Recensioni

Il fazzoletto bianco

Viorel Boldis
Il fazzoletto bianco
Topipittori    2010

lorenzo luatti

“Il fazzoletto bianco” è un breve racconto autobiografico dell’italo-rumeno Viorel Boldis, scrittore e poeta che compone direttamente in lingua italiana, autore dalla scrittura precisa, pacata e poetica. Il testo, scritto alla fine degli anni Novanta – vincitore di un concorso di letteratura e poi apparso su giornali e riviste web di letteratura della migrazione –, è un intenso e struggente frammento autobiografico, un racconto sul distacco e il ritorno, sul ritrovarsi. Una lettura altamente coinvolgente, capace di emozionarci e farci sentire partecipi di una storia, al contempo, individuale, familiare e collettiva. Scritto originariamente per un pubblico adulto, adesso proposto da un editore “per bambini”, il libro in realtà è un picture book senza un’età di lettura ben definita: dai 6 ai 99 anni.
La narrazione, serrata e intima, è divisa in tre atti. L’infanzia, bella e spensierata, ma anche molto semplice e dura, trascorsa in campagna tra le colline della Transilvania, dove il giovanissimo Viorel impara a tagliare l’erba con la grande falce, porta a pascolare capre, mucche e bufali, va a scuola. Ricorda: “prendevo dei buoni voti e i miei erano contenti”. Poi, un giorno, la decisione risoluta, ma in fondo contrastata, di partire, di andarsene via in cerca di un avvenire diverso. “Se vuoi andare, vattene, ma non guardare indietro, non avere rimorsi. Vattene per sempre” gli dice il padre, sopraffatto dalla rabbia e dalla tristezza. “E io, figlio suo, testardo come lui, sono andato. Ogni tanto, voltandomi indietro, ma sono andato”.
E infine, un lungo periodo di silenzio, durante il quale monta nel giovane Viorel una insopprimibile tristezza e nostalgia, che lo ricondurrà a casa per una visita di riconciliazione. Scrive una lettera ai genitori nella quale li avverte dei suoi proposti, ma “gli anni vissuti in questo freddo mondo occidentale”, lo spingono a prendere “stupide precauzioni”: chiede che un fazzoletto bianco venga appeso alla finestra di casa. Sarà questo il segnale di benvenuto, di scampato pericolo, proprio come avveniva da piccolo, quando combinata una ragazzata era costretto a rifugiarsi dagli amici. “Se arriverò e non vedrò il fazzoletto alla finestra – scrive nella missiva – vorrà dire che ce l’avrete ancora con me, e allora tornerò sui miei passi e non mi vedrete mai più!”.
Sono passati due anni dalla sua fuga. Nel giorno di Natale Viorel arriva al villaggio dei genitori. Non è più un ragazzo. Prosegue a piedi, con il cuore in gola, gli ultimi chilometri che lo separano dalla casa. Spera con tutte le sue forze di rivedere quel fazzoletto bianco appeso alla finestra.
Nell’emozionante finale “a sorpresa” restiamo in trepidante attesa, temiamo il peggio, tutto sembra perduto, il giovane Viorel e noi con lui ci sentiamo sopraffatti dagli eventi, angosciati e storditi da una perdita insopportabile. L’atmosfera è sospesa, i tempi dilatati. Ma è un attimo, è un effetto ottico. Non svelerò il finale, catartico e liberatorio, della storia. Occorrerà ben altro per contenere tutta la gioia di un ritorno, atteso e fortemente sperato, per esprimere il desiderio di riabbracciarsi e sentirsi, nonostante tutto, ancora uniti.
Accanto alla narrazione testuale, il libro presenta delle splendide tavole illustrate con la tecnica xilografica bianco e nero della compianta Antonella Toffolo; tavole che appaiono cupe rispetto ai colori che sprigionano dai ricordi di Boldis, almeno nella prima parte; ma che preparano sapientemente quell’atmosfera claustrofobica e solitaria, fatta di attese e timori, che respiriamo nel ritorno a casa. Il lavoro dell’illustratrice ha almeno due pregi che rendono questo picture book davvero speciale. Da una parte, si opera un parallelismo tra il testo scritto e la tecnica iconografica adottata: al lavoro di ricomposizione e di scavo nella memoria dell’autore, Toffolo risponde con un impegnativo lavoro volto a far emergere le figure dal nero della tavola. Dall’altro, le immagini bianco e nero proiettano la narrazione in una dimensione onirica, che nelle pagini finali assume le forme di un incubo: la paura di non essere accolto, accettato, riconosciuto. Ma nella dimensione onirica l’interpretazione del racconto si dilata, si arricchisce di più significati: oltre al topos poetico del ritorno che risale agli albori della letteratura, il testo è un invito per noi a entrare nel cerchio del dialogo, a incontrare, accogliere, riconoscere l’altro che sta ancora sulla soglia o l’ha varcata. A noi, che abitiamo la sua nuova “casa”, Boldis tende la mano e ci invita a esporre il fazzoletto bianco dell’ospitalità.

11-11-2010

L'autore

Lorenzo Luatti