Il Piccolo – Trieste – 3

La Trieste straniata dello scrittore bosniaco Bozidar Stanisic

Il tema sta tutto nel titolo: «La chiave nella mano» (Campanotto, pag. 145, euro 20, a cura di Alice Parmeggiani), raccolta poetica dello scrittore bosniaco Bozidar Stanisic, che in quest’ultima antologica – con testo originale a fronte – decide di distillare fin dall’inizio la sua poetica. E la chiave nella mano, allora, non è altro che ciò che resta di una cultura tramandata di padre in figlio, la Bosnia dalle molte anime, una cultura della convivenza che parte da Toledo, là dove furono cacciati quegli ebrei sefarditi che si fermarono infine nei Balcani.
La storia di Stanisic, residente a Zugliano, in Friuli, dal 1992, è quella di un uomo fuggito dalla guerra, in assoluta ricerca di altri ideali, di altre verità. Un’indagine che nei versi, rispetto a certe prose come «Il sogno di Orlando», sceglie una formula di misura, nonostante la sua, soprattutto in poesia, sia una maniera intervallata da minimalismi quotidiani e ispirazioni surrealiste, a momenti epicamente liriche nell’accumulo delle valenze metaforiche. Ma forse è proprio questo elemento, questo incedere contrastato nella forma (allegorica della vita), che caratterizza i versi dell’autore bosniaco.
La scrittura, in Stanisic, diventa vero e proprio straniamento, capace com’è di alternare le minime osservazioni quotidiane, materiche e consuete, a un impeto elegiaco, come nella «Ombre sul mare», con una Trieste riflessa in vie e piazze che divengono un movimento di ricerca, non solo di luoghi e persone, ma di radici e identità. Dinamica che si avvale sempre di un doppio movimento, dove l’incontro con l’altro produce uno straniamento da sé, come «un quadro a cui manca la cornice». La guerra, l’esilio, la ricerca di mondi possibili, di una possibile convivenza. La memoria, certo, ma mai un ritorno rassicurante, piuttosto bussole per immaginare «il cammino verso una demografia, nuova». E così le riflessioni, talvolta volutamente “antipoetiche”, si alternano tra oriente e occidente come gli stili, le forme di strutture poematiche che risentono di più culture: sintetizzano l’epica greca, la salmodia orientale con il verso narrato a occidente, dove i canti poundiani sembrano avere il loro peso. Poeta per immagini e sensi fulminei, non privo di ironia e sperimentazioni (come l’uso talvolta di forme tecniche o colloquiali, scrivere una poesia con espressioni da telegramma…), Stanisic declina al verso una cadenza di leggerezza.
E il paesaggio si fa noto, non solo Trieste, ma Aquileia, i campi friulani, il fiume Noncello. Una planimetria che però, più che di memorie logistiche, ha lo scopo di serbatoio metaforico con una natura che diviene pretesto di visioni e quadri dialettici. Al centro ci stanno l’idea di possibile o impossibile felicità, di Dio e di silenzio, di giustizia e di libertà, e soprattutto l’idea di Storia («Analisi logica, tempo di ombrelli»), esaminata in tutte le sue varianti di movimento, in quella prospettiva di assoluta libertà, di possibilità di scelta che fa dell’uomo un uomo.
Mary B. Tolusso

05 agosto 2009