Tutto, si sa, la morte dissigilla
V. Sereni
Che morti curiosi che si trovano
oggi giorno in giro, in tumulto indaffarati,
industriosi, impegnati alcuni,
distratti altri, sbadati.
Alla cieca vanno, a spintoni
a tentoni vanno e vengono,
da ovunque a nessuna parte.
Ingombrano, fanno code e trafile,
pazienti aspettano, chissà da quando!
A mucchi e pieni di speranza arrivano
si avvicinano chiedono, mai prima
così in tanti, ovunque si affacciano.
Uomini o donne? a chi verrebbe in mente!
gente solo gente, (ch’è come dire
meno di niente)
Si accettano morti di tutti i tipi, purché
indistinti: quelli che per caso sono morti
perché per puro caso erano vivi.
Facce contorte visi deformati
bocche aperte, gesti strampalati. Piena e straripamento
di morti, morti quotidiani, pronti
e in ogni momento.
Vanno e vengono, da un qualunque ne spunta
uno, da un chiunque ne viene fuori un altro,
da uno che era nessuno e quasi inesistente
ne nasce un morto vero, ha un volto
anche i baffi e anche occhiali e chissà che pensava.
E ha perfino un nome o tanti
si chiamava… (se non sbaglio, se non ricordo male)
Data di nascita, fissa dimora, lavoro
e mestiere, parenti, figli,
pensieri? Anche.
Ha tanti nomi perché proviene
da una famiglia d’illustre stirpe
un illustre casato il suo
dove affondano le sue radici? in terra
naturalmente, in terra.
Ovunque si adagiano: tra mucchi di stracci,
si sdraiano su rotaie, pendono
dai tetti, muoiono per terra o sui marciapiedi,
in acqua si putrefanno, sulla neve anche
ma calmi senza fretta,
senza nessun affanno.
Dai sacchi gonfi, da involucri chiusi
spuntano mal coperti, sotto coperte
sotto panni a mucchi affollano,
per viaggi di cadaveri da una morte a l’altra.
Comodi in qualunque modo che neanche
contorsionisti vi riuscirebbero,
le braccia dietro le spalle, la testa
sotto i piedi. Sono anche morti
smontabili – non si sa se rimontabili,
teste qua e là, gambe, spalle, arti.
Ma anche piccole parti: budella, fegato
costole, un piede, mani senza dita
(per far sì che il puzzle sia più intelligente).
Accessori anche, si aggiungono a caso
un orologio, una scarpa, uno straccio
di camicia, una gamba sola del pantalone.
Docili, affidabili, convenienti
morendo non si chiedono il perché,
perché prima non erano abituati
a chiedersi niente. Uomini? Donne?
No, per niente! Gente solo gente.
Gente? ma neanche, né lineamenti, neppure
occhi né sguardi, solo sangue, corpi,
resti, spoglie, o chissà quant’altro o forse niente,
proprio niente, a volte soffocati, altre bruciati,
non ultimi i trucidati, tutti insieme
siano ben venuti anche gli sterminati.
Ora di punta congestione, traffico
di lacerazioni, gesti impacciati,
goffi storpiati, gesti contorti.
Lividi e cartacce e macchie d’unto
su corpi irrigiditi, su corpi esangui
tra cartoni cartacce rami erbacce.
Frantumate deformate aperte facce
ferme in un unico respiro impacciate,
intralci di membra smembrate.
Dita spezzate allacciate gambe perse
tra rottami, strappate tra bidoni
crani tra scatoloni, scatole craniche
tra cartoni.
Sangue coagulato sui brandelli unti
rinsecchiti di grasso olio nero, fresche
ferite aperte e secche pozze di sangue.
Dal marciapiede sulla strada gocciola
il sangue, dalle gengive ai denti fila
e si asciuga, sangue secco, croste
chiazze, schizzi, patacche spruzzi gocce
traffico di sangue, fili di sangue
sporco di terra, terra sporca di sangue.
Occhi ciechi iniettati di sangue,
insanguinati, occhi spalancati
occhi fissi svuotati, occhi congestionati,
intasati di smorfie di vita appena
morta, zavorra di morte tra le mani
morti più morti di prima chiedendosi
se prima erano vivi, vivi per caso
ora sono naturalmente morti,
morti estranei appena arrivati.
Che passavano di lì per pura caso!
che si affacciavano già morti,
che non potevano fare altro che morire.
Morte che si somma, morte più morte
che è solo morte che è più che morte
che non è altro che morte, che è morte
e pure, stranamente, come niente (o sembra)
morte che sembra vita.