Takoua Ben Mohamed
Sotto il velo
Becco Giallo 2016 pag.112 € 15,00
Giovanna Pandolfelli
Spiritosa, ironica e autoironica, la giovane italo-tunisina Takoua Ben Mohamed svela con coraggio cosa si celi realmente sotto il velo islamico. Attraverso eloquenti vignette policrome, descrive ai suoi lettori i sentimenti e le reazioni che suscita l’indossare un velo in una società occidentale.
Il velo che copre la testa, e in particolare la capigliatura, simbolo della femminilità, è associato in Occidente alla repressione della donna. E spesso lo è, ciò è innegabile, tuttavia Takoua Ben Mohamed intende sovvertire le coscienze e le menti provocando, con delicata, ma affatto “velata”, ironia, delle reazioni di fronte a situazioni inattese.
Da un lato c’è lo sguardo dell’altro sul velo, uno sguardo fatto di sospetti, di immaginari collettivi, di punti interrogativi. Un velo che nasconderebbe estremisti religiosi, capigliature trasandate e a volte mortificherebbe il corpo della donna. Può una donna velata indossare biancheria intima? Che senso ha andare dal parrucchiere? O persino: avrà i capelli?
Dall’altro c’è lo sguardo su se stessa, la donna velata che affronta la quotidianità: in che foggia indossare il velo, quali i vantaggi e quali gli inconvenienti. Il velo segue anche le sue mode, è indumento ornamentale oggetto di desiderio femminile, ci sono vari modi per indossarlo e fissarlo, a seconda dei diversi stili e dei Paesi di provenienza.
La donna velata subisce anche un terzo sguardo, quello del proprio connazionale, uomo o donna che sia, che riconosce in lei un membro della propria comunità sfuggito alle norme comportamentali tradizionali, riunendo nel suo aspetto esteriore sia l’elemento mediorientale femminile per eccellenza, il velo, che altre caratteristiche considerate tipicamente occidentali come pantaloni attillati, indumenti colorati, trucco.
Una posizione scomoda, dunque, quella della donna velata in Occidente che sceglie di portare il velo pur sentendosi perfettamente integrata nella società in cui vive, senza voler rinnegare quella delle proprie origini culturali. Il velo è una questione prettamente femminile, un segno di riconoscimento della donna musulmana, un fatto religioso, ma anche sociale, culturale, comportamentale, etico. Il velo non si riduce a mero simbolo di appartenenza religiosa, ma va ben al di là. E la donna velata in Occidente, pur non volendo rinunciarci, ne subisce tutta la tensione che quello scampolo di stoffa porta con sé.
Interessante può risultare per il lettore il parallelo con l’autrice iraniana Azar Nafisi, (“Leggere Lolita a Teheran”) che affronta il tema del velo con molta delicatezza, pur nella contraddizione evidente, riconoscendo all’indumento il valore di una tradizione antica via via strumentalizzata. Parla del chador, il mantello nero che copre testa e corpo, dunque diverso dall’hijab tunisino (che copre il capo e il collo e può essere colorato). Il chador della Nafisi profuma di sua nonna, che lo indossava come uno stato interiore dell’anima, divenuto ormai altro per le nuove generazioni costrette a portarlo e allo stesso tempo incapaci di vedersi senza.
Takoua Ben Mohamed riproduce un’immagine di donna con il velo del tutto a suo agio, come se il questo fosse parte di sé, della sua identità. Ciononostante, le esperienze le creano una ipersensibilità che rischia di vedere pregiudizio anche dove non ce n’è.
Takoua non manca di mostrare i punti in comune con le altre giovani donne occidentali come lei: essere attive sui social, truccarsi, fare shopping, andare dal parrucchiere, ma anche avere bisogno di sentirsi belle e apprezzate, le giornate no in cui l’autostima vacilla, persino le esperienze più umilianti come una critica da parte di un giovane corteggiatore, fino al colloquio di lavoro che valorizza l’aspetto fisico a discapito delle competenze. Takoua mostra come il velo sia solo un espediente per determinate intenzioni volte a sottovalutare la donna, che può vivere certe esperienze in qualsiasi condizione e in qualsiasi società. Non è del resto altrettanto umiliante essere osservate dai passanti del sesso opposto per scollature vertiginose e gonne invisibili? Eppure nella cultura occidentale scoprirsi è maggiormente accettato che coprirsi, soprattutto il capo, e soprattutto se si ha il sospetto che si tratti di un’imposizione e non di una scelta.
Eppure Takoua ci sorprende con una giovane velata che manifesta a favore della libertà femminile e per l’istruzione. Se ne deduce che sono diversi i canoni e i criteri estetici e di femminilità che rendono una donna attraente e degna di rispetto. Tuttavia, la conclusione di Takoua è che ognuno dovrebbe essere libero di indossare ciò che vuole (“Tacete tutti maschiacci, io mi vesto come voglio!!) e che l’appartenenza a due culture non dovrebbe implicare l’obbligo di sceglierne una. La riflessione si rivolge al concetto di integrazione che, nell’accezione comune, significa piuttosto assimilazione e rinuncia della propria identità di origine, mentre dovrebbe invece dirigersi nella direzione del mantenimento delle due culture e identità. Takoua si dice ottimista che Occidente e Islam siano in grado di valorizzare i punti in comune e da lì comincino a costruire un dialogo interculturale. Ciò è possibile solo in assenza di estremismi, di prevaricazioni e di pregiudizi.
01-07-2017