Il primo dato da prendere in considerazione per poter fare una analisi accurata di questa raccolta di racconti è il momento in cui ciascun racconto viene scritto o finito. Božidar Stanišić per ogni racconto pone la data salvo che per il racconto che dà il titolo all’intera raccolta. A partire da questo criterio si possono distinguere due gruppi di testi, quelli scritti prima dello scoppio della guerra in Bosnia nell’aprile 1992 e quelli scritti dopo quando ormai l’autore era sulla via dell’esilio volontario.
Al primo gruppo appartengono: Il maniaco, Caratteristica:la memoria, Neve in p.zza San Marco. Al secondo gruppo: Incompiuto, Le scarpe per l’eternità, Il complice, I buchi neri di Serajevo. L’ultimo testo Un grammo di felicità pagato con l’anima è piuttosto un breve saggio che non un racconto. Particolarità è che nell’edizione pubblicata i racconti non vengono posti in ordine di composizione ma seguono un altro criterio forse voluto dallo stesso Božidar Stanišić . Il raggruppamento che propongo ha una sua logica perché il secondo gruppo ha come tema centrale la guerra in Bosnia gli eccidi a Sarajevo, in particolare quello di via Vasa Miskin. Il narratore si chiede più volte come sia stato possibile diventare “assassini così facilmente” e non riesce a trovare spiegazioni, come diventa quasi impossibile attribuire solo ad una parte la responsabilità di ciò che è accaduto perché si è tutti coinvolti. Lo scrittore P.T. protagonista del racconto Il complice ad un certo momento dice: “ Non sono stato io, non è stato lui, non sono stati questi né gli altri…Chi allora?”. La responsabilità della guerra sembra voler dire il narratore è di tutti e nessuno se ne può tirar fuori.
Gli effetti che si hanno dalle lotte intestine possono essere dirompenti fino a condurre alla pazzia chi per caso ne scampa, così avviene al protagonista del racconto Il compagno di strada dell’angelo bianco. Il fratello nel giustificare la sua pazzia dice: “E’ debole di nervi da tanto tempo…ha sempre letto molto, studiava le lingue, suonava benissimo il violino. Frequentava due facoltà contemporaneamente…Per disgrazia, mio fratello si trovava in via Vasa Miskin quando, alla fine di maggio, una granata ha ammazzato mi pare una ventina di persone e ne ha ferito più di cento”. Queste poche righe potrebbero portare ad alcune considerazioni più approfondite come il fatto che chi studia, legge, conosce la musica sia più esposto dal punto di vista psichico ai traumi che la guerra può apportare, anche se poi, come si può evincere dal racconto Il complice l’essere colto, letterato non salva dalle responsabilità né dalla stupidità di appoggiare una parte in conflitto.
Nel racconto che dà il titolo alla raccolta si narra di una dottoressa che, allo scoppio della guerra a cui non aveva creduto fino alla fine e dopo che la sua casa era stata distrutta, tenta, spinta dal marito, di uscire da Sarajevo e cercare un posto più tranquillo per i figli. Deve raggiungere Belgrado dove c’è sua sorella ma è musulmana. Riuscirà ad arrivarci dopo molte peripezie. Sperimenterà la pericolosità dell’appartenenza ad una etnia/religione, ciò che fino a qualche anno prima non esisteva. L’essere musulmana era un pericolo e tuttavia poi ne ricava anche considerazioni positive perché dopo essere stata aiutata da un serbo potrà affermare: “E anche adesso sono convinta che siano molto pochi i serbi della Bosnia che fanno del male ai loro vicini musulmani.” Il male non sta mai da una sola parte. E tuttavia si ha la constatazione che si è distrutto qualcosa di importante: “A Sarajevo, come in tutta la Bosnia, anche quando la guerra sarà finita, per molto tempo non potrà esserci una vera vita”. Dice bene Rumiz nell’introduzione che quello che è avvenuto a Sarajevo e cosa accade ora può essere lo specchio di cosa può essere l’Europa e cosa può accadere se ne fallisse la sua unità, aggiungo io.
Racconto di raccordo è quello intitolato Incompiuto all’interno del quale ci sono due brevi racconti e paragrafi di considerazioni che lasciano le cose, i fatti in una dimensione di attesa perché non si risolvono, non danno una soluzione o se la danno è amara così è per Mustafa che era onestissimo uomo di fede musulmana e proprio per questo viene ingannato facendolo passare come un ladro per le autorità, e poi c’è il tenero ricordo di Blagoje leggermente squilibrato per le percosse subite dai suoi ex compagni ( ancora una volta le conseguenze delle guerre sono sempre disastrose) con il quale la comunità è abbastanza indulgente. Incompiuto è un testo che testimonia l’impossibilità di avere in un momento drammatico idee chiare. Anzi è davvero meraviglioso il fatto che pur dovendo organizzarsi per passare da un luogo ad un altro durante le tappe del forzato esilio Božidar abbia avuto la forza e la volontà di scrivere, ma forse la scrittura come per la maggior parte degli scrittori, se non per la totalità, rappresenta l’unica ancora di salvezza .
Di tenore diverso sono i racconti scritti prima dello scoppio della guerra perché sebbene essa fosse già una minaccia tuttavia si nota come la ricerca poetica di Božidar sia su altri piani, sia diversa. Uno dei temi ricorrenti nei tre racconti considerati in quest’insieme è la solitudine. Vae soli (guai all’uomo solo) recita la Bibbia perché i sentimenti, le azioni di chi è solo risentono dell’angoscia della solitudine che può condurre anche ad atti che possono essere sconsiderati ma che invece sono solo un ripiegamento una via di fuga alla sopportazione della solitudine che non è la condizione naturale dell’uomo. La sig.na Tonkic non può essere spaventata dal maniaco che anzi potrebbe essere la possibilità per lei di un contatto fisico che la faccia uscire dalla sua solitudine, potrebbe essere la possibilità di fuga dalla consuetudine che è la camicia di forza della società che mediante la consuetudine costringe, mortifica, distrugge la vita interiore di chiunque. Anche per il secondo racconto Caratteristica: la memoria pur accentrando tutta la vicenda in continui ricordi di un prof. di scienze che sta viaggiando su un treno tuttavia direi che il tema fondamentale è ancora la solitudine perché ciascuno è da solo quando deve rivedere, ripensare alla sua vita, ai fatti positivi intrapresi e/o a quelli negativi messi in opera. Anche l’ultimo racconto dei tre Neve in piazza San Marco, più tenebroso, forse più presago dei funesti avvenimenti che accadranno pone sempre l’io di fronte ai misteri della vita, alla inconoscibilità del destino dell’uomo. La protagonista ha visto dapprima il marito e poi il figlio eliminati per fatti politici, il primo perché musicista compiva coscienziosamente il suo lavoro in scuole al tempo dell’impero d’Austria, il secondo tradito da un compagno e vicino di casa quando fu necessario scegliere fra monarchia e partigiani. Anche Santola è ritenuta sotto molti aspetti poco sana di mente ma come avrebbe potuto sopportare i due dolori se non rifugiandosi in qualche modo nella pazzia.