Emigrazione e bio-ritmo

Di tanta letteratura di emigrazione la problematica prima di cui si parla –sia che la esponga lo scrittore che teorizza,  sia che racconti o scriva il soggetto protagonista-,  è il riadattamento, inserimento del nuovo arrivato al paese che lo ospita. Riadattamento ad usi e costumi, abbigliamento, lingua, lavoro.
Minor importanza si concede alla problematica: tempo. Tempo cronologico, tempo soggettivo, tempo sacro, tempo di svago.  Minor considerazione ancora ha  il bio-ritmo.
Il tempo cronologico è scandito secondo orari giornalieri di lavoro e interruzioni  (e ancora pausa-caffè, pausa-pranzo, ora di cena, dopo-cena), o dalle stagioni tradotte in periodo  di lavoro e periodo di vacanza.
Tempi e ritmi alterati provocano  un malessere diffuso e di  ingannevole attribuzione;  neanche il soggetto che lo subisce  è consapevole del motivo.
Ecco che il bio-ritmo, il fluire della forza vitale si altera e abbisogna di un tempo più o meno lungo di adattamento.
Facciamo il caso di colui che si sposta da un emisfero all’altro o alle antipodi.
Questi, il problema del tempo, il problema del paesaggio  -montagnoso, mare o pianura, problema sul quale non voglio dilungarmi-, si aggiungono a tutte le altre problematiche sentimentali ampiamente trattate in questo tipo di letteratura.
Così scrivevo in un lavoro letterario –“Lettera a Francesca”- di qualche tempo fa:  “Poi c’è il bio-ritmo. Il ciclo vitale che ancor oggi –e sono più di vent’anni che come te ho cambiato continente- mi disturba. Voglio dire che, avendo emigrato da un emisfero-continente all’altro, estate e inverno, o meglio lavoro e non-lavoro non coincidono con il ciclo vitale impresso nelle cellule, nel corpo, soprattutto nella mente.
Oggi il sole brucia e da l’impressione che riscaldi tanto. Questa mia casa di pietra è un forno per far focacce come si usa qui al sud. Quindi è tempo di vacanze. Ma la mia mente non riesce a rilassarsi, a non pensare.Segue il ritmo dell’attività scolastica imparata e impressa nelle cellule negli anni giovani: pensare e far pensare a ritmo serrato.
Poi in inverno, dicembre gennaio, sognerò il mare e la spiaggia, e non penserò a far compiti, ma tutto intorno mi dirà che è tempo di lavoro.”(1)
Nel volto dei tanti, gli ultimi arrivati  attraverso  mari e deserti, sono tracciati anche questi turbamenti.

Note

1.Lettera a Francesca Enkomion. Settembre 2011. Anno1. Numero 1. Cassano delle Murge