Silvana è l’eleganza colorata. Da quando l’ho conosciuta, noto in lei un uso particolare dei colori, una specie di “sobrietà colorata”: c’è sempre un dettaglio in lei, un accessorio o un capo, che si scosta dallo sfondo neutro dei suoi abiti, per far risaltare un colore. Che poi va ad armonizzarsi con l’azzurro degli occhi, che scrutano attorno con dolcezza.
E attorno a noi adesso c’è la Feltrinelli di Santa Maria Novella: luogo di transito che appartiene a Silvana, spesso in viaggio con valigia e libri per le città d’Italia. E per sostenere i ritmi, un buon caffè ora non è male. È tardo pomeriggio, però, e Silvana il caffè “vero”, caffeinato, non lo prende mai dopo le 15 – mi confida. Dunque per lei un dec.
Ha un ricordo tenero, Silvana, ai tempi dell’infanzia: il padre in cucina che annunciava “Le café est prêt”. Un lessico familiare, un codice tutto loro. E dall’arte del caffè in cucina, si passa all’Arte, di Silvana, che non sa dire a gran voce “sono un’artista”. “Lo trovo un po’ arrogante”, mi spiega. “Se penso alla parola Arte, in realtà mi viene in mente talento: cosa sei chiamato a fare nel mondo, cosa ci porti, di tuo, il tuo ingrediente, la tua nota specifica”. È un argomento, questo, che Silvana affronta anche con i suoi studenti nel corso “ibrido” che ha creato nel 2006 alla Facoltà di Architettura a Matera, “Linguaggi, futuro e possibilità”, legato all’ibridismo stesso di Silvana, che si è formata come ingegnera ma si sente da sempre artista poliedrica, poeta, attrice, “creatrice di mondi possibili”:“la mia storia è che a un certo punto la vita mi ha chiesto di andare a ZIG, ed io invece ho fatto ZAG”, ci confida.
E in una storia a ZIG ZAG tra i talenti, Silvana svela che il suo, di talento, è leggere ad alta voce: “con la voce si possono fare tante cose”, chiarisce, “insegnare, leggere, costruire. Quasi un lavoro artigianale”.
Silvana il suo dono l’ha intuito fin da piccina, quando verso i 6 anni leggeva filastrocche ad alta voce in famiglia o da sola. E si registrava pure, per “tenere la voce”: una custode di voci. E ai genitori di oggi suggerisce di osservare quel che fanno i figli in autonomia – per scoprirne i doni.
Ma la sua Arte, ragiona con noi, è anche quella dell’ascolto. “Sono una persona uditiva”. Prima dell’uso della voce, c’è l’ascolto, prima di parlare, narrare, c’è ricevere, ascoltare. “Mi piace ‘essere raccontata’, avere qualcuno che mi legge delle storie”. Che è una forma di cura, unacoccola. E lo stesso fa lei: “mi capita di inviare su WhatsApp letture di poesie che ho appena scritto”, aggiunge. Un uso “premuroso” dei cosiddetti messaggi vocali.
E le poesie inviate agli amici ci portano alla forma d’Arte “per eccellenza”, di Silvana, la poesia: “però io sono una ‘laica della poesia’. Non appartengo a nessuna cerchia di intellettuali”. E aggiunge: “poesia è tutto quel che ti tocca e ti muove verso altro. Perfino le mie lezioni ad Architettura sono poesia. Ai miei studenti faccio vivere esperienze di esplorazione dello spazio, bendandoli”. Un’Arte, quella di Silvana, dove l’Altro ha un ruolo cruciale: “senza l’Altro – le sue orecchie – non esisterebbe la mia Arte”.
E le orecchie ce le abbiamo ben aperte, oggi, ad ascoltare Silvana, davanti a un dec, ad essere “raccontati” – a modo nostro – di un mondo che sa di poesia e relazione, cura ed emozione. Un condensato di quel che Silvana porta nel mondo.
Verusca Costenaro