“Diario di una malattia” risale agli anni in cui vivevo a Berlino e racconta un’esperienza vissuta tra il maggio del 1998 e il novembre del 1999. Scritto originariamente in tedesco, l’ho auto tradotto nel febbraio del 2018 e confezionato intercalando la scrittura con mie fotografie a tema.
Ve lo proponiamo in tre ‘puntate’ per riprodurre almeno in parte il dispiegarsi degli eventi in un tempo lineare. Le immagini abbinate sono tratte dal testo originale.
Terza ‘puntata’ – Buona conclusione di lettura!
Terza puntata
XI
E’ strano, ma da quando è tornato, i nostri incontri non sono davvero reali. E’ difficile spiegare cosa intendo. Ci sono quando ha bisogno di me, quando la sera mi chiama e mi chiede: “Posso venire a dormire da te?” eppure c’è qualcosa nella sua voce, nei suoi movimenti che crea distanza fra noi.
La scorsa notte è stata proprio bella, invece. Mi ha chiamato e voleva venire a casa mia. Ero già a letto, senza riuscire a prendere sonno e l’idea che presto si sarebbe steso al mio fianco mi rendeva felice.
Mi ero già addormentata quando è arrivato. Risvegliata dai miei sogni, traballai per la stanza e lungo il corridoio per aprirgli la porta e poi tornai a letto. Mi chiese dove poteva trovare la scala e un cacciavite e incominciò a smontare il lampadario appeso al soffitto in camera da letto.
Era il mio regalo di Natale: una grande lampada a forma di stella rossa.
Le avevamo notate pochi giorni prima, mentre eravamo insieme al mercatino di Natale e io gli avevo raccontato che a Bombay appendono luci simili alle finestre e ai balconi.
Ora ho anch’io la mia stella.
Dicembre 1998
XII
E’ il 14 luglio 1999 e dovrà subire un altro trapianto. In tutti questi mesi – a parte per i controlli a intervalli regolari a Dresda – ci siamo comportati come se tutto fosse passato. Intuivo però che non sarebbe stato facile, ma ne reprimevo perfino il pensiero e ci riuscivo piuttosto bene. Forse lo facevano anche altri.
Le chance di guarigione sono scarse, anche se per il momento sta ancora bene, il suo tipo di leucemia è aggressivo e resistente e dei sei pazienti che hanno subito lo stesso tipo di trapianto a Dresda cinque sono già morti. Nonostante questo sembra deciso a voler rimanere l’unico sopravvissuto. E subito un suo rimprovero: “Perché non vieni a trovarmi di tua iniziativa?” E’ una parola, avrei voluto rispondergli, andare a trovarlo a Dresda senza macchina! E mi sono sentita subito oppressa da questa sua richiesta.
Va bene, ci andrò.
Luglio 1999
XIII
“Se mi vuoi rivedere, è meglio che vieni presto… puoi anche sceglierti un paio di CD” – dalla sua collezione di futuro dj.
Ci siamo, quindi. Fa male, brucia nel cuore e non so cosa dire. Lo sapevo già da tempo, sapevo che gli rimaneva ancora poco, tuttavia sentirglielo dire fa tutto un altro effetto. Deglutisco a fatica e resto in silenzio. Doveva andare ancora una volta a Dresda, poi mi avrebbe chiamato per fissare un incontro. Così non è stato.
Quando mi sono fatta viva io, mi hanno detto che le sue condizioni erano peggiorate all’improvviso, che solo raramente era lucido. Lissy mi chiese se volevo vederlo così o preferivo mantenere il suo ricordo inalterato. Ci dovevo davvero pensare su un momento.
Le lacrime iniziarono a scorrere spontanee, al termine della telefonata, mentre cercavo di vedere chiaro tra i miei sentimenti: Sì, lo voglio vedere ancora un’ultima volta, voglio congedarmi da lui come meglio posso. Richiamai a annunciai la mia visita nel pomeriggio.
Così andai per l’ultima volta a casa sua. Respiravo profondamente, mentre camminavo, come ero solita fare quando era ricoverato in ospedale. L’aria umida nei polmoni non faceva altro che aumentare il dolore che già provavo.
Salite le scale incontrai sua madre sulla porta: ci siamo abbracciate e abbiamo pianto amaramente tenendoci strette. Quanta disperazione potevo percepire in lei, quanta resistenza verso l’inesorabile e ormai imminente.
Poi sono entrata in camera sua: dormiva. Mi sono avvicinata e mi sono accovacciata vicino a lui. Era effettivamente molto dimagrito, aveva nuovamente perso tutti i suoi bei capelli biondi a causa dell’ennesima chemio, ma ero preparata a trovarlo così. Ho preso una sua mano tra le mie: era così morbida, così pallida e aveva delle piccole macchie scure sulla pelle. Non piangevo. In quel momento sapevo che il mio compito era di augurargli buon viaggio, trasmettergli un po’ di forza affinché facesse l’ultimo passo della vita, quello più difficile e faticoso, per poi trovare liberazione. Pregai per una morte leggera, immaginai di accompagnarlo fino al limitare della vita e di congedarmi dicendogli: “Vai tranquillo, non aver paura, alla fine del tunnel c’è la luce”. “Non aver paura” ripetei più volte mentalmente.
“Peccato che nessuno ci insegni a morire”, dissi poi a sua madre, quando sedevamo in cucina e mi augurai di cuore che alla fine lui fosse così forte da accettare il suo destino.
Novembre 1999
XIV
Eppure deve aver avuto paura, quando è morto due giorni dopo e ha lottato contro la morte fino all’ultimo, mi hanno riferito.
Il giorno dei funerali decisi di prendere un taxi nel tentativo di arrivare puntuale e mi ricordai dei nostri primi appuntamenti: spesso lo avevo visto scendere da un taxi perché era in ritardo. Quando alla radio suonarono ‘Do you think I’m sexy?’ di Rod Stewart, chiusi gli occhi e immaginai di ballarla con lui e ripensai a quante volte avesse cercato la mia approvazione femminile, che gli avevo puntualmente concesso, sorridendo.
Arrivai comunque in ritardo nella piccola cappella, che faticai a trovare camminando irrequieta, avanti e indietro tra le tante tombe. Quando alla fine risuonò ‘A perfect day’ di Lou Reed le lacrime hanno iniziato a scorrere e non c’era più modo di frenarle.
Mi ha fatto bene stringere forte Britta tra le braccia. Lei gli era stata sempre vicina nel periodo delicatissimo e difficile tra un trapianto e l’altro e aveva svolto il suo ruolo con tutto il cuore. Come deve essersi sentita sola e sconsolata durante la cerimonia! Sono stata felice di aver potuto condividere parte del suo dolore in quell’abbraccio.
Novembre 1999
XV
Sono trascorsi pochi giorni e tu sei ancora qui tra noi. Ti sento così vicino, così legato a questo mondo, sento addirittura la tua presenza eterea aleggiare tra di noi, come se tu stesso non riuscissi a renderti conto di quanto successo. Trascorro volentieri del tempo con te, se lo desideri. Esattamente come ho sempre fatto e tu sapevi benissimo di poter contare su di me in ogni circostanza.
Negli ultimi mesi non ti sono stata più così vicina per diversi motivi, i nostri contatti si concretizzavano in telefonate più o meno lunghe. Sicuramente tu hai proceduto sul tuo cammino ed io sul mio. Viaggeremo ancora per un po’ insieme, poi ti auguro di accettare completamente la tua nuova realtà e di seguirla, ovunque ti conduca.
E se lo desideri ci ritroveremo su questa terra – o forse su un’altra?
Volevi tanto avere un figlio, mi hanno riferito. Sii tu presto nuovamente bambino e torna a rallegrare il mondo, se ti manca tanto. Ma prima prenditi il tempo necessario e goditelo appieno.
Ti auguro ogni bene!
Novembre 1999