Samuel
Il mio viaggio ha avuto inizio più di un anno fa, ma non si è ancora concluso.
Ho temuto di non farcela, di arrendermi. Le difficoltà sono state enormi e lo sconforto mi ha assalito così spesso che il dolore m’ha rigato l’anima con solchi profondi da sembrare le grate di una prigione. Le parole non riuscivano più a lenirne le mie ferite e la rabbia aveva trasformato le mie lacrime in un deserto di sale.
In questi mesi ho camminato a piedi e talvolta su mezzi di fortuna, quando anime gentili mi hanno offerto un passaggio. Su camion e carretti trainati da animali magri e sofferenti, sotto il sole cocente con nient’altro da mangiare che sterpaglia trovata a bordo strada. Mi sono imbattuto in montagne di sabbia e tempeste di vento, ma quello che più mi ha colpito sono i volti di coloro che ho incontrato e che ora non ci sono più, arresisi agli stenti e alla fatica, alla fame e alla sete, alle violenze e agli abusi.
Coloro che sono morti. Nella mia anima c’è un posto dedicato a tutti loro. Dimorano in me i loro spiriti, i sogni sopiti fra i ricordi di coloro che li hanno amati, le speranze disperse dal vento del destino. Che spira sempre, implacabile e impietoso.
Solo ora, con fatica, sono giunto in questa località di mare, in un paese che non conosco, dove vive gente che parla una lingua diversa dalla mia. Da qui ricomincerà un’altra parte del mio viaggio, mi auguro verso la meta finale.
Da dove vengo io, tutto è differente. Le case sono costruite a mano, con mezzi di fortuna. Le stanze vengono aggiunte quando nasce un figlio e la casa è viva e in costruzione, diversa di anno in anno. Cresce con coloro che vi abitano e con essi spesso muore.
Da dove vengo io, le strade sono rare. Se hai fortuna, una strada passa vicino alla tua abitazione, in vie che ti impolverano i piedi di sabbia sottile e terra rossa, con sterpi selvatici che si arrotolano intorno ai sandali riciclati dai tanti fratelli che ti hanno preceduto.
Ma è il nulla assoluto, il vuoto di quelle giornate, la mancanza dell’essenziale che ti inducono a scappare, a cercare un’altra vita, per te e per quelli che rimangono, che vivranno credendo nel sogno di un tuo destino migliore. Così sono partito per un viaggio guidato dalla speranza e orientato verso un futuro che non ho ancora minimamente intravisto, miraggio di quanto si racconta su terre lontane, dove il cibo abbonda e le persone vivono felici.
Il mare è la mia sfida. Non l’avevo finora mai visto: è bellissimo e terribile insieme. Come un mostro immenso che si muove e respira, con le sue onde alte e pericolose, che inghiottono le barche e i loro naviganti, trasportati dalle correnti, alla mercé di venti e burrasche. E’ vivo e come un animale selvatico, segue le leggi della natura, non quelle dell’uomo. Non ha pietà: condanna a morte o ti salva la vita, senza neppure increspare la sua superficie.
Al di là del mare è la mia meta. Tra poco l’affronterò. Non mi resta che attendere la partenza, portandomi nel cuore tutti coloro che ho incontrato e che non sono riusciti ad arrivare fin qui.
Ognuno di loro aveva una famiglia e una storia da narrare: io le ho ascoltate tutte. Ho resistito anche per loro e con le loro anime affronterò quest’ultima tappa. E non sarò mai solo.
Xavela
Non so leggere e mi sento imprigionata da mura di silenzi, di cui non riesco ad abbattere le pareti. Mio padre mi mandava a pascolare le capre sulle alture fin da piccola con i miei fratelli: non c’era tempo per la scuola e io non ne sentivo la necessità.
Ora, in questa città, non posso minimamente muovermi perché non so cosa significhino i cartelli o da cosa mi mettano in guardia. Come cieca, cerco a tentoni di orientarmi in un mondo sconosciuto, fra persone mai viste e spazi di cui non comprendo i confini.
Partire e lasciare le mie poche certezze è stato difficile, ma arrivare fin qui è stato atroce. Ho sperato di morire tante volte, ma non è accaduto. Una donna è considerata un giocattolo dagli uomini e una proprietà da tutti. Non le riconoscono sentimenti o desideri, ma solo un corpo, a disposizione di chiunque. E molti hanno abusato del mio, nonostante le grida, i pianti, i vani tentativi di difesa.
Persino i miei cugini, a cui ero stata affidata da mio padre, si sono voltati dall’altra parte per non vedere, non sentire e soprattutto non ricordare. Li avrebbero uccisi forse, se mi avessero difesa, ma in ogni caso neppure hanno provato. Ero sola, sopraffatta dalla forza e dominata dalla violenza, brutale, superflua e continua.
Ad un certo punto ho smesso persino di combattere, bambola in balia degli istinti di altri che neppure conoscevano il mio nome. Un oggetto inanimato e gratuito. Ho cercato di uccidermi, ma mi hanno fermata. Mi hanno detto: “Nulla di ciò che ti capiterà in futuro potrà essere peggio di quanto avvenuto finora. Allora, perché non sopravvivere?”
Ne ho convenuto. Vivo per la fievole speranza di arrivare in un altrove degno di tal nome, in un futuro lontano da tutto questo, per ricominciare e dimenticare l’inferno.
E oggi ho incontrato un ragazzo, mentre ero in fila per il pane. Vedendomi magra ed emaciata, ha insistito perché prendessi parte della sua razione. Mi ha stupito questo suo gesto, gratuito e inaspettato. Dicono si chiami Samuel e venga dal deserto più lontano e arido, dove il sole cocente brucia la pelle e prosciuga il futuro. Mi ha fatto sperare. Può ancora esistere il bene nel cuore umano? Può esserci un luogo dove sopravvive? Non lo so ancora, ma raccolgo le mie ultime energie per cercarlo. E con questo spirito domani affronterò il mare.
Callixte
Siamo in tanti qui, raccolti su questa spiaggia in attesa della barca. Il mare è calmo, per ora, ma cosa succederà poi? Ci sarà posto per tutti su quell’imbarcazione? Come si chiama il luogo dove arriveremo? Sarà una nuova vita, quella che tutti noi cerchiamo? Ho tante domande nella mia testa ma non so a chi porle. Ognuno qui parla una lingua diversa, prega dei che non conosco e ha storie differenti.
C’è una ragazza, Xavela, che ogni notte piange ininterrottamente. Non so da dove venga ma i suoi lamenti fanno eco allo strazio del mio cuore fino al comparire dell’alba: con lei la mia solitudine ha trovato conforto. Noi tutti abbiamo qualcosa in comune: lo sguardo rivolto al mare, con trepidazione e speranza, con paura o rassegnazione. Sarà la nostra ultima tappa?
Mi sembra che questo viaggio sia iniziato da anni, eppure sono solo pochi mesi. Ma le difficoltà, la disperazione e le violenze mi hanno reso vecchio in breve tempo. Sento la stanchezza che vedevo negli occhi di mio padre quando sono partito e dalla quale sono fuggito. Mi domando se tutto questo sia sbagliato e se fosse più giusto rimanere.
Ormai è troppo tardi per i ripensamenti, ma non per la nostalgia, che mi attanaglia ogni giorno con le sue fauci aguzze all’imboccatura dello stomaco. Rivedrò chi ho lasciato? I miei fratelli, i genitori, la mia ragazza? Vale la pena tutto ciò?
Ahimè, non c’è sollievo per il viaggiatore apolide, orfano di terra e radici.
Ho conosciuto anche Samuel, che canta versi malinconici con voce struggente. Viene dal deserto e non conosco il significato delle sue parole, ma alleviano la tristezza delle mie giornate. Con gratitudine lo ascolto, mentre la mia mente vaga lontano e ritorna dove ho lasciato il cuore.
Mentre sto per abbandonare definitivamente la terra ferma, mi angoscia pensare all’immensa distesa d’acqua che sarà il ponte verso la mia nuova esistenza. Non so neppure nuotare. Chi mi salverà se il mare dovesse ribollire e le onde reclamare a gran voce un tributo di sangue? Nessuno rimpiangerà l’incauto e sconosciuto navigante che il mare ha disperso nei fondali eterni.
Ecco, vedo arrivare l’imbarcazione che ci condurrà al largo. Il viaggio sta per cominciare. Ripenso alla mia vita e comprendo che forse tutto questo è stato un lungo percorso per arrivare fin qui, dove tutto avrà un nuovo inizio. O forse, una drammatica fine.