“Vuoi venire a sentire la storia della mia mamma?”. La storia non l’aveva esattamente scritta la sua mamma, ma il mio alunno Y., che ha visto la sua mamma entrare a scuola e, con lei, finalmente quella lingua che gli è vietata in orario scolastico, così ha formulato l’invito a una collega.
La sua sintesi mi ha riempito di gioia perché era proprio quello lo spirito di quella lettura del Gruffalò a più voci in italiano, arabo, inglese e francese che abbiamo animato nella biblioteca della scuola in collaborazione con la Biblioteca Lorenteggio e, appunto, con l’aiuto della mamma di Y.
E’ così che mi piace la scuola aperta ai genitori, una scuola dove i genitori entrano per partecipare e collaborare all’azione educativa apportando i loro talenti che vanno ad arricchire l’offerta formativa. Una scuola che si apre anche al territorio dove ci sono altre importanti agenzie educative che possono fornire una ricchezza unica, come l’esperienza sulla questione delle due bibliotecarie, Raffaella e Alessandra.
Questo progetto non è nuovo, i testi sono quelli che arrivano dagli scaffali delle biblioteche rionali di Milano, di storie per l’infanzia a più lingue. Vengono esposti per una decina di giorni in occasione di questa bella iniziativa, Mamma Lingua, che si celebra il 22 febbraio.
Per me, come insegnante, il rendere oggetto di una lezione la lingua d’origine di un terzo della mia classe è stato importante. Mi è piaciuto vedere la luce negli occhi di quei bambini che potevano seguire due lingue (o arabo o inglese) e vedere la reazione dei bambini che non capivano a seguire dei suoni strani. Un modo diverso di fare educazione alla cittadinanza e alle lingue comunitarie, ma anche un esperimento di ascolto.
Le parole della storia portavano suoni altri e lontani tra le pagine dei libri della nostra biblioteca scolastica. Ascoltando quanto erano diverse, una pagina alla volta, i suoni della stessa storia in queste lingue, abbiamo capito la differenza, ma anche sentito un filo narrativo che ci accomuna.
Ho potuto finalmente convincere la piccola M. che, se i suoni erano così diversi, non bisognava vergognarsi di non sapere ancora leggere bene: occorreva più tempo per imparare a leggere in italiano per chi era abituato a parlare una lingua così diversa. Dal giorno successivo viene a scuola con un sorriso più grande.
Raffaella Bianchi