Dante

Dante. Un incontro inatteso

Cosa può scrivere una ragazza nata nelle Ande di uno dei più illustri pensatori della cultura italiana?[1]

Di quello che mi venne detto di Dante alle medie non ho memoria, soltanto al liceo studiai approfonditamente l’opera più famosa del poeta fiorentino. Mi divertivano i pusillanimi disegnati sulla lavagna dal mio barbuto professore di italiano, ma ammetto di avere iniziato a provare un sincero interesse per gli scritti danteschi soltanto all’università. Qui, ricordo che la mia professoressa di letteratura parlava di Dante come di un carissimo amico. Un giorno a lezione raccontò una curiosità sulla sua scrittura che mi fece riflettere. Disse che Dante non aveva inventato proprio tutti i modi di dire presenti nella Commedia, come io ingenuamente immaginavo, alcuni andavano semplicemente di moda nel suo periodo storico. Ricordo che pensai che fin dai tempi di Dante, e forse anche prima, i saperi si rimescolano in un pentolone chiamato Cultura Umana e che avrei voluto assaggiare tutti quei sapori diversi.

Pochi giorni fa leggendo l’ultimo libro dello storico Alessandro Barbero ho notato dei tratti biografici affini tra la storia di vita del poeta e la mia [2]. L’autore racconta, a tratti con tenerezza e ilarità, le principali vicissitudini che hanno segnato l’esistenza del poeta in-seguendo le fonti storiche del suo tempo. Dante, ad esempio, in età adolescenziale, come altri suoi coetanei di allora e di oggi, si innamora e sogna nuda la propria amata, Beatrice. Il poeta, crescendo, matura le proprie idee politiche, nel corso degli anni produce una serie di preziosi scritti, diventa uno stimato personaggio pubblico, a vent’anni si sposa, ha dei figli e infine all’età di cinquantasei anni passa a miglior vita.

Dante è vissuto nel quattordicesimo secolo mentre la sottoscritta vive nel ventunesimo, i nostri animi sono stati mossi da venti e mari differenti ma la forza motrice, talvolta, rimane la stessa.

Cosa abbiamo in comune io e Dante?

Per esempio, entrambi non siamo inclini al riso facile. A volte capita che quando sono in mezzo ad altre persone, anche amici, non sempre trovi divertente quello che a loro suscita ilarità. Io non tollero battute sessiste, xenofobe e omofobe. Ma non pensiate che io non rida mai poiché abito un mondo patriarcale, razzista ed etero-normativo. Succedeva anche a Dante di non ridere incondizionatamente. Barbero racconta che questo fu il motivo di discordia tra il poeta e l’esponente più famoso della dinastia Scaligera, il signore Cangrande. Dante già in esilio si trovava a Verona, ospite presso la corte di quest’ultimo. Si racconta che un giorno Cangrande, indispettito dall’indifferenza dimostrata da Dante alle battute oscene del suo buffone di corte, lo provocò: “Perché quel pazzo piaceva a tutti e a lui che passava per tanto saggio invece non piaceva?”[3]. Dante allora si difese da tale attacco dicendo quello che io avrei voluto tante volte rispondere ad altri: ognuno ride insieme a chi gli assomiglia.

Toccando tasti biografici più delicati è possibile affermare che sia io sia Dante abbiamo mangiato il pane altrui con nostalgia di quello di casa. Il suo esilio e la mia migrazione dal Perù all’Italia hanno in comune l’assoluta mancanza di intenzionalità. Così come a lui fu imposto di lasciare Firenze, anche io non scelsi di venire in Europa. Il suo fu un esilio politico, il mio un esilio postcoloniale dettato dalle conseguenze economiche e storiche del colonialismo moderno occidentale che si riverberano ancora oggi nelle esperienze di vita contemporanee. Questo groviglio storicoculturale produce il sale della mia personale vita e della condizione umana universale[4].

Io racconto il sapore agrodolce della mia essenza, delle persone che l’hanno resa più dolce e più amara. Sarebbe divertente riscrivere la Commedia in relazione al mio tragitto storico, per esempio, all’inferno incontrerei Francisco Pizarro. Tuttavia sarebbe impossibile stabilirci un dialogo perché l’invasore spagnolo sarebbe intento a deglutire manufatti d’oro, a defecarli intatti e a continuare a ingoiarli in un eterno ritorno di cupidigia.

Un altro punto in comune tra Dante e me ha a che fare con il modo di pensare la politica. Entrambi siamo a favore di un sistema di governo fondato sulla concordia che curi gli interessi di tutti e tutte. Dante mirando all’unione dei comuni fiorentini del ‘300, io auspicando un eco-comunismo queer nel mio presente[5]. Perché proporre questo movimento sovversivo?

La risposta la troverete provando a chiedervi come sarebbe la vita di una donna in un mondo privo di misoginia. Chiedetevi ancora come sarebbe la vita di un transessuale in un mondo non-binario. Oppure provate a pensare a come sarebbe la vita di un profugo in un mondo senza confini. Infine, provate a immaginare una terra dove l’uomo[6] vada oltra la dicotomia Natura-Cultura. Natura è cultura e Cultura non-è senza Natura.

La forza motrice che muove questa mia lotta risiede, da un lato, nella ricerca della felicità di esercitare la vita, dall’altro, nella possibilità di acquisire uno stato di intellegibilità che renda visibili tutti e tutte.[7]

Concludendo, l’ultimo punto in comune tra me e Dante riguarda l’arte di scrivere. Di Dante hanno detto che se non fosse andato in esilio forse non avrebbe mai scritto la Commedia. Allo stesso modo, se non fossi fuggita dall’eterosessualità, non fossi stata sradicata dalle Ande e non avessi abbandonato la terra del patriarcato[8], probabilmente non avrei mai iniziato a scrivere.

Dopo aver letto il libro di Barbero ho visto Dante sotto una nuova luce, più umana, e questo mi ha fatto capire come traiettorie di vita diverse e apparentemente lontane per spazio, tempo e ruolo, si possano intrecciare.

Questa scoperta singolare vuole diventare plurale e mi induce a sussurrarvi all’orecchio di correre via, lontano, sempre più veloce, dalle vostre terre aride dove non potrete mai fiorire. Che l’esilio sia forzato o volontario, darà vita talvolta a opere leggendarie, come è capitato a Dante, altre, a scritti terapeutici, come è stato nel mio caso. Altre volte ancora produrrà soggettività prima negate ma da lì in poi performabili.


[1] Onde evitare di fare arricciare il naso a qualcuno tengo a precisare che il presente testo non è stato scritto né da una dantista, né da una medievalista, ma da una giovane aspirante scrittrice.

[2] Alessandro Barbero, Dante, Laterza, Bari 2020.

[3] A. Barbero, op.cit., pag. 256

[4] Per approfondire tale argomento si consiglia la lettura dell’opera L’idea di America Latina. Geostoria di una teoria decoloniale di Walter Mignolo, Mimesis, Milano 2013.

[5] Con comunismo queer faccio riferimento alla teoria del filosofo italiano Federico Zappino esposta in Comunismo queer. Note per una sovversione dell’eterosessualità, Meltemi, Roma 2019.

[6] Non intendo l’Uomo Specie in quanto alcuni uomini sanno bene che non esiste un confine tra Natura-Cultura. L’uomo di cui parlo è colui che ha causato la propria antropocene.

[7] Per approfondire le tematiche riguardanti il pensiero di genere si suggerisce la lettura di Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità di Judith Butler, Laterza, Bari 1999.

[8] Qui “Terra del patriarcato” appartiene alla mia personale geografia mentale e non spaziale-terrestre.

Yeniffer Lilibell Aliaga Chávez

autrice del Concorso letterario nazionale Lingua Madre

L'autore

Yeniffer Lilibell Aliaga Chávez

Yeniffer Lilibell Aliaga Chávez nasce nelle Ande settentrionali del Perù nel 1991.
All’età di otto anni si trasferisce a Torino per raggiungere la madre, emigrata quattro anni prima di lei. Frequenta il liceo linguistico e successivamente si laurea in Storia dell’Arte. Termina gli studi conseguendo la laurea magistrale in Antropologia Culturale. Attualmente sta raccogliendo i racconti della nonna Adela, per scrivere un libro di storie, esperienze e memorie. Con Mille e una luna ha vinto il Primo Premio della XV edizione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre con la seguente motivazione: «Per il modo in cui delinea un’identità di confine, multiforme, e un possibile dialogo tra generazioni e modi di vita diversi. Un racconto intenso ed equilibrato, giocato fra immagini nitide, luminose della terra di origine e di madri reali e simboliche. Una vera e propria sinfonia di parole scritta su un pentagramma di emozioni e di travolgenti moti dell’anima. Il racconto rievoca colori e profumi ancestrali, come ancestrale è il rapporto con la abuela, la sua saggezza e delicatezza, nel trasferimento di sentimenti e sensazioni tra donne di generazioni lontane. Le radici si confondono con la modernità dei voli aerei e del riconoscimento consapevole della propria omosessualità. Sullo sfondo immaginifiche piante di cacao e platano, stoffe colorate e canzoni messicane. La luna, mille e una sola, sopra ogni cosa».

1 commento

  • Solo nelle latitudini in cui la Cultura non ha sottomesso la Natura, è normale riuscire a riappropriarsi della poesia come arma-concettuale , indispensabile ai suoi utenti.
    Che bella questa fresca spontaneita’ con cui “dai del tu” al creatore dell’idioma che ha attecchito nella Penisola.
    Capisco, apprezzo e incoraggio a rivisitare Dante con gli occhi dei nuovi approdati qui.

    Il mio cammino, invece, mi condusse nell’America indo-caraibica. Per trent’anni.

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