Narrativa transnazionale

La Grande alluvione

Il signor Jurij sognava spesso l’alluvione del ’49. Il fiume Amur quell’anno si gonfiò di quasi tre metri. Per i grandi, naturalmente, si trattò di una catastrofe naturale, ma per il piccolo Jura fu una delle più importanti avventure della sua vita. Era bello sentire le sirene di allarme e vedere come tutti gli abitanti sbucavano fuori dalle loro case e correvano verso la riva. Era bello vedere avanzare a vista d’occhio le acque scure del grande fiume. Era bello sentire come gli adulti si dividevano rapidamente in squadre e si assegnavano i compiti: voi correte a prendere sacchi, voi altri le carriole nei cantieri e negli orti, voi riempite i sacchi di sabbia e di terra, voi formate una catena umana e passate i sacchi pieni, voi impilateli per formare un molo. Anche Jura si diede da fare: aiutò a riempire alcuni sacchi. Poi la curiosità prese il sopravvento e allora corse in cima al palazzo in cui viveva, s’arrampicò sul tetto e guardò l’avanzata del fiume e la schiera umana che cercava di contrastarla.

Il molo aveva tenuto per un po’, giusto il tempo per mettersi tutti quanti al sicuro. I grandi avevano portato dietro anche valigie e fagotti – non molti, giusto quello che erano riusciti a mettere insieme mentre il molo reggeva ancora la pressione dell’acqua. Jura portò con sé la cartella con la quale andava a scuola e il suo bene più prezioso: i due biglietti per il concerto di Maja Kristalinskaja, la bellissima cantante bionda, la preferita di Jura, che sarebbe venuta in tournée a Chabarovsk di lì a poco.

Agli abitanti dell’altra – più bassa – riva dell’Amur, andò decisamente peggio. Forse l’alluvione fu più rapida da quella parte, forse loro erano meno preparati, comunque là, da loro, furono inondati moltissimi villaggi e molte città. Anche quelle grandi come Chabarovsk. Alcune ore dopo l’evacuazione, da Chabarovsk partirono verso l’altra riva molte imbarcazioni per dare una mano. I grandi poi raccontarono che avevano navigato per chilometri tra le cime degli arbusti che spuntavano dall’acqua. Avevano trovato molte famiglie di contadini che si sbracciavano sui tetti delle loro capanne. Li avevano raccolti tutti e li avevano portati tutti in salvo.

C’era qualcosa di sbagliato in quella storia… Negli ultimi anni la testa del signor Jurij gli giocava degli strani scherzi. A volte i ricordi lo assalivano con una nitidezza assoluta, altre volte invece alcune parti cominciavano a sfumare, a scivolargli come piccoli pesci tra le maglie della rete che era diventata la sua mente. E ogni anno le maglie si allargavano.

Forse non era il ’49? Era il ‘47? O il ‘51? Mah… Era quel che era…

Forse non era successo a Chabarovsk, ma a Vladivostok oppure a Belogorsk? Suo padre era un militare, veniva trasferito spesso… Comunque di sicuro era in Estremo Oriente, sulla riva alta dell’Amur, su questo si poteva essere certi… Forse la sua cantante preferita all’epoca non era Maja Kristalinskaja, ma un’altra? O forse non era bionda ma bruna? Be’, può darsi. Di sicuro aveva due biglietti per il concerto e li aveva salvati dall’alluvione.

Poi quella storia sui contadini dell’altra riva… Era quasi certo di averne visto qualcuno sbarcare, perché loro avevano freddo e Jura con i suoi genitori avevano portato loro delle coperte militari. I contadini erano pochi e avevano gli occhi a mandorla…

Diverse ore dopo l’evacuazione da Chabarovsk partirono verso l’altra riva molte imbarcazioni per dare una mano. Ma nel frattempo al di là del fiume molte persone erano già morte. L’avrebbero poi raccontato i grandi che avevano partecipato al salvataggio. I grandi spiegarono anche perché era accaduto. La richiesta di soccorso era arrivata troppo tardi.

Sull’altra riva c’era un altro paese. Molto grande. La Cina. Prima che dalla remota regione di confine del grande paese la notizia dell’alluvione giungesse alla capitale della Cina passò del tempo, prima che nella capitale fosse presa una decisione su cosa fare passò altro tempo, prima di scoprire che con le forze proprie non si poteva farcela – ancora tempo, prima di decidere se chiedere aiuto o meno al paese di Jura – ancora tempo. Il paese di Jura era ancora più grande: la Russia. Anzi, all’epoca era l’Unione Sovietica. E la capitale dell’Unione Sovietica era molto molto lontana. E dopo che le due capitali si decisero finalmente a parlare tra di loro, passò ancora un bel po’ di tempo finché la notizia arrivò fino a Chabarovsk.

I grandi raccontarono di essere partiti in fretta e furia navigando oltre la frontiera – una cosa del tutto eccezionale all’epoca – per chilometri, senza vedere nulla tranne che le cime degli arbusti che spuntavano dall’acqua. Poi avevano trovato alcune famiglie di contadini con gli occhi a mandorla, provati dalla fame e dal freddo, rifugiati sui tetti delle loro capanne. Pochi di loro erano ancora vivi, li avevano raccolti e portati in salvo.

Era andata davvero così? Oppure no? Il signor Jurij avrebbe voluto chiedere a qualcuno che lo sapeva e se lo ricordava, ma non c’era modo. Era un bel pezzo che viveva a Milano, a dodici fusi orari da Chabarovsk. Si trovava disteso su un letto dell’ospedale San Raffaele. Si ricordava che di lì a poco gli avrebbero fatto un intervento. Davanti a lui c’era il televisore acceso che trasmetteva un notiziario. Sullo schermo le immagini di un’alluvione, forse in Gran Bretagna. E sul letto accanto al suo un ragazzo con gli occhi a mandorla, la testa bendata.

Il signor Jurij pensò che doveva tornare assolutamente a Chabarovsk. Che dopo essere uscito dall’ospedale, l’avrebbe fatto di sicuro. Che avrebbe dovuto farlo già prima… Era certo che se si fosse trovato di nuovo lì, sulle rive dell’Amur, avrebbe ricordato tutto. E anche se non avesse potuto ricostruire proprio tutto tutto, non sarebbe stato più importante. I suoi occhi avrebbero visto le cose che vedevano quando era bambino, le sue orecchie avrebbero udito i suoni del grande fiume… Gli odori non li avrebbe potuti percepire, perché il malefico mandarino che gli si era formato nel cervello aveva già distrutto il suo olfatto…

Poi il signor Jurij vide la parete grigia di un corridoio che scorreva all’indietro. Passò in un lampo un estintore rosso. La mappa bianca del piano di evacuazione in caso d’incendio. Poi una scritta semicancellata sul muro: LA SFIGA ESISTE.

Sì, è vero, la sfiga esiste. E anche dentro la sua grande avventura dell’alluvione c’era stata una grande sfiga: Maja Kristalinskaja o chi per lei annullò la tournée e non venne più a fare il concerto. Il piccolo Jura quando lo venne a sapere si arrabbiò così tanto che strappò i biglietti e andò a buttarli nel fiume da quel poco che restava del molo costruito coi sacchi.

Era disteso su una barella e uomini con camici verdi la stavano spingendo lungo i corridoi. Poi presero l’ascensore. Il signor Jurij si ritrovò a fissare un neon che gli fece venire la nausea così chiuse gli occhi. Un ricordo esplose nella sua mente con una nitidezza incredibile.

Si trovava al poligono militare. Un grande campo coperto da una spessa coltre di neve. Correva l’anno 1955. Nella sua scuola avevano formato un gruppo di giovani paracadutisti. Per ottenere l’attestato di giovane paracadutista bisognava fare una serie di lanci. Prima dalla torre del poligono, poi dall’aereo. Jurij li aveva già fatti tutti.

C’erano altri ragazzi della sua scuola che si stavano imbarcando sull’aereo militare con gli zainetti sulle spalle. Tra loro ce n’era uno che non ci voleva salire. Diceva di avere paura e chiedeva di essere lasciato a terra. Comportati da uomo – gli disse l’istruttore e lo spinse dentro. All’interno dell’aereo era buio e faceva freddo. Il ragazzo era seduto sulla panca in mezzo agli altri e quando toccò a lui non si alzò. L’istruttore lo afferrò per la collottola, lo tirò su e agganciò il moschettone dello zainetto a una corda dentro l’aereo. Il ragazzo si mise a urlare dibattendosi, ma l’istruttore lo spinse fuori dal portellone aperto nella fiancata della fusoliera. Il ragazzo precipitò e il gelo conficcò mille aghi in ogni parte del suo corpo. Poi sentì uno strattone e sopra di lui si spalancò una cupola bianca.

Jurij seguiva da lontano il puntino nero che planava verso il centro del poligono e vide il ragazzo atterrare con le gambe piegate e sedersi sulla neve come fosse una poltrona. Alcuni soldati gli corsero incontro. La cupola bianca, incorniciata dall’azzurro del cielo, in assoluto silenzio si afflosciò lentamente sopra la piccola figura nera. Quando i soldati raggiunsero il ragazzo, lo trovarono immobile con gli occhi sgranati che ripeteva a macchinetta: Io non ho paura. Io non ho paura. Io non ho paura.

Però anche in questo ricordo c’era qualcosa che non andava: come faceva a ricordare così bene quello che era accaduto dentro l’aereo? Chi era quel ragazzo? Forse era lui? Allora perché gli si era piantata nella mente come un chiodo quell’immagine del paracadute di un bianco candido che scendeva sopra la candida neve? Era davvero un suo ricordo o magari una storia che gli aveva raccontato qualcuno, forse suo padre, tanto tempo fa?

Signor Jurij. Signor Jurij? Qualcuno gli toccava la spalla. Aprì gli occhi. Intorno c’erano uomini con camici e cuffiette verdi, i volti coperti dalle mascherine. Il signor Jurij riconobbe l’uomo che gli stava parlando. Era quello simpatico, quello che conosceva qualche parola in russo e gli aveva confidato che sua madre era slovena.

Signor Jurij, stiamo per cominciare. Ora le faccio un’iniezione. Lei cominci a contare: uno, due, tre. 

Il signor Jurij annuì e prese a contare:

Uno
due
tre
io non ho paura
IO non ho PAURA
IO NON HO PAURA

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Editing italiano di Catia Renna.

L'autore

Tatiana Olear

Tatiana Olear, nata a Tomsk, in Siberia nel 1972. Si è formata all’Accademia Teatrale di San Pietroburgo, ha lavorato come attrice nella compagnia di Lev Dodin “Malyj Drama Teatr”. Dal 1996 vive in Italia, lavora come regista, attrice, autrice teatrale, docente di regia e scrittura scenica presso la Scuola Civica Paolo Grassi di Milano. Ha collaborato come traduttrice con la casa editrice Mondadori. Dal 2012 al 2016 è stata condirettrice artistica del Festival Internazionale Tramedautore, organizzato dall’Outis – Centro Nazionale della Drammaturgia Contemporanea, Milano.