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poesie

Mio l’affanno del dì perduto

sui corpi cimeli si spegne la carne unta

sui palmi vuoti cade l’acqua arsa

dal nulla eterno dal giorno perduto

dal mio corpo muto dal grido spento

si inabissa nel suolo la parola sola

nel buio del mondo si rompe l’effige maestrale

Il tuo volto scompagina la carne

la sera remota sui cigli si adagia

sui fori bui delle carni spezzate

sulle ossa cenere del corpo muto

sulla lingua rossa la sfera cade

sui marmorei gigli di bianco vestita

all’altare del nulla giungo a piedi nudi

sulle ginocchia rotte porto il tuo nome

vassallo nel mio corpo irridente

la mia carne tocca la tua

nel mio unico silenzio mortale

Sugli altari plumbei scorre il sangue

sui calici bianchi le macchie nere

sono ombre del tempo finito

sui volti grigi si corrompe l’ora tardiva

si manifesta il passo funesto

adombrato dal silenzio di un vecchio abito sgualcito

dagli orli smunti e dai tessuti logori

dalla pelle a pezzettini divampano le animelle

si nutrono del cuore morente del torbido mondo

della gente

del giorno perso sul nulla della mano piccola e ferma del cuore morente sul torbido giorno

Nei fuochi sparsi sui luoghi perduti

cade il seme spurio di me

sul padre giace il fardello eterno

del mio nome

sui colmi ripiani degli altari

sui corpi piani esangui

si annovera la storia lontana

effige del mondo rituale perduto

del giorno maestoso rimane l’incanto

incantesimo nuovo del mondo morente

mio l’altare del padre perduto

Nel deserto ramingo elemosino il giorno

lontano resta la mano

nella mia pena si sfalda peregrina la tua voce

silente non resta che il buio niente

Arrivo da lontano sono nata dal nulla

e nel nulla io vivo

Riposo nella requie stanca

calda genesi delle acque purpuree

pura requie di forme sottili

amplessi soavi su calde oscurità cavernose

pura requie stanca calda genesi purpurea

Sulla seta marmorea si posano le mie mani

sui corpi bianchi cade la neve

sulla pelle striata l’acqua penetra la carne

sui bastimenti lontani si dilegua il passo stanco

Sui volti pallidi il desueto cantare

rigore nel tempo si rompe il pelago gelido

Del danno perduto resta ancora il fremito.

Del giorno sonoro l’oltraggio infausto.

L’ora compiuta il passo remoto nell’inverno dei monti sulla cenere della coltre bianca riposa mesta l’attonita effige del greve viso.

Istante convulso plauso sonoro del tempo

invisa geme nel calderone nero il plauso spento

desta il torpore muto sul candido languore.

Del danno perduto resta ancora il fremito.

Del giorno sonoro l’oltraggio infausto.

L’ora compiuta il passo remoto nell’inverno dei monti sulla cenere della coltre bianca riposa mesta l’attonita effige del greve viso.

Istante convulso plauso sonoro del tempo

invisa geme nel calderone nero il plauso spento

desta il torpore muto sul candore improbo.

Cade nell’aere sommessa disadorna la mano

si accascia sul freddo tempo si accascia sul lungo tempo si accascia su smarrimenti svaniti sul lungo tempo disadorna la mano cade nell’aere sommessa sul freddo tempo su smarrimenti svaniti la mano

si accascia nell’aere sommessa

 

invisa geme nel calderone nero il plauso spento

desta il torpore muto sul candido languore.

Del danno perduto resta ancora il fremito.

Del giorno sonoro l’oltraggio infausto.

L’ora compiuta il passo remoto nell’inverno dei monti sulla cenere della coltre bianca riposa mesta l’attonita effige del greve viso.

Istante convulso plauso sonoro del tempo

invisa geme nel calderone nero il plauso spento

desta il torpore muto sul candore improbo.

Cade nell’aere sommessa disadorna la mano

si accascia sul freddo tempo si accascia sul lungo tempo si accascia su smarrimenti svaniti sul lungo tempo disadorna la mano cade nell’aere sommessa sul freddo tempo su smarrimenti svaniti la mano

si accascia nell’aere sommessa

 

L'autore

Vivian Ley

Nata nel 1983 la storia di Vivian Ley è caratterizzata dall’abbandono famigliare per essere nata donna. Trascorre l’infanzia accudita dai nonni. La sua opera narrativa, poetica e drammaturgica, nasce per risarcire e difendere tutte le donne rinnegate, oltraggiate, e offese. La sua opera letteraria è volta a rappresentare la liberazione della donna, che può essere conquistata attraverso un percorso di autocoscienza e rinnovata percezione di sé e della propria storia personale. Vivian Ley afferma che non c’è cambiamento nella donna che non inizi dalla completa accettazione della propria storia individuale. Trascorre la maggior parte della sua vita tra Roma, Torino e Milano. I suoi laboratori: il laboratorio poetico “Una stanza tutta per sé” e il laboratorio teatrale “Il teatro di liberazione”, entrambi dedicati alle donne vittime di violenza, sono occasioni di crescita, di autocoscienza, di compartecipazione solidale tra donne, piccoli presidi di resistenza.

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