Dante

Dante tra i banchi di scuola

Era una scuola piccola dalle pareti bianco latte, il prato immenso ascoltava le voci dei bambini. Di fronte all’entrata principale, c’era la fontana dell’acqua liscia e gassata, spingi il bottone dell’aggeggio tecnologico ed esce lei, freschissima. Dietro di me, soleva formarsi una lunga fila di ragazzi ed anziani, scalpitanti, con in mano bottiglie di plastica e di vetro. Perché vi racconto questi fatti minimi? Beh, qua inizia la storia, in un paese marino, sulla costa sinuosa di Roma. L’inverno era alle porte. Con un cappotto più che decennale, di un color viola vivace, entrai dal gran cancello di metallo della scuola media. Il giorno prima avevo ricevuto un’e-mail: “La professoressa Maria Rosa Monna Rossini è convocata per una supplenza nelle materie di «Italiano, storia, geografia ed educazione civica»”. É il mio nome, son proprio io – pensai, – colei che ha scritto pagine d’inchiostro, in alcuni casi critiche, sulla scuola come istituzione, nelle vesti di antropologa. In poche parole, la professoressa qui medesima ha qualche scheletro nell’armadio.

La pelle color cannella, il naso aquilino eredità degli antichi avi Inca, originaria del Perù, eppure italiana cento per cento, proprio io insegnerò queste materie canoniche. Dirlo è semplice, viverlo con dei “bambizzini” è tutta un’altra cosa. Dicesi “bambizzini” quelle persone che conservano la tenerezza dei bambini, condita con la vitalità anche conflittuale degli adolescenti: dolci e ruvidi, tutto allo stesso tempo, come una noce di cocco. Dal primo giorno di scuola, mi accorsi che i miei alunni avevano origini di altre terre e sapori pur essendo nati in Italia, in effetti la maggioranza dei genitori proveniva da una rosa ricca di paesi: Polonia, Romania, Mali, Egitto ed Argentina. Seduta dietro la cattedra, iniziai a riflettere su quest’insieme di libri necessari che ci renderebbero cittadini italiani, mi riferisco al canone. “Che significa essere italiani oggi? Li addomesticherò a un’identità nazionale monolitica?” – farfugliai, una mattina presto, prima che la campanella suonasse. 

Leggemmo le avventure di Marco Polo in Cina, e alla fine del capitolo un naso lungo, aquilino, molto simile a quello degli Inca apparve nel libro di letteratura. Dante tra noi. Narrai la storia del Poeta, esule del Trecento che dovette bussare a tante porte e non poté più tornare a casa, Firenze. Gli alunni ascoltavano trasognati. Per primo alzò la mano Filip, di origine polacca, dolcemente morbido nelle fattezze, ed iniziò a leggere un sonetto ad alta voce: “Tanto gentile e tanto onesta pare”. Dante prendeva vita tra i banchi di scuola. Aprimmo il capitolo della Commedia. Luigi scalpitante dall’ultimo banco chiese di poter leggere anche lui: “Nel mezzo del cammin di nostra vita”. Dante si risvegliava, i contorni del suo corpo acquistavano nitidezza. Intervenne Rugiada, lo sguardo intenso dietro gli occhiali da vista: “Scusi Prof, una domanda, c’erano poetesse a quel tempo? Perché le donne non scrivevano?”. Dante alzò le spalle in segno di assenso totale nei confronti di quella bambizzina ben acuta.

Suppongo che le mie ciglia sembrassero due altalene, nonostante cercassi di mostrarmi imperturbabile, la mascherina aiutava nel coperchiamento delle emozioni. “Prof, ma Dante era un immigrato?” domandò il Pigafetta, alto un soldo di cacio. Beh in quel periodo, l’Italia era un mosaico di stati, il Poeta per le sue idee politiche dovette lasciare il nido, quindi, oggigiorno, sarebbe più vicino al rifugiato che al migrante. Appoggiato al termosifone Dante fece sì con la testa. “Prof, è triste non poter tornare a casa perché ti sparano!” aggiunse Andrei, la cui capigliatura ricordava un tappeto di chiodini lucidi. Sì Andrei, Dante sentì nostalgia della sua casa, ma non si arrese, la poesia, per lui, è stata strumento di critica sociale e speranza. I bambizzini decisero allora di prendere carta e penna, avrebbero scritto un testo su un luogo caro, della memoria.

Il mio luogo più caro è la Romania, lì ci sono tante foreste, qualche volta mio zio va nella foresta a raccogliere i funghi. Anche l’Italia è un posto meraviglioso, è diventata come una seconda casa per me.

Il luogo più caro che ho lasciato è stato la Polonia: quando ho scoperto che mia nonna rimaneva da sola, sono rimasto spiazzato. Abbiamo deciso di comprarle un telefono per non farla sentire sola.

I mesi passarono veloci, presto sarebbe arrivato Natale. Con l’ultimo canto del Paradiso, chiudemmo il capitolo della Commedia e Dante si dissolse, volò via, chissà più contento, più colorato. La sua poesia si era immersa nell’aula, camminava accanto a noi, come una brezza, un soffio magico, una buona notizia. 

L'autore

Francesca Paola Casmiro Gallo

Francesca Paola Casmiro Gallo è di origine peruviana, ha studiato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma. Dopo un’esperienza come lettrice d’italiano in Spagna, grazie al Servizio Civile Internazionale, è partita per il Guatemala e ha lavorato con le donne indigene. Successivamente, si è dedicata alla ricerca antropologica ed educativa in Messico con bambini che vivono in insediamenti urbani nella periferia di Tuxtla Gutiérrez in Chiapas. Il racconto, Donne fatte di mais e spighe di grano, ha vinto il Primo Premio del X° Concorso letterario nazionale Lingua Madre. Ora l’autrice sta terminando un dottorato di ricerca in “Studi postcoloniali e cittadinanza globale” intanto si dedica all’insegnamento nelle scuole medie e superiori.

Lascia un commento