Racconti e poesie

I mattoni dell’architettura personale

Era una bella giornata di sole nel Brasile del 1971. Il mio amico Zé Carlos aveva appena acquistato una vecchia macchina e l’avrebbe collaudata con il viaggio del trasloco per raggiungere la famiglia già sistemata altrove. Aveva il bagagliaio pieno zeppo di libri vietati dalla dittatura militare, cioè dalle opere di Aristotele fino ai Kama Sutra. Al turpe elenco di libri sovversivi stilato dai presidenti di caserma mancava unicamente la Bibbia, ma era solo perché i generali avevano un accordo formale di collaborazione con il Vaticano e poi non avevano letto bene il Nuovo Testamento.
Zé Carlos si era messo in viaggio cercando di evitare le vie più trafficate, ma quasi subito, dopo la partenza, trovò un restringimento della strada formato da cavalli di Frisia fatti con il filo spinato. Non c’era via di scampo, i soldati stavano perquisendo le macchine che venivano spostate sulla corsia di emergenza e svuotate. L’avrebbero sicuramente ucciso dopo torture inenarrabili per rivelare nomi o luoghi che ignorava. Pensò alla moglie e ai bambini orfani di padre morto ancora senza capelli bianchi.
Un sottufficiale con la mitragliatrice in mano si avvicinò alla macchina, chiese a Zé Carlos di aprire la porta e uscire in maniera da permettere il primo controllo del veicolo. Ma dopo aver guardato il cruscotto il graduato si girò di scatto e disse a voce bassa: “Il fratello deve allontanarsi da questa zona perché non è sicura”. Poi fece un segno ad un gruppo di soldati per rimuovere i cavalli di Frisia in modo da permettere al mio amico di fare un’inversione di marcia e andarsene.
Con i vestiti ancora bagnati di sudore, Zé Carlos decise di tornare a casa prima di qualsiasi cosa per seppellire i suoi libri nel cortile e mentre scavava ripeteva senza sosta: “Ma Dio Santo, perché quel tipo mi ha dato del fratello?”. Solo dopo essere entrato in macchina per riprendere il viaggio ha trovato la risposta sul blocchetto d’accensione della macchina, un portachiavi con la squadra ed il compasso che il vecchio proprietario del catorcio aveva consegnato a lui all’atto del pagamento.
Molti non hanno avuto la stessa fortuna. L’uomo più detestato dalla dittatura militare brasiliana aveva l’apparenza di un santo, si chiamava Paulo Freire. Era nemico della violenza, ma faceva il pedagogo di mestiere, tipo pericoloso. Ha commesso il crimine gravissimo di scrivere un metodo geniale per l’alfabetizzazione ed è stato esiliato all’estero per quindici anni per imparare a non sponsorizzare la causa della formazione di uomini lucidi.
Non esistono dittatori amanti dei libri e degli uomini formatisi nel loro amore. Da Shi Huang Ti a Hitler tutti ne hanno bruciati per poi, paradossalmente, scrivere volumi con le loro farneticazioni, lasciandoli in eredità a futuri mentecatti. Probabilmente il loro odio verso i libri proviene esattamente dalla paura dello sviluppo della libertà di coscienza che la lettura di libri pregnanti di conoscenza e di esempi rende raggiungibile. Quella libertà di coscienza, dopo, rende gli uomini poco maneggevoli e pericolosi, perché diffidenti rispetto a discorsi ingannevoli.
La televisione ha sostituito il vecchio falò dei libri. Le moderne democrazie l’hanno adottata come strumento per trasmettere in maniera colorata la versione ufficiale dei fatti e sottomettere le moltitudini tramite la diffusione del pensiero unico, della moda e delle frivolezze. Il Gatto e la Volpe democraticamente cantano a milioni di burattini incollati allo schermo: “Di noi ti puoi fidar!”. Il fenomeno non è nuovo.
Quando ho lasciato il Brasile del triste periodo di Fernando Collor de Mello, figlio della dittatura militare ed eletto con il voto dei liberi telespettatori, avevo una valigia piccola da circa 90 litri. Non potevo portare tutti i libri che mi avevano preso sotto la loro protezione ed educato. La scelta era quasi impossibile e alla fine, all’improvviso e senza pensarci molto, ho imbarcato per primi quattro di essi e un manuale d’orchestrazione. Quasi ventitré anni dopo, Melita Richter, docente all’Università di Trieste, mi ha domandato se potevo spiegare oggi il perché della scelta di quei libri specifici da portare in esilio. E ha posto la stessa domanda a 39 persone che hanno trapiantato la loro esistenza altrove insieme ai libri che amavano. Il risultato è l’antologia Libri Migranti, edita a novembre 2015 da Cosmo Iannone Editore nella collana Kumacreola, diretta da Armando Gnisci.
Sapevo che i libri mi avrebbero aiutato nella mia ricostruzione dall’altra parte dell’oceano. Non mi hanno mai tradito. La nuova architettura sarebbe stata impossibile senza di loro.

L'autore

Alberto Chicayban Chicayban