Judicael Ouango
Tuio
narratori rogiosi, 2018
Il titolo di questo testo, in qualche modo, inganna, perché sembrerebbe preludere alla affermazione della assoluta necessità dell’altro per la propria esistenza. È pure questo, ma offre anche altro e di diverso. La narrazione non è strutturata come una classica esposizione, così come siamo abituati nel canone letterario occidentale ove la descrizione dell’avvicendamento dei fatti e degli avvenimenti supera ogni altra preoccupazione per uno scrittore. Il nostro modello narrativo affonda in Boccaccio, ove l’incalzare di sequenze e funzioni è dominante. Roland Barthes quando ci propone, sul piano della teoria strutturalista, l’essenza della narrazione lo fa affermando che sono la successione delle sequenze e la loro relazione causale a dare senso e significato ad una storia narrata.
Tuio è strutturato in maniera totalmente diverso. Il canone espresso è molto vicino a quello che è possibile scorgere nell’ultimo testo di Pap Khouma Noi italiani neri o a quello di Cheikh Tidiane Gaye Prendimi quello che vuoi ma lasciami la mia pelle nera. Questi testi nascono dall’esigenza di comunicare valori, insegnamento, moralità, lontani quindi dal gusto letterario occidentale. Ouengo mantiene un sottile filo narrativo che riguarda la sua scelta di partire e le varie tappe che gli sono succedute. Ma il cammino, il viaggio diventa non tanto una esperienza di viaggio quanto piuttosto un percorso di emancipazione, di ascetismo per poter ritrovare la sua pace spirituale. Milarepa percorre un tragitto ascensionale andando a superare gli ostacoli, gli sbarramenti, nonostante le difficoltà e le prove a cui è sottoposto, ma tali da farlo crescere. La meta di Milarepa è la scalata del monte impervio, quasi irraggiungibile. In Tuio è il viaggio a determinare il cammino ascensionale; un percorso orizzontale, diviene verticale. Dalla propria terra africana si proietta verso quella che è vista come la propria salvezza, cioè l’Europa per poi scoprire che salvezza non è, perché in qualunque territorio, in qualunque condizione sociale o di benessere l’uomo rischia di essere un isolato nella spasmodica ricerca dell’altro, dell’amore dell’altro, unico elemento che possa salvarlo. Le sofferenze e i patimenti della traversata del deserto, della forzata permanenza in Libia, della forzosa lunga attesa a Lampedusa sono trasformati in gradini di percorso ascetico. Il traguardo finale è il raggiungimento della propria serenità, della capacità di accettare la vita come questa si presenta.
Così il narratore scopre l’assoluta uguaglianza degli uomini a qualunque ceppo od etnia si aggrappino. “L’uomo bianco è disperato quanto l’uomo nero”. “Per una ragione o per un’altra, siamo uguali. La cultura è un carcere per gli stolti, un’immensa e unica ricchezza per chi vi si apre. Il punto non è la dimostrazione, ma la finalità”
In questo percorso fatto di illusioni o delusioni c’è però il senso di una possibile (anche se lontana) speranza. “Un connubio delle due sarebbe la perfezione, ma ne siamo così lontani da poterlo considerare una chimera. In fondo il desiderio è la possibilità di un totale e profondo meticciato a tutti i livelli ove una donna bianca che ama un nero non debba essere accusata di essere una prostituta dai suoi familiari o da altre bianche.
Raffaele Taddeo giugno 2022