Stanza degli ospiti

La pastora di lumache

Scritto da Monica Dini

Sono qui nella mia cucina, ho appena fatto un minestrone come si deve. C’è mio fratello Gino. Ci beviamo un caffè.

Penso che siamo invecchiati.

Si parla di come eravamo. Com’era la nostra gente. Io parlo. Lui gira il cucchiaino nella tazza e guarda fuori dalla finestra.

C’era una volta la donna lumaca.

«Ti ricordi Gino la donna lumaca?». Gli chiedo.

È seduto al tavolo e mi sta di fianco. Gira la testa, si passa un indice avanti e indietro sotto il naso intanto respira forte. Torna a guardare la finestra. «Non saprei,». Mi dice. Riprende a girare il cucchiaino.

Ha in faccia le sue rughe lunghe che partono dagli zigomi. Gli dico «Bevi il caffè.».

Gli piace bello caldo ma lui guarda la finestra e fuma.

«Ti ricordi che andammo a stare sui monti, che la mamma insegnò tutto l’anno per la prima volta? La casa della maestra dentro la scuola… come si chiamava quel paese?.. Ti ricordi di Faùsto l’hai rivisto mi pare. La nostra banda. Ora non usano più le bande… non quelle lì. La missione era trovare Nacco. Eh?.. Nacco era il cavallo bianco che di notte galoppava nei boschi alla ricerca della propria testa! Avevamo fatto il giuramento, su quella foto ingiallita!.. Niente…?».

«Gino, bevi il caffè.». Gli ridico. Lui accende un’altra sigaretta con il mozzicone poi lo spegne sul mio tavolo da cucina. Proprio sul legno. Non so come dirlo quello che vorrei.

«Non me lo ricordo Tata.». Lui mi ha sempre chiamato così. «Ma c’ero io nella banda?».

«Sì… non ti volevano all’inizio perché eri troppo piccolo ma stavi con me. Giocavamo anche a biglie… era bello giocare a biglie. Eri diventato bravo.».

«M’hai dato il caffè ghiaccio Tata…».

Squilla il telefono. È la sua ex moglie. Facciamo finta che sia qualcuno che ha sbagliato numero. Lui non ci fa caso.

Il minestrone bolle. Si sente dall’odore che ci ho messo anche il timo.

Gino spazza con la mano lo zucchero caduto sulla tavola. Lascia il mozzicone. Gli metto le mani sulle spalle. Ha un modo tutto suo di guardare.

«Allora… un giorno eravamo io te Faùsto e Pallocchio, andavamo in giro come al solito a cercare tracce e ci trovammo in un posto di erba secca e gialla, ma c’era una casa tutta verde coperta di edere. Chiudi gli occhi magari la vedi. Io avevo tanta sete. Gridammo. Permesso, si può? Permesso si può. Silenzio. Entrammo. Se chiudo gli occhi io le vedo quelle stanze.

Le edere scendevano dalle assi del soffitto. Tutto lì era umido e lucido per colpa delle lumache. Ce n’erano a quintali. Questo almeno lo ricordi?!.. Dappertutto vedevi lumache dai gusci colorati e anche senza. Strisciavano sulle mensole, nei mobili dalle ante aperte. Su un piatto rosso sbeccato. Sul vetro rimasto alla finestra. Ovunque le lumache avevano scritto con la loro bava argentata. C’erano montagne di cacca. Ci sei Gino?».

C’è… insaccato sulla sedia. Fuma e guarda la finestra. I vetri sono appannati. È il minestrone che bolle.

«Va be’… c’era un odore da schifo. Nell’altra stanza trovammo il “comodo” e una donna grassa che pisciava a gambe aperte in bilico sul buco. Te lo ricordi il pelo in mezzo alle gambe?».

«Siete venuti a prendere le mie lumache?». Disse.

Noi guardavamo tutto quel pelo nero. Gli adulti non si facevano vedere nudi a quei tempi.

«No no.». Risposi prima io.

«Cerchiamo Nacco.». Disse Faùsto. «È senza testa.».

«Siete venuti a rubare le mie lumache!?», disse la donna passandosi una mano là sotto asciugandosi al vestito che era nero e lucido e strano. Aveva dietro uno strascico argentato di carta sottile. Tipo la carta dell’uovo di Pasqua. Vero? Gino!.. e non solo, sulle sue braccia grasse strisciavano lumache diverse dalle altre. Trasparenti col guscio rosa. Una risaliva il collo. Strisciavano, tenevano le corna allungate. Tutto normale per loro. La donna era lenta, grossa, sudata. Con lo strascico d’argento.

Non è da tanto che ho capito che voleva essere una lumaca. Per questo aveva lo strascico. C’hai mai pensato?».

Gino guarda la finestra e fuma.

Ci chiese se eravamo ladri. E noi, «No, no! Siamo qui per la testa del cavallo… no, per il cavallo … andiamo via.».

«State lì! Devo contare le mie lumache. Ladri…», mi ricordo la sua espressione. Aveva raggrinzito la bocca a culo di gallina e spalancato gli occhi. Eravamo inchiodati ma nessuno ci tratteneva. La nostra non era paura. Era più una magata.

Le lumache nella casa convergevano, le andavano incontro. Una pastora di lumache.

«Uno, due , tre …», contava. Scappammo.

Te lo ricordi quanto corremmo? Faùsto fece un volo… si rialzò subito. Erano altri tempi Gino… vero? Eravamo così convinti che ne avremmo combinata qualcuna giusta. Nacco fu una sconfitta. Lo cercammo tanto e non lo vedemmo mai. Ci potevamo leggere qualcosa in questo fatto, della nostra vita intendo. A volte nel castagneto sentivamo un nitrire. Un trottare. Un galoppo come di zoccoli con le scarpe. Ce ne convincevamo. Ma era nelle nostre orecchie. Solo nelle nostre orecchie… Gino?».

«Ma io c’ero nella banda?».

«Sì c’eri, eri il più piccino.».

Gino guarda ancora la finestra. Quando i vetri non sono appannati si vede solo il muro di Luca da quella finestra. Un quadrato grigio.

Dobbiamo riparlarne di cosa ci vedi. Anche delle cicche che mi hanno bruciacchiato il tavolo. Gino… riparliamone… c’è da andare avanti.

L'autore

Monica Dini

Monica Dini vive e lavora a Camaiore paese della campagna toscana. Ha pubblicato le raccolte di racconti: Sulle Corde a cura della Società Speleologica Italiana (2006), Leggerezze – Besa Editrice (2009), Lezzo – Tralerighe Libri (2015), Angoli Acuti – Tralerighe Libri (2017). Uno dei suoi lavori è presente nella raccolta di racconti HOTell Storie da un tanto all’ora edita da WhiteFly Press. Ha collaborato fino alla fine con la rivista on-line Sagarana diretta dal Prof. Julio Monteiro Martins, è stata più volte ospite della rivista on-line El-Ghibli diretta dal Prof. Pap Khouma, ha collaborato la rivista Prospektiva di Andrea Giannasi. Alcuni suoi racconti sono apparsi su La Macchina Sognante la cui macchinista è la scrittrice Pina Piccolo. Un suo scritto è presente nel primo numero della rivista DieciCento fondata da Carlos Bolaños e Nicola Feo (2017).

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