Barbara Pumhösel
L’orchestrosauro
Giunti junior 2013
Barbara D’Alessandro
Dopo una breve pausa dalle pubblicazioni, finalmente nel 2013 sono usciti altri due testi per l’infanzia scritti da Barbara Pumhösel. Uno di questi si intitola L’Orchestrosauro,[1] è accompagnato dalle illustrazioni di Richolly Rosazza, pubblicato da Giunti e destinato a bambini a partire dai sei anni. Il protagonista de L’Orchestrosauro è Felce, un piccolo dinosauro di cui il testo ripercorre la vita a partire dalla sua nascita, che impara a riconoscere i suoi simili, a mangiare, a rimanere nel branco o a nascondersi nel caso dell’arrivo di predatori. Tuttavia Felce non è un dinosauro come gli altri, è un “diverso”, perché sente dentro di sé un vuoto che non riesce a colmare nemmeno mangiando sassi. «Non sapeva di preciso cosa fosse, ma sentiva uno spazio vuoto anche nella sua testa, uno spazio da riempire. Questo vuoto iniziava già nelle orecchie. Alle sue orecchie non bastavano i rumori che sentiva, anche se i rumori erano forti ed erano tanti».[2] I compagni di Felce lo prendono in giro, lo chiamano “il pensatore”, perché spesso vuole stare da solo ad ascoltare tutti i rumori intorno a lui, restandosene nell’ombra, finché una grande siccità non lo costringe a spostarsi, a stare sotto il sole, e proprio in una radura viene colpito dal grande vento. Durante la bufera il piccolo dinosauro sente il suo vuoto riempirsi e capisce che cosa gli era mancato fino a quel momento:
C’erano fusti e rami più grossi e più fini, più alti e più bassi. Alcuni erano spezzati e vuoti al centro come dei tubi. C’erano foglie più larghe e altre più strette.
E tutti facevano suoni diversi.
Quando il vento girava o aumentava l’intensità del suo soffio, i suoni cambiavano. E cambiavano insieme, in armonia. I suoni saltellavano e si alzavano in volo, si rincorrevano. Facevano domande e poi lanciavano le risposte nell’aria. «Era questo che mi mancava» pensava il piccolo orchestro sauro, mentre quel miracolo di vento, di foglie e di rami andava a riempirgli lo spazio vuoto nella testa e nella pancia. [3]
Fermatosi il vento, Felce inizia a soffiare in una canna vuota e capisce che tutti quei suoni appena sentiti possono essere ricreati, e sentendosi finalmente completo, inventa per la prima volta la musica, coinvolgendo poi in un concerto l’intero branco degli orchestrosauri, e creando anche la prima riga del pentagramma, attraverso l’uso tutto particolare di un ruscello con delle pietre. Solo dopo l’estinzione, molto tempo più tardi, gli esseri umani inventeranno di nuovo la musica, affermando di averlo fatto per primi.
Il tema della volontà e perseveranza nel seguire le proprie aspirazioni, soprattutto da parte dei bambini, era già stato ampiamente trattato dall’autrice nella serie, scritta a quattro mani con Anna Sarfatti e pubblicata dalla casa editrice EDT-Giralangolo di Torino, La calamitica III E. Basti ricordare ciò che viene mostrato nella storia raccontata in prima persona dal piccolo Brandobì, nel volume intitolato Palloni e pianeti[4], in cui tra una lezione di geometria e una di astronomia, si racconta la passione di un bambino un po’ indisciplinato per il mondo del pallone e di come questo sport aiuti a cambiarlo e a ridare un senso a tutta la sua vita, diventandone una sorta di “satellite”. Metafore come questa vengono espresse con uno stile semplice, ma attraverso immagini poetiche ed efficaci, che costituiscono tutta la cifra stilistica di Barbara Pumhösel, la quale mostra anche in opere per bambini, senza autocompiacimento, la sua abilità letteraria:
Era tardissimo quando sono andato al letto, ma io ero troppo agitato e anche contento. Non riuscivo a dormire. Mi sono rialzato per guardare dalla finestra. La luna era lì. Sembrava immobile. Ho preso il mio pallone e sono tornato al letto.
Nel sogno sono tornati tutti e giocavano come sempre, calciando solo con il piede destro. Sopra la porta del campo questa volta c’era un grande telescopio. E c’era anche Galileo Galilei, Albert Einstein ha detto: «Povera luna. La terra ha una luna, Nettuno ne ha 11, Saturno almeno 31 e intorno a Giove girano 4 lune grandi e molte piccole. Soltanto la nostra luna è sola, non ha nemmeno un satellite piccolo piccolo». Leonardo guardava me, mentre ascoltava Einstein parlare. Poi ha preso la mia bella palla bianca, l’ha adagiata davanti al suo micidiale piede sinistro, ha preso la rincorsa e ha calciato un tiro incredibile e molto molto in alto. La mia palla stava andando come un fulmine e diventava sempre più piccola. Poi, per un momento, ho visto tutto ingrandito, come attraverso il telescopio di Galileo. Ho visto la luna vicina e intorno a lei, come se non avesse mai fatto altro, girare piano, bianca e luminosa, la mia palla. [5]
Quella scritta da Pumhösel è quindi anche nel caso del piccolo Felce una storia profonda ma delicata che parla della sofferenza e poi del piacere della scoperta: la scoperta del mondo intorno a sé e quella della propria natura, che può far sentire diversi dagli altri, ma che una volta accettata e condivisa restituisce al mondo cose bellissime e inaspettate, che possono essere donate alla collettività anche dal più piccolo degli esseri, come un cucciolo di dinosauro.
[1]B. Pumhösel, L’orchestrosauro, Milano, Giunti Junior, 2013.
[2] Ead., L’orchestrosauro, cit., p.13.
[3] Ivi, pp. 29-30.
[4] Ead., Palloni e pianeti, Torino, Giralangolo, 2008.
[5] Ivi, pp. 59-60.
Giugno 2014