Racconti italiani – Gino Chiellino

Chiudendo il volume “Racconti italiani” di Julio Monteiro Martins, uscito presso Besa Editrice, mi sono chiesto perchè mai questo scrittore di lingua italiana parli così poco del suo Brasile ai suoi lettori in Italia. Mi sono chiesto perchè mai lui insista tanto nel raccontare l’Italia agli italiani. La prima risposta che mi sono dato è che così facendo Julio Monteiro Martins riesce ad evitare di diventare famoso svendendo quello che italiani ed europei immaginano che sia il Brasile. Ma la perseverenza con cui l’autore riconduce il lettore a realtà specificatamente italiane come: Hic sunt leones,  You call me MimmoResoconto, O` cancelliere o La parabola del giovane economista, potrebbe avere anche altre ragioni. Forse lo scrittore vuole documentare un suo senso di assoluta appartenenza alla letteratura italiana contemporanea; o forse il suo scrivere che letteratura interculturale in lingua italiana non si svela a chi ha buoni contatti con la letteratura brasiliana.
Il suo insistere sul presente in Italia mi fa pensare ad un autore che per scrivere si affida più alla geografia che alla storia, perchè come dice Hector Bianciotti, quando si scrive fuori ed in un’altra lingua “la geografia insidia la storia” e per raccontare l’autore rivolge agli occhi più che alla memoria. In un certo senso l’ha fatto, e brillantemente, anche il russo Vladimir Nabokov creando la sua “Lolita” nell’inglese del Nordamerica. Se il lettore di Nabokov sorvola le pagine erotiche, che hanno reso famoso il romanzo, scoprirà che la lingua inglese di Nabokov nasce in cittadine di provincia e dal suo entusiasmo per i paesaggi nordamericani. Per quanto riguarda il raccontare di Julio Monteiro Martins ho l’impressione che per scrivere in italiano egli faccia un po` come lo studioso tedesco Rudolf Arnheim, che ha affermato di pensare per immagini per crearsi la lingua inglese in cui svolge le sue ricerche nel campo della psicologia e dell’estetica.
In tale senso il racconto di Julio Monteiro Martins, che indicherei come un piccolo capolavoro di scrittura interculturale, è quello dal titolo “Il materiale scenico del ricordo” (pag. 139-143), dedicato alla partenza di Giovanna come ultimo fotogramma di una separazione. In questo racconto la scrittura di Julio Monteiro Martins passa attraverso l’occhio e l’udito, che si alternano nel percepire il mondo esterno per tradurlo in lingua, come si puo´ vedere dal brano seguente: “Da qualche punto della stanza Giovanna mi osserva mentre mi rado. Forse da una poltrona? Non saprei dire se ce ne sia una. Forse da una sedia vicina alla tavola spoglia? No! Adesso vedo! Mi osserva dalla soglia della porta della minuscola stanza in affitto. Se ne stava andando in quel momento. Quella mattina si era già fatto tardi. Forse doveva andare a lavorare? No, credo di no. Forse doveva fuggire da lì, scappare in fretta, ma perchè? C’era una musica nell’aria, posso udirla, il suono di un flauto andino. Si`, ero osservato mentre mi facevo la barba e fumavo la prima sigaretta del mattino e sentivo un flauto dolcissimo che sembrava entrare dalla finestra insieme ai raggi del sole e al profumo di gelsomino. Il buio allora era interno, e si intravedeva soltanto dalle finestre degli sguardi.”
Il fatto che la scrittura di Julio Monteiro Martins non nasca come operazione di ricupero di una memoria brasiliana in lingua italiana sottolinea la specificità del suo essere scrittore. Penso che a tale operazione di recupero creativo siano predisposti di più quegli autori interculturali che vivono all’interno di una minoranza. Quegli autori, che come Sulman Rushdie incentrano la loro scrittura sulla solidarietà con la minoranza di appartenenza, o quegli autori interculturali che si nutrono di un noi minoritario all’interno di un gruppo etnico-culturale in stato di disagio. Ma Julio Monteiro Martins non vuole neanche sentirsi oggetto privilegiato della solidarietà che viene concessa così volentieri al rifugiato politico, perchè si tratta di una solidarietà che nobilita soprattutto chi la pratica. Egli intende essere solo e se stesso. Non ha che se stesso e la quotidianità in una lingua diversa dalla lingua del ricordo per giungere alla scrittura. E se scrive del Sudamerica come nei racconti: Chat o Il grande avvenimento, lo fa con le stesse tecniche narrative con cui costruisce racconti ambientati in altre parti del mondo come nel racconto dal titolo Christian Kurz.
Ma ciò che accomuna di più i racconti brevi e a volta brevissimi di Julio Monteiro Martins e che conferisce unità estetica al volume è il fatto che essi in realtà sono degli incipit che annunciano tanti romanzi. Giunto alla fine di ogni suo racconto ho avuto la netta sensazione di entrare in un romanzo, che Julio Monteiro Martins non racconta per non imbrigliare la fantasia dei suoi lettori. O si tratta di un raccontare tutto brasiliano che a me sfugge? In ogni caso il suo modo di raccontare realtà italiane era finora ignoto alla letteratura italiana.