Si sente spesso dire che le relazioni tra i paesi si basano sugli interessi e non sull’amicizia, ma il caso dell’Italia e del Senegal rappresenta un’eccezione. Le somiglianze tra i due paesi sono parecchie: il 1860 è l’anno dell’unificazione dell’Italia, ovvero l’anno in cui i diversi regni furono annessi al Regno di Sardegna per diventare, sotto la guida di Casa Savoia, uno stato finalmente unitario sotto l’aspetto territoriale. Ma, come sappiamo, è l’anno successivo, il 1861 quello in cui ci fu l’unificazione dell’Italia come monarchia costituzionale, in base allo statuto Albertino, con a capo re Vittorio Emanuele II. Mi sembra, però, doveroso segnalare che all’Italia mancavano ancora quattro territori: il Veneto, lo Stato Pontificio, il Trentino e il Friuli – Venezia – Giulia.
Un secolo dopo, ovvero nel 1960, il Senegal diventò una Repubblica. I regni che spariscono molto prima sono il Cadioor, il Baol, il Sine, il Saloum e altri; sparirono anche i Quattro Comuni ovvero i quattro territori i cui nativi sono stati considerati a tutti gli effetti cittadini francesi: Dakar, Rufisque, Gorée e Saint-Louis. Il Senegal era stato una colonia francese, l’Italia fu, per tanti anni, non unita, ma divisa sotto domini francesi e spagnoli.
Pur nella sua divisione politica, l’Italia, erede della civiltà romana, ha tante volte mostrato la ricchezza della sua produzione artistica e letteraria, invece della supremazia delle armi.
Il Senegal, da parte sua, un minuscolo paese di pochi abitanti, è conosciuto per aver coltivato tramite il suo programma scolastico in alcuni curricula l’umanesimo con l’insegnamento del latino e del greco. Questo termine si riveste di molti significati. Per umanesimo, non intendo affatto l’umanità delle persone, come virtù da coltivare, ma l’amore verso la rinascita della cultura antica o meglio la rinascita della lingua latina. Il primo presidente della Repubblica del Senegal, nonché suo illustre fondatore, Léopold Sédar Senghor, ha coltivato quest’umanesimo e l’ha posto come barometro incommensurabile per instaurare e sviluppare legami con l’Italia.
Un tratto antropologico rilevante sta di fatto nel celebre richiamo di Massimo D’Azeglio: «Abbiamo fatto l’Italia. Ora si tratta di fare gli italiani».
Nel 1960, il Senegal nacque, ma chi sono i veri senegalesi? Il paese è un territorio abitato da varie etnie. Come Massimo d’Azeglio, Senghor iniziò un lavoro complesso, direi il più arduo: fare i senegalesi. Lo strumento senghoriano fu il dialogo, per superare le nostre diversità e mettere l’interesse comune al centro del dibattito politico. Il suo intento fu quello di creare una Nazione unita, pur nella sua diversità culturale, linguistica e religiosa. L’Italia aveva attuato la medesima linea di ricostruzione: un’identità comune basata sulla cultura, la religione e la lingua. Per questo il Risorgimento può essere visto come il tratto distintivo che unisce i due paesi.
Il contributo intellettuale senegalese, illustrato dai suoi importanti studiosi e particolarmente dal presidente poeta L.S. Senghor, ha fatto scuola in Europa. Dopo la Grande Guerra, nel 1928 il figlio prodigo parte dal suo Sine natio, un regno ricco e forte, per sbarcare a Parigi, sulla Senna: qui rivendicò senza nessun problema l’esistenza della sua cultura, non nera ma negra. Senghor e i suoi amici iniziarono a usare senza nessun complesso d’inferiorità il lemma negro per identificarsi e porre come fondamento l’esistenza di una cultura, la quale, come sostengono, può contribuire alla costruzione della Civiltà Universale. L’Italia (anche se non esisteva ancora il nome Italia come entità politica), dal canto suo, ha partorito molti secoli prima il Rinascimento, una lezione che rimarrà per sempre nella storia. Questo grande movimento culturale servì come linfa all’umanità per respirare cultura; rappresentò l’ossigeno che nutrì la coscienza umana e sviluppò le arti e le lettere.
È importante rilevare questo percorso per identificare le somiglianze tra i due paesi. Il filosofo-poeta, allertato dall’importanza di condividere gli apporti di altre aree culturali, rivisitò il patrimonio letterario italiano. La sua celebre antologia poetica[1] si apre con un testo intitolato Cara Italia e in un passaggio molto eloquente afferma: «Molte sono le ragioni che inducono un uomo di cuore e di cultura ad amare l’Italia, erede della civiltà romana» … e aggiunse:
Nel secolo scorso, quando si formò l’Europa delle nazioni sulle rovine dell’Europa degli imperi, che non ha ancora totalmente disarmato, all’Italia andò l’amore di tutti i popoli che lottavano per la propria indipendenza, ma soprattutto dei poeti che a tali lotte parteciparono col loro canto e spesso con la loro azione. Fra gli stranieri, voglio nominarne uno solo, di cui celebriamo quest’anno il bicentenario della nascita: George Byron. Infatti, fra le nazioni oppresse, egli cantò le più illustri, per antichità e universalità di storia e di cultura: l’Italia e la Grecia, in Italia vivendo la maggior parte e alla Grecia insorta facendo il sacrificio della giovane vita.»[2]
Possiamo intuire già da questa sua affermazione che Senghor abbracciava l’Italia con un amore viscerale e sincero. La poesia diventò l’elemento distintivo. Cattolico, Senghor aveva una grande ammirazione per Manzoni e allo stesso modo leggeva anche Leopardi e Montale.
È attraverso la poesia che i rapporti tra i due paesi sono stati costruiti: l’Italia, terra fertile e poeticamente effervescente, e Senghor, fondatore di una nazione africana che condivise il sistema di conoscenza occidentale come occasione di arricchimento. Come già noto, la visione, o meglio la filosofia senghoriana, è improntata sull’Enracinement et l’Ouverture, sradicamento e apertura, due postulati importanti per la costruzione dell’Universalità. E quest’universalità avrà luogo quando ognuno riuscirà a procedere alla grande operazione intellettuale, ovvero la simbiosi delle culture come la chiamava Senghor.
Mi soffermo sul tema della poesia ricordando ai nostri lettori che Platone, nel III libro della sua Repubblica, non aveva dato una grande importanza alla poesia: «Pregheremo Omero e gli altri poeti di non sdegnarsi, se elimineremo questi e tutti gli altri versi simili, non perché non siano poetici e gradevoli per la gente, ma appunto perché quanto più sono poetici, tanto meno debbono udirli i giovani e gli adulti, se vogliamo esser liberi e temere il servaggio più della morte».[3]
A questo punto mi chiedo: se Dante fosse escluso, come sarebbe l’Italia? Nella gestione del Bene Comune, nessuno dev’essere escluso, a maggior ragione i poeti, costruttori di ponti, profeti della parola e creatori dei versi. Tuttavia, la poesia ha in realtà unito i nostri due paesi. E Senghor ha attinto davvero molto nel pozzo dei grandi illustri poeti italiani per forgiare la sua visione poetica e la sua matrice filosofica. Ai poeti italiani, la parola fu la linfa della costruzione poetica, medesima visione fu per Senghor che parlò di mot accoucheur come della via maestra per rendere immortale l’anima del poeta. Poeta civile fu il nostro Leopold, -nella sua produzione l’impegno civile ha occupato un posto rilevante fondamentale, in particolare fu importante la difesa del territorio nazionale, come lo fu per Petrarca, che si identificò nell’idea di unire il paese: «Virtù contro al furore / Prenderà l’armi, e fia il combatter corto; / Chè l’antico valore. / Negli Italici cuor non è ancor morto»[4].
Da questo punto di vista occorre unire Dante a Senghor. Basta ricordare quando il Grande Poeta, nei suoi versi, tramite Camilla, rappresenta il popolo italico che lotta per la propria libertà. Infatti, nella Divina Commedia ricorda la giovane come la prima martire della Patria: «[…] di quella umile Italia fia salute/per cui morì la vergine Cammilla»[5]. Senghor va considerato come il griot dell’Africa, della diaspora nera, un cantastorie che versa la sua saliva per aureolare di gloria la sua immensa cultura derisa e negata. La poesia è amore, un campo da coltivare. Dante, il Sommo Poeta, l’ha capito e ovunque ha affermato che la bella poesia dovrebbe servire per lottare. Egli va messo sull’altare della patria per l’amore che proprio lui seppe esprimere per «Il Bel Paese», precisamente nell’Inferno con l’espressione «del bel paese là dove ‘l sì sona»[6]. Altre somiglianze con il presidente-poeta che usò la poesia per elogiare la sua terra le possiamo ritrovare in vari versi.
Donna, accendi il lume a burro chiaro, parlino intorno gli Antenati,
come i genitori, i figli a letto.
Ascoltiamo la voce dei Saggi d’Elissa. Come noi esiliati
Non hanno voluto morire, che si perdesse nelle sabbie
il loro torrente seminale.
Che io ascolti, nella capanna fumosa visitata da un riflesso
d’anime propizie
Col capo sul tuo seno caldo come un galletto all’uscir
dal fuoco e fumante
Che io respiri l’odore dei nostri Morti, che io raccolga
e ridica la loro voce vivente, che io impari a
Vivere prima di scendere, oltre il palombaro,
nelle alte profondità del sonno.[7]
Femme, allume la lampe au beurre clair, que causent autour les Ancêtres
comme les parents, les enfants au litcoutons la voix des Anciens d’Elissa. Comme nous exilés
Ils n’ont pas voulu mourir, que se perdît par les sables leur torrent séminal.
Que j’écoute, dans la case enfumée que visite un reflet d’âmes propices
Ma tête sur ton sein chaud comme un dang au sortir du feu et fumant
Que je respire l’odeur de nos Morts, que je recueille et redise leur voix vivante, que j’apprenne à
Vivre avant de descendre, au-delà du plongeur,
dans les hautes profondeurs du sommeil.[8]
In Petrarca ci sono parecchi versi che richiamano la patria, l’impegno civile e il canto in lode della propria cultura. Questa visione era anche senghoriana ma, in luogo delle armi, Senghor ha posto il dialogo e la scrittura come mezzi per lottare per dare dignità al suo popolo; a testa alta per dire no al colonialismo; affermarsi, assimilare e non essere assimilato come amava ribadire. Nell’analisi di quest’ultimi concetti, il dia-logos è stato sempre lo strumento importante per favorire momenti di grande condivisione, ma soprattutto di unificazione.
Non mi soffermerò sull’aspetto filosofico del concetto di dialogo. Il principio su cui si basa il dialogo fu per Senghor il rispetto delle scelte altrui. Il nostro presidente-poeta ha eretto questa visione del dialogo tra le culture come pilastro di ogni Stato moderno. La sua filosofia è stata apprezzata da molti paesi occidentali, l’Italia gli ha riconosciuto il notevole contributo portando il suo nome nel tempio della Repubblica. Infatti, il 2 ottobre 1962, l’Italia conferì a Senghor l’onorificenza di Cavaliere di Grande Croce con Collare dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e nel 1977 gli assegnò il Premio come Cultore di Roma per le sue idee atte a favorire il dialogo tra i popoli.
Ora propendiamo a sostenere, dopo questo breve excursus, che i rapporti tra l’Italia e il Senegal, al di là di alcune somiglianze evidenziate prima, hanno elementi di accordi solidi, resi concreti da personaggi politici come Giorgio La Pira. Si narra che Senghor, anche se soggiornava abitualmente a Verson in Normandia nella sua residenza, abbia fatto spesso dei viaggi in Italia per l’amore che nutriva nei confronti della cultura italiana.
I rapporti tra l’Italia e il Senegal, che la cooperazione sta conservando e migliorando, non si basano solo sugli interessi economici, bensì privilegiano lo scambio culturale che tra l’altro molti cittadini migranti senegalesi stanno continuando. L’artefice di questo lavoro fu il poeta presidente il quale chiude Cara Italia ringraziando: «Il mio ringraziamento, profondo e sincero va all’Italia, a tutto il suo popolo, per la sua umanità, la sua cultura, soprattutto il suo spirito di fratellanza universale.»[9]
Ripercorrere il vissuto di importanti personaggi, credo possa servire alle nuove generazioni, soprattutto per evidenziare ciò che hanno portato alla grande e gloriosa costruzione della Civiltà Universale.
Nel 700º anniversario della morte di Dante, dialogare anche con personaggi contemporanei, che hanno abbracciato la sua lirica, è fondamentale. Anzi, non esiste, a mio parere, un punto più importante da rilevare per parlare del lascito di Dante. In questo momento cruciale, sul tema della cooperazione internazionale, va messa la Cultura, come disse Senghor, all’inizio e alla fine di ogni processo di sviluppo. La poesia ha questa forza per favorire un mondo di pace, come lo stesso Senghor ribadisce: «Ho sognato un mondo di sole / nella fraternità dei miei fratelli / dagli occhi blu»[10].
Così Senghor che amava abbracciare i popoli, il presidente poeta che elogiava l’Italia per la sua alta cultura millenaria. Ricordiamo il famoso discorso, pronunciato nel 1962 dal suo caro amico allora Sindaco del capoluogo toscano a Palazzo Vecchio a Firenze, Giorgio La Pira, riprese una famosa citazione di Senghor, in cui ribadì: «Un popolo che si rifiuta di andare verso l’ appuntamento della storia, che non si crede portatore di un messaggio unico, questo popolo è finito e va posto in un museo… (occorre che) la nazione africana parli, soprattutto che agisca, che apporti il suo unico messaggio al mondo per collaborare all’ edificazione della “Civiltà dell’ Universale”.[11] Giorgio La Pira aggiunse: « Queste parole che sono sue, Signor Presidente, noi le facciamo le nostre, a Firenze, noi ci crediamo».[12]
Arrivo alla conclusione ricordando il famoso discorso che Senghor fece al Banco di Roma, con un richiamo a tutti gli africani per un dialogo fertile e per un’apertura verso l’Europa: «… L’Europa e soprattutto Roma ci ha portato il suo metodo e ciò si è rivelato efficace. Il nostro ruolo è adattare questo metodo alle realtà della Negritudine; il nostro ruolo, è di servirsi di questa ratio latina per analizzare le nostre realità, per organizzare i nostri simboli e i nostri ritmi per renderli efficaci, perché siamo oggi in un mondo d’efficacità, in un mondo di costruzione.»[13]
L’Italia si affaccia sul Mediterraneo, il Senegal abbraccia l’oceano Atlantico: terre di emigrazione. Anche questo è un tratto distintivo dei due paesi. La schiavitù ha macchiato la nostra storia e in noi sgorga un’umanità che pone l’uomo al centro di tutto. L’Italia ha saputo valorizzare l’uomo. Per cui possiamo dire che i due paesi hanno saputo cogliere la famosa citazione di Terenzio: «Homo sum, humani nihil a me alienum puto». In parole semplici diremmo “Nulla che sia umano mi è estraneo”. Ecco ciò che i poeti cercano, l’umano che le due culture hanno saputo cogliere per tracciare la via della cooperazione. E il latino ha facilitato tale percorso come afferma L. S. Senghor: «La latinità è prima di tutto il senso dell’Umano, rispetto per la persona umana attraverso le razze e le religioni.»[14]
Biografia
Cheikh Tidiane Gaye, senegalese di nascita, italiano di adozione è noto come uno dei rari poeti della Negritudine in Italia. Laureatosi in Filosofia, ha ottenuto significativi riconoscimenti letterari ed è presente sulla scena culturale italiana attraverso interventi, letture e performance poetiche che testimoniano la partecipazione alla vita del suo nuovo paese. È presente in diverse antologie, in
vari saggi ed è Membro del Pen Club Internazionale Lugano Retoromancia. È autore di svariate riflessioni sui temi inerenti all’immigrazione, l’integrazione ed è membro della giuria del Premio letterario Jerry Maslow ed è fondatore del Premio Letterario di Poesia e Narrativa della Città di Arcore e del Premio Internazionale di Poesia Léopold Sédar Senghor. È autore di: Il giuramento (Liberodiscrivere editore, 2001), Méry principessa albina (Edizioni dell’arco, 2005), Il canto del djali (2007), Ode nascente/ode naissante opera bilingue italiano/ francese (2009) e Il cantore della Negritudine, (trad. poetica di Senghor, 2013), Curve alfabetiche (Montedit, 2011), Rime abbracciate/L’Etreinte des rimes, opera bilingue italiano/ francese, (L’Harmattan–Paris Editions, 2012), Prendi quello che vuoi, ma lasciami la mia pelle nera con prefazione dell’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia (Jaca Book Editore, Milano, 2013) e Ma terre mon sang (Ruba Editions Senegal, 2018), Il sangue delle parole (Kanaga Edizioni, 2018). Nuove pubblicazioni con Kanaga Edizioni: Méry principessa albina, Il canto del djali, Ode nascente/ode naissante opera bilingue it
[1] L. S. Senghor, L’Opera poetica, traduzione di Mario Roffi, Corbo e Fiore Editore, Venezia 1988.
[2] L. S. Senghor, L’Opera poetica, cit., pp. III-V.
[3] Platone, La Repubblica, Libro III, Mondadori, Milano 2009, p. 181.
[4] CXXVIII 93-96.
[5] Inf. I 106-107.
[6] Canto XXXIII 80.
[7] Cheikh Tidiane Gaye, Il cantore della Negritudine, Kanaga Edizioni, Arcore 2019, p. 27.
[8] Cheikh Tidiane Gaye, Il cantore della Negritudine, cit., p. 26.
[9] L. S. Senghor, L’Opera poetica, cit., pp. III-V.
[10] L. S. Senghor, Œuvre poétique, Editions du Seuil, Paris, 2006, p.52.
[11] Message de paix adresse au monde par le President de la Republique du Senegal Leopold Sedar Senghor : Florence, 4 octobre 1962 -AG001005479 – pag 9.
[12] Ivi.
[13] Negrità e politica africana. Discorso pronunciato a Roma, il 5 ottobre 1962, nella Sede del Banco di Roma, sotto gli auspici del Centro Italiano di Studi per la Riconciliazione Internazionale., p. 17.
[14] L. S. Senghor, Négritude et Humanisme, Edition du Seuil, Paris, 1964, p.354.