Tatjana Đorđević Simić
Il pioniere
besa|muci editore, 2021
La quarta di copertina fa presente che questo testo è un romanzo: “Un romanzo in cui, grazie allo sguardo del protagonista, lucido e impietoso,…”
Ho qualche perplessità a definire il pioniere un romanzo. Si presenta con una serie di aneddoti non serialmente organizzati sul piano temporale che terminano generalmente con una sorta di riflessione etico sociale. Per questo direi che la composizione del testo è data da una serie di racconti in cui il protagonista è sempre lo stesso: Boško. L’intento è la narrazione del passaggio dalla fase di adulazione del maresciallo Tito ad un rigurgito nazionalistico dove l’imperativo categorico è la esaltazione della nazionalità.
I momenti di transizione vengono riportati nel vissuto di un bambino che quindi non percepisce a fondo la portata drammatica che questa nuova forma ideologica sta apportando. Come pure, anche l’adolescente Boško non riesce a comprendere le ragioni del bombardamento della NATO su Belgrado, ove le cosiddette bombe intelligenti, colpivano siti non proprio militari e gli effetti secondari della guerra ricadevano sempre sui civili. Ma bombe intelligenti o meno, è dalla Seconda guerra mondiale che sono quasi sempre soprattutto civili inerti e incolpevoli a subire maggiormente i danni di ogni guerra. “Per vincere la guerra, gli aerei della NATO hanno distrutto ottantadue ponti, quattordici centrali termoelettriche, tutte le raffinerie di petrolio, centoventi fabbriche, tredici aeroporti, venti stazioni ferroviarie. Hanno ucciso più di duemila civili, tra cui ottantanove bambini, e lasciato migliaia di feriti e invalidi”.
Il testo, nei vari aneddoti che propone, fa emergere come l’idea del nazionalismo, nonostante lo scenario bellico in cui l’ex Iugoslavia è paurosamente precipitato, si prolunghi nel tempo e costituisca perciò una continua minaccia di nuovi e sempre più pericolosi rigurgiti.
Significativo è il capitolo riguardante gli eroi nazionali. E’ datato al 2017. Sono rilevanti le descrizioni sul sentire che nelle varie nazioni si ha di personaggi che negli anni ’90 hanno perpetrato crimini di guerra. Un ex comandante croato che, condannato a ventidue anni di reclusione per i suoi crimini, si suicida in diretta davanti ai giudici. Da colpevole di crimini di guerra, diventa “un eroe nazionale”. “Anche la Serbia ha diversi criminali di guerra, per molti cittadini sono eroi nazionali. La Bosnia ne ha altrettanti”. Vuol dire che nella penisola balcanica, nei territori della ex Jugoslavia non si sono ancora fatti i conti con le azioni, con i crimini avvenuti. Non si è fatto ancora il conto con il nazionalismo. La storia non ha insegnato nulla e rigurgiti di guerra per la supremazia nazionale sono dietro l’angolo in ogni nazione dall’Italia alla Francia, alla Germania.
Non mancano le descrizioni di situazioni in cui Boško viene percepito come straniero e questo fatto lo “infastidisce”. In Italia la comprensione dei fatti è comunque alterata dal cumulo delle esperienze precedenti. Emblematico è la percezione della “crisi” in Italia che avviene nel 2008. Il protagonista non la comprende perché paragonandola alla crisi degli anni ’90 a Belgrado, questa dell’Italia sembra non essere reale. “Per me quella parola [crisi] ha altre immagini, quelle della mia adolescenza. Le lunghe code davanti ai supermercati per comprare solo il pane o il latte…”
Il testo affronta questi argomenti con una leggerezza anche se la continuità della ideologia nazionalistica sembra che insinui preoccupazione nel protagonista che dalla Serbia si è trasferito in Italia proprio perché non sopportava la dominanza dell’idea nazionalistica ivi esistente.
La leggerezza con cui i vari aneddoti sono raccontati costituisce meraviglia perché anche da noi il dramma avvenuto nella penisola balcanica ci riempie ancora di orrore e grossa preoccupazione. Ci siamo chiesti spesso “ma come è potuto accadere”. Eppure, è accaduto.
raffaele taddeo dicembre 2021