricordo nel cassetto dei ricordi: il giardino dal finestrino, e il giorno che arrivai in Italia.