In tv la bella ragazza era molto triste. La storia col pupazzo di pezza era finita. Dopo la gioia per la nascita di Pupazzino, il tradimento proprio non se lo aspettava. La ragazza mostrava il pupazzo figlio, lo accarezzava sistemando i fili di lana sulla testa di straccio. Gli diceva, guardando con gli occhi umidi la telecamera: come faremo? E si portava una mano alla fronte.
La signora dentro la casa guardava un po’ lo schermo e un po’ fuori mentre sorseggiava del tè bollente. Dalla finestra vedeva le fronde del limone, un fiore fucsia di surfinia e la fila di api finte che si ricaricano al sole. Il suo panorama.
Quando la bella ragazza senza rughe disse che voleva provare a dare una chance alla relazione con Pupazzo per il bene di Pupazzino, la signora rimase a guardare curiosa di capire fino a che punto la ragazza si sarebbe spinta. Si arrese quando raccontò che lui si era pentito e che l’amava, che il tradimento era stato solo un capriccio, allora prese la borsa e le chiavi di casa. Rimase un attimo con il telecomando sospeso in aria perché la bella ragazza stava facendo un appello ai telespettatori, chiedeva di pregare per darle la forza di superare la crisi.
«Ci sarà un dio adatto da pregare in queste situazioni…» esclamò accorata e senza rughe.
«Non può essere…» Disse la signora mentre scendeva le scale di pietra grigia e lo ripeté accarezzando Ripì il gatto rosso che si stirò e inarcò la schiena accompagnandola per un tratto da sopra il muretto. Prese la bicicletta e nel salire si sbucciò un malleolo. La sbucciatura bruciava ma si convinse che fosse una piccola penitenza.
Al supermercato indossò la divisa e andò a prendere con il transpallet un bancale di latte parzialmente scremato.
«Guarda la vecchia com’è ardita!», sentì dire da uno degli addetti alla preparazione delle spese on-line. Adesso sapeva che si riferivano a lei anche se aveva fatto il colore e messo il mascara. Si vide riflessa nella vetrina e c’era differenza tra il come si sentiva e il come si specchiava. A mano a mano che raggrinziva, il mondo le cambiava d’intorno. Invecchiare era un difetto.
Sentiva di essere giudicata mentre trascinava il transpallet, mentre ricercava l’allegato da mandare via mail, mentre correva per rispondere al telefono. Tra un appuntamento e l’altro dal parrucchiere. Era già da un po’ che provava quelle sensazioni, da quando le Risorse Umane si erano interessate più di una volta alla sua data di nascita, ma erano state le giovani colleghe a darle la mazzata. Era una cosa stupida, forse. Non aveva più ripreso un caffè da quella volta. Due ragazze senza rughe e gentili che quel giorno erano alla macchinetta in pausa con lei. Dopo aver bevuto il caffè, mentre raccontava della pasta ai funghi cucinata la sera prima, una delle colleghe le aveva pulito la bocca con un fazzolettino. Le aveva pulito la bocca perché le erano rimasti i baffi. Poi si era scusata: perdonami mi è venuto spontaneo! Lei non aveva riso.
Nel corridoio delle conserve passò accanto a una ragazza dai capelli ramati e la camicia rossa. Fu costretta a guardarla più di una volta, nel marsupio aveva un pupazzino con i capelli fatti con fili di lana arancione. La ragazza si preoccupava di tenergli la testa perché non ciondolasse, quando era costretta a piegarsi per prendere qualcosa negli scaffali bassi.
Un pupazzino come quello della trasmissione.
La signora si sedette su una confezione di olio in lattina. Per tanto tempo i clienti del supermercato avevano portato a fare la spesa bambini nel marsupio, poi più cani che bambini, adesso toccava ai pupazzi e alle bambole.
Passò il caporeparto e le disse: cosa fa lì seduta?
Non gli rispose e riprese a lavorare. Poteva essere suo figlio se non avesse avuto gli occhi azzurri. Si arrendeva, non serviva più ragionare.
Verso le undici quando gli addetti alle pulizie se n’erano appena andati, il caporeparto la chiamò alla radiolina: “Cupidi venga in magazzino, ce la può fare ho è ancora seduta sull’olio in lattina?”.
Aveva radi capelli bianchi e una fascia fuxia per tenerli, la vecchia cliente che si girò di scatto per capire da dove veniva la voce, poi disse qualcosa a Palmiro il bulldog francese che la guardò come fanno i cani.
Maria sganciò la radiolina dalla cintura, premette il pulsante e rispose ma era una radiolina molto usata e qualcosa non andò bene. Il caporeparto la incalzò: “Cupidi, non ha ancora preso dimestichezza! Deve premere bene se vuole che la sentiamo. Si eserciti e si sbrighi, sto aspettando.
C’era nell’aria un buon odore di pane quando Maria si spostò per raggiungere il magazzino. Un vecchio cliente, una faccia nota, ciabattava appoggiandosi al carrello. Aveva tinto i pochi capelli di arancione pennarello e li aveva riuniti in una coda di topo. Si fermò davanti allo scaffale dei vini a conversare con l’etichetta di una bottiglia-
In magazzino, nel piccolo container che chiamavano ufficio, il caporeparto stava alla scrivania, alzò gli occhi e corrugò la fronte quando la vide. Spense la lampada sul tavolo. Nella penombra le disse: «Cupidi, vengo subito al punto, la vedo ansimante, distratta, che succede?».
«Ma veramente…»
«Mi lasci parlare! La vedo spesso appoggiata, seduta… dall’ultima visita medica risulta che non ha più la piena efficienza…».
«Non mi sono mai lamentata, mi pare… faccio tutto quello che ho sempre fatto.».
«E mi dica, ha forse bisogno di occhiali?».
«Li uso da vicino è un problema?».
«No, no, li usa anche per lavorare al computer?».
«Sì… è un problema?».
«Il problema è che lei è lenta, anche quando sbriga semplici manovre. Sicura di stare bene?».
Maria stava seduta davanti al ragazzo e si guardava le unghie, lisciava la mano destra. Il giorno prima aveva messo lo smalto ma quella del medio era già scheggiata e l’assenza di colore aveva la forma di un cuore.
«Cosa vuole da me?». Gli disse e si alzò.
Il ragazzo caporeparto, teneva la testa inclinata da un lato, era un suo vezzo, e guardava lontano. Fece un respiro profondo per intonare la voce.
«Se ne dovrebbe andare… credo che sarebbe ora… le verremmo incontro con una buonauscita.».
«Non ho l’età per andare in pensione, quanto mi offrireste?».
«Ora così su due piedi non so quantificare… cinquemila, seimila euro…».
Maria per un attimo gli sovrappose il caporeparto di quando era stata assunta trentatré anni prima, niente coincideva, era un altro mondo.
«Sono tre o quattro stipendi e io devo lavorare per almeno altri otto anni, sempre che non cambino la legge… è una proposta stupida, offensiva.».
Il caporeparto si spostò dalla scrivania spingendo la sedia con i piedi, cambiò il tono della voce, Maria lo sentì bene che era stizzito, poi abbassò lo sguardo e lisciò la cravatta blu d’ordinanza facendola scorrere tra le dita.
«È difficile farlo capire a quelli della sua generazione ma l’azienda ha bisogno di giovani, e i giovani devono poter lavorare!».
«Credo di averle detto tutto. Vorrei tornare a finire quello che stavo facendo, tra poco termina il mio turno…».
«Non le faremo sconti! Sarà trattata come i suoi colleghi! Niente lagne!». Disse arrotolando la cravatta alla mano.
«Non chiedo di meglio.» Rispose mentre se ne andava.
«E si lavi i denti! Hanno un brutto colore!».
Suonava il cicalino della retromarcia di un camion che faceva manovra. Entrò in negozio, le lacrime orgogliose rimasero dentro agli occhi ma si strinsero in strisce luminose. Era l’ultima dei primi assunti, nessuno di quelli che aveva intorno sapeva come erano andate le cose. Non c’era più nessuno a cui dire: «Ti ricordi?».
Le venne in mente la ragazza in tv, quella tradita dal Pupazzo. Ma sì… era possibile. Andava detto a Ripì.