Poeti sudafricani del post-apartheid

Raphael D’Abdon (a cura)
Poeti sudafricani del post-apartheid
Mangrovie        2007

itala vivan

Come indica Raphael D’Abdon nella sua Introduzione, la raccolta antologica qui presentata è il frutto di un anno di ricerca nelle più importanti township urbane sudafricane ove il lavoro sul campo – poiché di questo si è di fatto trattato – ha reso un’abbondante messe di composizioni poetiche di giovani e giovanissimi cresciuti nella temperie culturale del post-apartheid. Il libro contiene un gran numero di testi prodotti e trasmessi oralmente, che il curatore ha raccolto e tradotto a fronte, corredandoli  di note indispensabili alla fruizione. Gli autori sono 28, 24 dei quali hanno fornito il testo scritto, e 4 che hanno preferito non  comparire in forma scritta ma soltanto nell’esecuzione orale riportata nel dvd allegato all’antologia.
L’intento dichiarato del curatore è stato quello di rappresentare al massimo  il movimento deglispoken word artists che appare di grande rilievo nel panorama culturale del Sudafrica contemporaneo: e per raggiungere lo scopo ha mirato a raccogliere il maggior numero possibile di voci, in modo da offrire un documento rappresentativo del presente. E’ chiaro che così facendo D’Abdon  ha seguito un criterio socioculturale, più che strettamente critico, e ha incluso autori molto diversi e diversamente efficaci, o diversamente maturi da un punto di vista espressivo.
Il movimento degli artisti orali, o della parola parlata, è uno dei fenomeni più cospicui nel panorama letterario del Sudafrica post-apartheid, e ha assunto un’ampiezza diffficilmente documentabile data la sua natura specifica che lo rende elusivo e allo stesso tempo onnipresente. Questi poeti appartengono per molti aspetti alla tradizione più genuinamente africana, ed antica, del paese; e però allo stesso tempo ne costituiscono un esito nuovo e inaspettato, avvincente nella sua imprevedibilità, dato che fondono le antiche consuetudini orali con aspetti avanzati della modernità. Essi infatti non sono poeti “letterati”, né professionisti della trasmissione orale, ad esempio, bensì rappers “virtuosi”, poeti freestyle e narrastorie, e sono nati nel e per il contesto urbano delle township in cui si annidano e che esprimono.
D’Abdon informa che sono gli esponenti di un’estetica nera e che – sebbene comprendano anche poeti bianchi come Miller, Kaganof e d’Offizi –  sono quasi tutti neri e maschi (anche qui, con delle eccezioni, come le donne  del collettivo Feelah Sistah). Nulla che possa venire accostato alla produzione epica dell’izibongo zulu che pure aveva saputo convertirsi nel presente dell’apartheid e piegarsi all’uso politico nei versi di Alfred Temba Qabula, il poeta del sindacato nero Fosatu; nulla che ricordi l’alta poesia xhosa, il praise poem che aveva trovato una voce forte e risonante in S:E:K:Mqhayi; nulla che li colleghi direttamente ai poeti della stagione di Soweto, neppure a quelli più clamorosamente legati all’oralità come Oswald Mtshali e Mafika Gwala. Una generazione nuova, dunque, che nella libertà del postapartheid trova spazio per creare una consuetudine espressiva fortemente innovativa, anche se ancora una volta questa nuova poesia nasce sempre – come già precedentemente in Sudafrica – nel contesto della collettività e nell’occasione aggregante del sociale comunitario. Se oggi i punti d’incontro sono l’Horror Café di Newtown, a Johannesburg, i ciphers (cerchi di espressione poetica) improvvisati e le “esplosioni” poetiche (secondo la suggestiva definizione del curatore) , le caratteristiche di questa nuova produzione rifondano il segno tutto africano della mescolanza dei generi e delle forme, le modalità stilistiche della ripetizione variata, delle liste di nomi e della forma antifonica, l’uso di linguaggi creolizzati e non standard, il ruolo essenziale del fattore sonoro e musicale che tende a prevalere sui valori semantici e anche soltanto verbali. E non mancano i collegamenti con la produzione poetica nera statunitense, con cui il rapporto è evidente: nonostante le distanze geografiche e le differenze culturali, la globalizzazione della rete unisce fulmineamente esperienze di matrice diversa che trovano riscontro in una ricerca poetica e/o musicale analoga
L’ampia e circostanziata Introduzione di D’Abdon – che nell’antologia è preceduta da una bella prefazione di Zakes Mda, il quale appare lieto di dare la sua benedizione all’impresa – è molto utile a chi voglia avvicinare il Sudafrica di oggi ed esplorarne gli esiti culturali più avanzati. D’Abdon ha fatto un ottimo lavoro, e la sua ricerca ha saputo giovarsi, forse inconsciamente – o, meglio, spontaneamente — del metodo antropologico dell’osservazione partecipata, dato che egli ha vissuto per un anno in mezzo agli artisti orali seguendoli dovunque essi si manifestassero, e finendo quasi per diventare uno di loro, non fosse per l’attenzione ciritica che in lui rimane sempre giustamente sorvegliata nonostante l’entusiasmo del ricercatore.
Le singole voci contenute nell’antologia sono, come si accennava, di livello assai diverso,. ma vanno citati alcuni autori di spicco, come Mak Manaka, Natalia Molebatsi, Samiel X, Andrew Miller e altri. In calce alla raccolta vi sono utili schedine biobibliografiche dei singoli poeti, complete di indirizzi e-mail. I testi raccolti sono tradotti con attenzione e sapienza, e l’idea di aggiungere un dvd alle pagine scritte è davvero eccellente, perché questa poesia va assolutamente ascoltata per manifestarsi. Veramente bravo, questo ricercatore che è andato a caccia di poeti e ne è ritornato con un grosso bottino che ha messo a  disposizione del pubblico italiano.

15-12-2009