Keitetsi China
Una bambina soldato. Vittima e carnefice nell’inferno dell’Uganda
Marsilio 2008
Itala Vivan
La storia di China Keitetsi, bambina soldato ugandese, è stata originariamente pubblicata in lingua danese a Copenhagen dove l’autrice ha trovato asilo fuggendo dall’inferno della guerra civile nel suo Paese. Si tratta di un resoconto cronachistico della sua vita prima all’interno di una situazione famigliare infelicissima, poi nelle file dell’Esercito di resistenza nazionale (NRA) di Yoweri Museweni, oggi Presidente della repubblica ugandese e leader del Fronte democratico del popolo dell’Uganda (UPDF).
La condizione dei bambini soldato è stata più volte trattata dalla letteratura e dal giornalismo, a partire dallo straordinario romanzo Sozaboy del nigeriano Ken Saro-Wiwa che già nel lontano 1985 creò il personaggio di un ragazzo finito a combattere con le truppe mercenarie federali nella guerra civile contro il Biafra, senza capirne le ragioni ma rimanendone travolto. Dopo quel primo grande libro, venne il romanzo Allah non è mica obbligato dell’ivoriano Ahmadou Kourouma il cui protagonista Birahima cade nella folle avventura di lasciarsi reclutare dai mercenari. L’esempio più recente di questa tematica è Bestie senza una patria del giovane nigeriano Uzodinma Iweala in cui ci si trova ancora una volta dinanzi a un ragazzo soldato che combatte nel marasma di una guerra civile.
Il libro della Keitetsi, tuttavia, è diverso da questi precedenti, in quanto non intende costruire un personaggio letterario, bensì raccontare le vere esperienze di vita dell’autrice, principalmente a scopo terapeutico, cioè per liberarsi di un fardello di memorie troppo pesanti e orribili.. E in effetti, per spiegare come fu che finì nell’esercito di Museveni, la Keitstsi parte da lontano, e dedica le prime 140 pagine del libro alla descrizione di sofferenze, privazioni e castighi sofferti nell’ambito famigliare, per mano del padre, delle matrigne e di altri adulti. Per la Keitetsi la scelta di andare a fare il soldato appare quasi obbligata, in quanto le consente indipendenza e le offre anche un clima di solidarietà, fornendole una sorta di società che le appare attraente data la sua storia infantile dolorosissima. Oltre a ciò, la carriera militare la rende anche importante e potente, tanto è vero che più volte ritornerà all’esercito dopo esserne uscita oppure esserne stata espulsa. Risulta quindi evidente che in questo caso l’opzione della bambina soldato non è conseguenza di sequestro e forzatura, bensì una scelta autonoma sebbene dettata da disperazione più che da ragionamento. E del resto China era ancora molto piccola quando scelse le armi: non aveva ancora dieci anni.
Il racconto della prima infanzia nella famiglia sembra venire da un mondo di orchi e mostri, tanto orrende sono le circostanze che caratterizzano la sua vita e che formano in lei un temperamento ribelle e indomabile, suggerendole soluzioni di astuzia e anche perfidia che mescolano il perverso infantile alla disperazione di una vittima che diventa crudele. Questi tratti si rafforzano tra gli orrori della guerra civile, mentre i rapporti e i legami camerateschi non compensano le carenze affettive che stanno a monte del suo arruolamento. Al contempo emerge nella bambina soldato un senso di orgoglio di sé legato alle proprie capacità di combattente, e poi, più innanzi, alla propria abilità nell’assicurarsi dei vantaggi materiali.
La particolarità di questa cronaca sta anche nel fatto che viene da un personaggio femminile, una donna che è stata prima una bambina infelice in casa, poi una bambina abusata negli accampamenti militari, sfruttata anche sessualmente in modo sistematico.
Questo aspetto dell’esperienza di China Keitetsi è soltanto accennato per sommi capi, forse per evitare particolari spinosi e particolarmente ributtanti; o forse, chissà, per una difficoltà a raccontare e confessare gli abusi sessuali che sovente si riscontra fra le donne, e ancor più fra le donne africane. Sta di fatto che China diventa due volte madre, senza che mai il lettore sappia che cosa avviene dei figli che mette al mondo, anche se il primo, un maschio, pare sia rimasto con il padre.
La fuga dall’Uganda, il lungo calvario per mettersi in salvo sotto la protezione delle Nazioni Unite, costituiscono la tappa obbligata verso la maturità, una seconda e più ponderata scelta esistenziale destinata a permetterle di ricostruire se stessa. Il racconto autobiografico costituisce quindi insieme uno strumento di redenzione e un’arma per liberarsi di antichi mostri, giustificando con i ripetuti, ossessivi dettagli di una infanzia tormentata da adulti ‘cattivi’ le proprie stesse ‘cattiverie’ nel contesto bellico: un labirinto confessionale che certamente è stato costruito con lacrime e dolore.
28-10-2008