La ferita di Odisseo

Da La ferita di Odisseo

Modello biblico

Anche la Bibbia presenta i suoi modelli di ritorno. Il primo è raccontato nella Genesi. È il ritorno di Giacobbe. La vicenda è singolare. Dopo aver sottratto la primogenitura a Esaù ed essersi accaparrato anche una benedizione del padre a spese del fratello, viene mandato dalla madre Rebecca, che ha timore dell’ira del figlio maggiore, presso il fratello Labano che è in oriente, lontano dalla Palestina. Qui rimangono Isacco con Rebecca ed Esaù. Questi, af­ferma la Bibbia, disse nel suo cuore:

“Si avvicinano i giorni del lutto per mio padre; allora ucciderò Giacobbe mio fratello”. Eallora Rebecca chiama Giacobbe e dice: “Bada che Esaù tuo fratello vuole vendicarsi di te e ucciderti. Ebbene, figlio mio, ubbidisci alla mia voce; su, fuggi a Kjarran da Labano mio fratello. Rimarrai con lui qualche tempo, finché l’ira di tuo fratello non si sarà calmata, finché non si sarà stornata da te la collera di tuo fratello e non avrà dimenticato quanto gli hai fatto. Allora io manderò a prenderti di là. Perché dovrei venire privata di voi due in un sol giorno?20

Dopo vent’anni Giacobbe ritorna, ma ha un timore terribile del fratello. Manda avanti i suoi uomini per sondarne le intenzioni e quando sente che il fratello sta venendogli incontro con circa 400 uomini teme il peggio.

I messaggeri tornarono da Giacobbe dicendo: “Siamo stati da tuo fratello Esaù; anzi egli stesso sta venendoti incontro: ha con sé quattrocento uomini”. Allora Giacobbe ne fu assai spaventato e si sentì angustiato.21

Non solo, ma di fronte alla premura di Esaù di lasciargli degli uomini che possano proteggerlo, rifiuta e si stabilisce in un territo­rio diverso da quello ove risiedeva il fratello.

Disse allora Esaù: “Possa io almeno lasciare con te una parte della gente che ho con me!” Rispose [Giacobbe]: “Ma perché? Basta che io trovi grazia agli occhi del mio Signore!” Così in quel giorno stesso Esaù ritornò sul suo cammino verso Seir. Giacobbe invece si trasportò a Succot dove costruì una casa per sé e fece capanne per il gregge. Perciò quel luogo fu chiamato Succot.22

Quello di Giacobbe è un ritorno felice al di là delle sue aspetta­tive. Ma il timore che possa non essere accolto benevolmente è sin­tomatico della struttura di ogni ritorno. Il timore di Giacobbe non va attribuito solo agli antichi dissapori col fratello, ma al fatto del ritorno. Egli teme, in effetti, perché non sa che cosa ci sia di diver­so rispetto alla situazione di partenza. Esaù prova rancore nei suoi confronti? Quanto è potente e forte Esaù? Quali sono le condizioni fisiche di Isacco e Rebecca? Sono queste le incognite che arrecano timore a Giacobbe.

Sono le perplessità presenti nell’animo di chi ritorna.

L’esito è felice come quello di Nestore e Menelao. Giacobbe non trova alcuna situazione mutata, vivono ancora il padre e la madre, né Easù ha modificato il suo animo ingenuo, superficiale e pacifico

nei confronti di Giacobbe. La staticità delle condizioni generali per­mette l’esito positivo del ritorno.

La somiglianza fra il modello omerico e biblico è illuminante e paradigmatico e forse i due modelli influenzeranno profondamente i topos di ogni ritorno immaginato nella storia delle letterature.

Anche il ritorno di Tobia ha un esito felice. Ancora una volta nella situazione socio-familiare non è cambiato nulla rispetto al mo­mento della partenza, nonostante siano passati 14 anni. Tobia era stato inviato dal padre a Ninive a riscuotere dei crediti e col bene­placito del padre si era accompagnato a lui l’arcangelo Raffaele nelle vesti di un giovane. Dopo anni ormai i genitori disperavano del ri­torno del figlio mentre Tobia desiderava rientrare presso la famiglia. Nel viaggio di andata Raffaele aveva suggerito a Tobia di conservare fegato, cuore e fiele del pesce che avevano mangiato.

Gli disse allora l’angelo: “Sventra il pesce e, dopo averne preso il cuore, il fegato e il fiele mettili bene in serbo”.23

Quando ritornano, in realtà, un mutamento c’è stato ed è la cecità di Tobit, padre di Tobia. Il fiele spalmato sugli occhi di Tobit gli permette di rivedere il figlio e di riabbracciarlo.

Anche Tobit uscì sulla porta e inciampò; ma il figlio accorse a lui e lo sorresse; poi sparse il fiele sugli occhi del padre, dicendo:

“Coraggio, padre”. Appena il vecchio si sentì prudere, si sfregò gli occhi e si staccarono dagli angoli le macchie bianche come sca­gliette. Visto il figlio, gli si gettò al collo, pianse e disse…”24

La struttura narrativa sembra suggerire che Tobia debba procu­rarsi qualcosa, un fatto magico per scongiurare l’esito infausto del ritorno. Il lieve mutamento deve essere neutralizzato mediante il mezzo magico.

Quindi anche in questo caso l’esito felice è determinato dall’im­mutabilità delle condizioni socio-ambientali nel territorio di par­tenza.

Singolare è poi il fatto che l’Esodo, cioè il racconto del viag­gio degli ebrei dall’Egitto alla Palestina, non venga considerato un “ritorno”, ma una vera e propria conquista. L’arrivo del popolo di Israele, dopo la servitù egiziana e la partenza da questo paese, non è visto come un ritorno alla terra dei padri. Anzi una lettura attenta della Bibbia mostra che la residenza e permanenza dei patriarchi, Abramo, Isacco, Giacobbe, in Palestina debba essere considerata un’ospitalità da parte dei governanti di quel territorio che gli anti­chi padri non posseggono, mentre la loro permanenza è precaria e dovuta alla benevolenza di coloro che già si sono insediati.

Ma i patriarchi sono considerati persone singole, capi di clan familiari e non sono responsabili di un popolo. Gli ebrei, come po­polo, non si sono mai stabiliti in Palestina, se non dopo l’uscita dall’Egitto. Il loro arrivo dopo quarant’anni di deserto non è un ritorno ma una vera e propria nuova acquisizione. La terra promessa viene conquistata con la forza, scacciando o annientando i popoli colà insediati.

Nella Bibbia ci saranno racconti di ritorni, ma saranno quelli che avverranno dopo la cattività babilonese.

A questo punto il ritorno biblico acquista sempre e solamente un valore simbolico religioso perché è sempre associato al ritorno a Javhè e per questo ogni ritorno non può che essere ritorno felice.

          Questo Esdra dunque rientrò da Babilonia ed era uno scriba versato nella legge di Mosè che     Javhè, Dio di Israele aveva dato. Poiché la mano di Dio era su di lui.  25

C’è una identità fra il ritorno in Palestina, a Gerusalemme e il ritornare alla fedeltà a Dio, perché la cattività è segno dell’allonta­namento da Dio, è sempre una disgrazia, un danno:

All’andare se ne va in pianto / portando una gettata di semi / al tornare, torna in giubilo / recando i suoi manipoli (salmo 127, 6).

La gioia non può esserci in terra straniera, lontano dalla patria e quindi da Dio:

Sui fiumi di Babilonia eravamo seduti e piangevamo / ripensando a Sion. / Sui salici, nel suo mezzo, avevamo sospeso / le nostre cetre (salmo 137).

È inevitabile che ogni ritorno, proprio perché significa una con­versione, un ritornare alla fedeltà di Dio, non può che essere felice e auspicabile.

Anche nel Corano il ritorno è un ritorno a Dio. Nella sura 93, ad esempio, si dice:

Si divisero invece. Ma infine tutti a Noi faranno ritorno.

Singolare è anche però un altro ritorno che viene descritto nel Nuovo Testamento:

Morto Erode, ecco che un angelo del Signore appare in sogno a Giuseppe, in Egitto, e gli dice: “Levati, prendi con te il bambino e sua madre e ritorna nella terra d’Israele, perché sono morti quelli che attentavano alla vita del Bambino.

La fuga in Egitto di Giuseppe perché avvisato da un angelo pone in salvo Gesù bambino che Erode vorrebbe far uccidere. Giuseppe è ignaro di quanto è avvenuto e stia avvenendo in Palestina. Ne viene informato e allora

          levatosi, prese con sé il bambino e sua madre e rientrò nella ter­ra d’Israele. Ma apprendendo che Archelao regnava in Giudea al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi; e, divinamente avvertito in sogno, si ritirò nella regione di Galilea e venne a sta­bilirsi in una città che si chiama Nazaret. 26

Significativo è qui il fatto che vi è un ritorno prudente di Giuseppe, proprio perché tutto è cambiato in Giudea e non c’è da fidarsi. Giuseppe si stabilisce in un’altra regione della Palestina.

Fino a che nella Bibbia ci si trova davanti a fatti storici o che potevano essere così considerati (la Genesi, il libro di Tobia, lo stes­so Vangelo di Matteo in sé sono testi che vengono proposti come storici, con descrizioni di fatti e avvenimenti) il modello omerico persiste. Sembra mutare quando il ritorno assume un aspetto reli­gioso, perché in questo caso ogni ritorno è di per sé felice perché si ritorna a Dio.

Ma a una considerazione più oculata anche questo ritorno rien­tra nel modello omerico perché ogni ritorno a Dio presuppone la ricostituzione di valori e l’annullamento di ogni possibile cambia­mento, il rifiuto di ogni mutamento. Il ritorno è felice perché nulla è alterato o se è mutato qualcosa si tende a ricostruire e riportare alla situazione antecedente ciò che è cambiato.

20 Genesi, 27, 41-45.
21 Genesi, 32, 7-8.
22 Genesi, 33, 15-16
23 Tobia, 6, 4.
24 Tobia, 11, 10-12
25 Esdra, 7, 6.
26 Matteo, 2, 20-23.