Editoriali

Editoriale – Ottobre 2017

Home sweet home

Cari lettori,

 “Home sweet home” è un titolo banale. Però è una frase che ciascuno avrà pronunciato e sentito annunciare da figli, amici e sconosciuti. Tante volte l’abbiamo sentito al cinema,  alla televisione, alla radio.  Abbiamo letto e riletto “Home sweet home” tra le righe di romanzi, fumetti, giornali. L’abbiamo visto scritto con mano ferma o insicura su muri di città o di villaggi geograficamente distanti e culturalmente diversi tra loro. Tanti –noi compresi- hanno scritto “Home sweet home” su parapeti di ponti o l’hanno tracciato sulla sabbia di una spiaggia. “Casa dolce casa”, sussurrata dentro di sé o urlata in faccia ai quattro venti con rabbia o con gioia. Sono tre parole, tre pillole che sappiamo di potere auto prescriverci, perché speriamo possano avere un effetto placebo e calmare momentaneamente i nostri mali di tristezza, ansia, nostalgia, disorientamento … soprattutto quando la nostra casa è lontana.

“Home sweet home” è una “frase zattera” o – detto fuori dai denti perché ormai noi insensibilmente svezzati dalle inesauribili tragedie nel mare Mediterranea le cui vittime sono dei banali senza terra, senza più identità, appunto senza più casa – una “frase barcone” su cui arroccarsi… pericolante ma l’unica casa quando speranza e orizzonte si stanno dissolvendo e con crudele certezza stanno affiorando naufragio e morte.

 

 Per rimanere in tema scelgo il titolo di uno libro scritto da Igiaba Scego e pubblicato dalla Rizzoli nel 2010:  La mia casa è dove sono.

L’autrice, nata e cresciuta a Roma e figlia di rifugiati somali, ha scelto un titolo suggestivo e se mi permetto di riproporvelo è perché ha affrontato temi che sono ancora d’attualità. Nella scheda del libro, che consiglio di leggere insieme alle altre opere dell’autrice, è scritto: “Un tavolo, tre cugini. Cercano di ricordare la trama urbana della loro città, Mogadiscio. La protagonista, però, Igiaba Scego, ha ricordi italiani legati a Roma, la città in cui è nata e cresciuta. La città di origine non può dimenticare la città di appartenenza. In questa famiglia la storia dell’Africa orientale si intreccia con quella dell’Italia. La storia è raccontata in prima persona dall’autrice e ci ricorda la sua vita da immigrata di seconda generazione, ma è anche una storia che parte da più lontano risalendo di due generazioni fino all’esperienza coloniale italiana durante il fascismo (utilissimo recuperare questo punto di vista sulla storia nelle nostre scuole)… Un romanzo che  affascina e che ti coinvolge ma che, al tempo stesso, è un contributo notevole in termini di educazione alla cittadinanza.”

Cittadinanza: lo ius soli è  una casa da consegnare come diritto.

Lo sappiamo ma lo ripetiamo, i deputati e senatori italiani, non riescono o non vogliono approvare una legge sullo ius soli, un tema che la nostra rivista insieme a settori della società civile continuiamo a porre. Qual è la dimora sociale e culturale, la casa  effettiva di un bambino nato in Italia da genitori di origine straniera ma che viene cresciuto qui ed educato nella scuola italiana?  Perché negare a un bambino il diritto del suolo e obbligarlo a covare anni di frustrazioni e a coltivare odio nei confronti della sua terra natale, cioè il suo paese e la sua casa “de facto” e dei suoi abitanti? In questi anni abbiamo visto tramontare decine di proposte di legge sullo ius soli sostenute da parlamentari convinti ma rimasti in minoranza. La maggioranza dei parlamentari è contraria e non esita a dissotterrare disgustosi pregiudizi e odi atavici attraverso stampa e televisioni per scagliarsi contro i migranti, i loro figli e con minacce di rimandarli  a casa loro, cioè fuori dall’Italia.  Allora non sarebbe esagerato, chiedersi se chi in Italia  costringe cittadini e stranieri a convivere in un perenne clima di paura e di odio reciproco non è tanto diverso dai gruppi fanatici e pazzi che strumentalizzano l’Islam per seminare il terrore? Sono politici, giornalisti, opinionisti, ora anche cantanti e persino veline… di casa nostra, l’Italia, che per conquistare potere, fama e denaro fomentano l’odio verso l’altro, il diverso, lanciano grossi sassi e nascondono le mani, si sono autoproclamati difensori di tradizioni e costumi europei, si definiscono argini contro gli invasori migranti.  Mentono a tutti, mentono a se stessi.

Prima Bin Laden (Al Qaida) e dopo Al Bagdadi (Isis) autoproclamatosi Califfi, difensori delle tradizioni islamiche universali, argini contro gli infedeli ( tutti quelli che la pensano diversamente da loro) e tanti pericolosi bla, bla (pure loro per fama, potere, denaro) hanno mandato altri a seminare orrore nelle strade del mondo mentre loro e i loro cari rimanevano nascosti e credendosi illusoriamente al riparo tra le mura delle loro Home sweet home.

Cari lettori in questo numero si ringraziano per la sezione narrazione transnazionale: Gholam Najafi, Tatiana Olear, Melita Richter, Roxana Lazar; per la sezione Poesia transnazionale: La compagniadellepoete, Pascal Gabellone, Gili Haimovich, Heleno Oliveira, Gentiana Minga, Adriana Langtry, Shirin Ramzanali Fazel; per la sezione stanza degli ospiti: Loretta Emiri, Giovanna Pandolfelli, Emma Grillo, Verusca Costenaro, Anna Fresu; per la sezione Interventi: Claudio Cicotti, Viviana Minori, Namiz Ağil

 

L'autore

El Ghibli

El Ghibli è un vento che soffia dal deserto, caldo e secco. E' il vento dei nomadi, del viaggio e della migranza, il vento che accompagna e asciuga la parola errante. La parola impalpabile e vorticante, che è ovunque e da nessuna parte, parola di tutti e di nessuno, parola contaminata e condivisa.