Barbara Pumhosel
In transitu
Arcipelago Itaca 2016 € 12
raffaele taddeo
Il titolo in latino dato a questa raccolta di poesie è da una parte straniante, dall’altra indica un percorso poetico rivelatore di uno spunto generativo forse non ancora del tutto chiaro alla stessa poetessa. L’humus poetico che sembra più rilevante è una sorta di chiaroscuro, non uso il termine crepuscolare per non assimilarla in qualche modo alla corrente del primo novecento.
Nella sua poesia ci sono zone di oscurità e di luce che rispondono a stati d’animo che si accostano alla realtà con circospezione, con titubanza, realtà interiore o esteriore che sia: “…/ho continuato a tracciare/ orme di scoiattolo/ sulla neve/ della memoria/ quando all’improvviso/ ho sentito annunciare/ perturbazioni, venti caldi/ e pioggia.” Questi pochi versi della poesia posta all’inizio sono densi di significati simbolici che vanno da una parte al forte richiamo del biancore della neve indice di chiarezza, purezza, limpidezza, all’improvviso emergere di perturbazioni, termine in netto contrasto con la neve e la sua immacolatezza. Questo indizio poetico viene ancor più ribadito, ad esempio nella poesia “video interiore” ove l’assimilazione di quello che avviene nella mente soggetta all’esperienza alle strisce bianche e nere della zebra ci riporta al chiaro-oscuro intravisto come cifra poetica di Barbara Pumhösel. Vi è sempre un timore di guardare nella propria memoria, di scoprire cose che non si vorrebbero “non apro questo cassetto/ non guardo le foto/ le tengo ancora/ sotto vuoti/ di memoria”. Ma anche timore di guardare la realtà nella sua nuda verità ed essenzialità. “Ci vogliono occhiali speciali. Meglio / girare intorno, approfondire/ i marginalia”.
Da una parte si vorrebbe scoprire qual è il segreto che ci conduca ad una conoscenza più approfondita, ma dall’altra si preferisce che il segreto rimanga tale e non possa essere svelato.
La silloge è composta da tre parti: Bestiarium, Dice Borges, Viaggio d’autunno.
Il primo gruppo di poesie è così chiamato perché non c’è testo in cui non viene evocato un animale, che sia la volpe, che sia il ragno o la gazza ladra, in ogni poesia è presente un animale o come spunto o come metafora. Questo elemento suggerisce la consapevolezza nella poeta di un attaccamento profondo al mondo naturale ed eziologico, osservato con profondità e delicatezza così come solo un poeta sa fare.
Il secondo gruppo di poesie è una sorta di omaggio a Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo, lo scrittore argentino vissuto nel secolo scorso che ha tanto influito sulla letteratura occidentale nella seconda parte del 1900. Vengono richiamate citazioni del poeta da cui Barbara Pumhösel parte per costruire i suoi nuclei poetici che, a volte sono un controcanto rispetto alle parole del poeta argentino, ma spesso non hanno nulla a che fare con Borges stesso. Sembrerebbe quasi un espediente per conferire maggiore solennità e lustro ai propri testi.
Infine abbiamo l’insieme delle poesie intitolate “viaggio d’autunno”. Intanto sono una riproposta della composizione scritta per Kuma circa 8 anni fa, poi sono articolate secondo lo schema haiku, organizzazione poetica giapponese del 1600, formato da tre versi a sfondo naturalistico. L’haiku viene riferito sempre ad una stagione dell’anno per indicarne l’atmosfera e la sua relazione al clima e all’ambiente. Ma con questo tipo di composizione la poeta mette a fuoco la dinamica del suo modo di scrivere, di comporre. “Piove sillabe/ da assemblare. ottengo/parole d’addio”-“piove punti di/ chiusura. trasparenti e/ definitivi”. Non è solo questo il tema, ma la stagione descritta è l’autunno, che con i suoi chiaroscuri indica la possibilità di non cimentare se stessi con forza, ma presentarsi e proporsi con semplicità e pudore fino all’annientamento, che poi è la pienezza dell’espressione: ”ti ho scritto una/lettera vuota perché/ non tace nulla”
Barbara Pumhösel usa una tecnica che ho visto presente in maniera sapiente solo nei testi del grande Montale. La poeta di origine austriaca si avvale di scene per manifestare ed esprimere i sensi della sua poesia. Non c’è composizione che non faccia ricorso alla descrizione scenica di qualcosa. Questa forma di organizzazione dei versi ha la caratteristica della rappresentazione visiva, si distacca dalla pura forma lirica che addensa in pochi tratti l’intensità emotiva che si vuole esprimere, ma si distingue anche dalla forma narrativa, che a volte viene usata nella poesia quando si vogliono metaforizzare spunti poetici che liricamente non si riesce a compiere. La tecnica della scenografia permette al lettore di giungere al cuore poetico della composizione attraverso un duplice straniamento quello dei versi, del suo metro, del suono, e quello della scena. Prendiamo come esempio una breve composizione: “Ancora”. Essa così recita: “il filo di tela di ragno/ mantiene l’equilibrio/ sospeso nell’aria. Il vento/ muove soltanto un dito/ e l’acero/ manda la prima foglia/ a chiamare l’autunno”. La prima scena è quella del filo della ragnatela che riesce a rimanere sospeso nell’aria. La seconda scena è una sorta di personificazione perché il vento si umanizza nel muovere il “dito”. La terza scena è quella della foglia dell’acero che cade ed evoca l’autunno.
Ciascuna di queste scene evoca sensazioni, sensi e significati che possono essere molteplici né ad interpretazione univoca, come d’altronde deve essere la poesia. Intanto ogni scena ha il tocco della leggerezza, il filo della ragnatela che riesce a non spezzarsi e rimanere sospeso, il vento che non ha impeto e forza dirompete come a volte può avvenire, ma muove solo un dito, così che anche questo agire del vento è intriso di levità, la medesima cosa accade con l’ultima scena della foglia dell’acero che cade. Ciascuno sa che il cadere della foglia non produce rumore, è un atto lievissimo. Queste tre scene così tenui nella loro incorposità a cosa possono rimandare? Personalmente azzardo l’ipotesi del senso del trascorrere del tempo che inesorabile continua il suo percorso senza alcun rumore. Sono altri o altre cose che producono frastuono, il tempo è silenzioso e rimane sempre in perfetto equilibrio come se fosse invisibile. Forse questa interpretazione potrebbe essere suffragata dallo stesso titolo dato alla composizione: “Ancora” nel senso dell’incessante scorrere silenzioso del tempo.
L’altra caratteristica tecnica dominante nelle poesie di Barbara Pumhösel è quello dello enjambement tecnica che rompendo l’unità sintattica da quella metrica produce una sorta di attesa, di sospensione e un prolungamento dello stesso suono del verso richiamando altri e più intensi significati. È importante rilevare come questa tecnica è anche molto presente nella terza parte della raccolta, cioè in “viaggio d’autunno”, pur in una struttura di soli tre versi.
16 gennaio 2017