Recensioni

Io, l’altro

Mohsen Melliti
Io l’altro        2007

francesco  zurlo

Un film teso e claustrofobico per riflettere sullo scontro di civiltà sempre più in atto sul palcoscenico del nuovo ordine mondiale post-11 settembre. Questo è fondamentalmente Io, l’Altro, opera d’esordio dell’algerino Mohsen Melliti, già interessantissimo scrittore (in lingua italiana) di romanzi come Pantanella I bambini delle Rose.
La vicenda è semplice. Giuseppe e Yusuf, sono due pescatori amici da anni, sicilianissimo il primo e tunisino il secondo, ambedue verghianamente sfruttati dal solito mafiosotto locale, Traina.
Da sempre lavorano insieme in mare aperto sul peschereccio di Giuseppe, la Medea.
L’inizio del film li sorprende nuovamente in partenza, per una giornata di pesca. La canicola, gli spruzzi del mare, il pesce che non arriva, la salsedine, il carattere burbero e la parlata sicula stretta di Giuseppe contrapposti al modo di fare vivace e solare di Yusuf: tutto ha un’aria famigliare e rilassata.
Ma pian piano un sospetto s’introduce nella mente di Giuseppe: è il suo amico Yusuf, l’omonimo terrorista che la polizia sta cercando come esecutore delle stragi di Madrid, il cui nome risuona di continuo dai notiziari radio? Dietro l’amico quasi fraterno si nasconde davvero colui che ha seminato morte nella capitale spagnola? Riuscirà questo sospetto instillato dal clima di caccia alle streghe globale a distruggere anni d’amicizia e fiducia reciproca?
Partendo da un registro naturalistico, quasi neorealistico Melliti ha costruito un racconto simbolico, sorta di apologo sulla durezza dei tempi che ci aspettano, sul clima di terrore che partendo da conflitti lontani e remoti giunge ad invadere e sconvolgere la nostra quotidianità e la nostra normalità di persone lontane e apparentemente refrattarie allo scontro. Un racconto reso incalzante e serrato dall’unità di luogo del film, quasi memore di grandi precedenti “in mare aperto” come l’hitchcockiano I prigionieri dell’Oceano o il polanskianoColtello nell’Acqua.
Ma l’attenzione qui è tutta rivolta alla dinamica delle psicologie dei due personaggi, ai lievi ma progressivi trapassi che rendono sempre più credibile nella mente di Giuseppe il sospetto iniziale – complice in questo un Raoul Bova mai davvero tanto convincente come in questa pellicola.
Melliti riesce a controllare per più di un’ora il racconto con una maestria fuori dal comune per un esordiente. Con un linguaggio semplice ma efficace, tutto costruito sull’affastellarsi di inquadrature concitate che seguono il muoversi dei personaggi entro l’angusto perimetro dell’imbarcazione e che traducono visivamente e ritmicamente il precipitare degli eventi, il regista sa catturare con intelligenza l’attenzione degli spettatori riuscendo a far dimenticare il carattere lievemente artificioso e didascalico dell’assunto di partenza. Poi, forse l’ansia di chiudere il racconto lo porta a optare per un finale tragico un po’ stonato e drammaturgicamente incongruo con il registro ad un tempo realistico e metaforico della pellicola.
Ed è un peccato, perché per tre quarti il film convince e non poco, mettendo in luce il talento di un regista che già con quest’opera prima dimostra di avere davanti un avvenire promettente. Grazie anche all’interpretazione impeccabile di due attori che ha saputo dirigere al meglio.

11-06-2007

L'autore

Francesco Zurlo