Editoriali

Editoriale – Giugno 2016

Essere musulmano da Malcom X a Muhammad Alì, dall’Ayatollah Khomeini alla piccola Malala Yousafzai

Cari lettori,

il tema di questo numero è l’abitare ma come sempre le pagine della nostra rivista sono aperte ad altri argomenti. A questo proposito cercherò di ragionare sugli atteggiamenti che mandano all’aria il convivere nella pace degli esseri umani a livello universale e avvelenano la quotidianità di ciascuno di noi, quindi mettono a rischio il senso stesso dell’abitare insieme. Confesso che questo editoriale è stato probabilmente il più difficile da portare a termine dal primo numero della nostra rivista. Il  nostro numero di luglio 2016 è già online da qualche giorno e solo ora sono finalmente riuscito a proporre questa forma di editoriale. Me ne scuso umilmente con i nostri lettori e con i membri del comitato editoriale di el-ghibli.

Nell’ultimo mese e mezzo, da qualche parte nel nostro mondo interconnesso e globalizzato, succedevano uno dopo l’altro terribili attentati di matrice islamica. Tutte le volte rimanevo profondamente scosso per le vittime, per il clima di odio che potrebbe generare tra non musulmani e musulmani. In quanto musulmano, pativo dalla vergogna, mi sentivo e mi sento schiacciato dal senso di colpa dopo ogni attentato commesso a nome dell’Islam. In questo momento diventa quasi irrilevante quanto io sia laico o praticante, lontano o vicino alla mia religione: l’Islam. In questo momento non basta dichiararsi musulmano moderato e affermare che questi pazzi assassini membri di Daesh, Al Qaeda, Boko Haram, Shebad, Al Nostra non siano dei veri musulmani e non rappresentino l’Islam. Questi terroristi sono dei musulmani che tentano di imporre a me, agli altri musulmani e al mondo intero un Islam con le mani macchiate di sangue di innocenti. Loro sono e rimarranno musulmani per il resto della storia umana. Sono passati secoli ma, se non erro, non si sentono i cristiani affermare che i fautori della Santa Inquisizione non erano cattolici; che chi per secoli accusava le donne di essere delle streghe e le bruciava vive nei roghi sia in Europa sia nel Nuovo Mondo non erano cristiani.

Non mi ricordo con esattezza i luoghi e la cronologia anche limitandomi soltanto agli attentati di matrice islamica commessi quest’anno. Potrei come voi menzionare gli attentati all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles ai danni di innocui viaggiatori e lavoratori di tutte le etnie e religioni che erano presenti casualmente in quei luoghi, la strage nella discoteca frequentata da pacifici omosessuali a Orlando in Florida. Potremo insieme ricordare gli infiniti attentati degli Shebab a Mogadiscio in Somalia, di Al Qaeda o di Daesh in tutti i paesi del Medio Oriente, Turchia, Russia e in numerosi paesi dell’Asia, India, Bangladesh a nome dell’Islam. Oppure, per egoista  istinto di sopravvivenza, cerchiamo di dimenticare gli attentati sulle spiagge della Tunisia, negli alberghi del Mali o del Burkina Faso, nei resort del Sinai, nei vicini bistrot o locali notturni di Parigi l’anno scorso. A nome dell’Islam ci sono dei poliziotti musulmani o non musulmani freddati per strada qua e là anche in Francia. Dal Marocco al Pakistan professori laici  sgozzati  mentre sono in cattedra davanti agli studenti, attivisti pacifisti,  sindacalisti, scrittori assassinati. A nome dell’Islam in Irak e in Siria donne stuprate davanti ai propri famigliari e poi bruciate vive o eliminate a raffica di kalashnikov insieme per mano di vigliacchi peggio di quelli dei tempi del nazifascismo. Oppositori politici condannati a morte a nome dell’Islam, decapatati o impiccati in pubblico nei ricchissimi Emirati petroliferi del Golfo Persico, Arabia Saudita, Iran, Egitto, Libia. Agghiacciante!

Tutto quest’orrore, tutti questi crimini inqualificabili vengono commessi a nome di una religione seguita da circa due miliardi di esseri umani presenti in tutti i continenti: l’Islam. Io sono uno di quei due miliardi di musulmani e questo mi fa sentire moralmente responsabile di ogni attentato commesso in ogni luogo a nome dell’Islam. Ogni volta ho pianto dentro e fuori per le vittime, tutti innocenti. Ogni volta ho pianto per il resto dell’umanità disarmata e non violenta a cui appartengo e voglio continuare ad appartenere. Ho pianto dentro e fuori perché nessuno in questo momento è in grado di proporre una soluzione opportuna per questi atti di terrorismo. Ho pianto per chi non ha né casa né patria e dunque cerca un luogo dove abitare.

Sono milioni di migranti e di profughi che ogni anno tentano di scappare dalle stragi causate dai terroristi musulmani e, lo ripeterò per la centesima volta, dalle guerre fomentate dall’Occidente in Irak, Afganistan, Israele, Palestina, Somalia, dalle dittature africane appoggiate anche da alcuni paesi occidentali in Etiopia, in Eritrea, dalle catastrofi naturali e dalle carestie dei paesi del Sahel.

L’avevamo già scritto qui ma ripetiamolo ancora e ancora perché è uno stillicidio agghiacciante e senza fine, ripetiamolo per questi milioni di persone in balia degli   spietati trafficanti di essere umani, esposti ai pericoli mortali dei deserti e del Mar Mediterraneo  e spesso i sopravvissuti subiscono il rigetto e l’odio quando approdano ai confini d’Europa. Qualche baluardo d’umanità  resiste, l’isola siciliana di Lampedusa,  i suoi abitanti, il suo sindaco Giusi Nicolini; Papa Francesco che va incontro ai rifugiati e non smette di richiedere a gran voce per  loro accoglienza e umanità.

Di fronte a questo tragico scenario universale invece di rinsaldare l’Unione Europea e di costruire solide alleanze esterne, cittadini e paesi che la compongono pensano che sarebbe meglio un fuggi fuggi nazionale. Rompere l’Unione Europea senza perdere tempo! Tirare i remi in barca senza esitare! Si salvi chi può nei propri confini!  Il Brexit è stato recentemente votato dai britannici. Populisti francesi, olandesi , ungheresi e altri invasati spingono verso la porta d’uscita dall’Unione.

La strategia di Al Qaeda e di Daesh è seminare la paura, dividere il mondo, indebolire i popoli. “Divide et impera”  dicevano gli antichi Romani. I primi a cascare nella trappola dei terroristi di matrice islamica sembrerebbero proprio le nazioni della vecchia Europa e tanti suoi cittadini impauriti che si lasciano trascinare dai leader populisti di turno.

Quando Islam era sinonimo di riscatto per i reietti

Negli Usa, considerando il periodo dopo la Seconda Guerra Mondiale, le leggi razziali erano vigenti in molti Stati del Sud e le discriminazioni legate al colore della pelle  erano diffuse un po’ ovunque.  Nella vita comune e nelle carceri molti  africani americani si rifugiavano nell’Islam per ritrovare almeno una serenità interna. L’Islam trasformò positivamente il destino ad alcuni di loro. Cito due esempi emblematici.

Un reietto, un ladro specializzato, un drogato, un carcerato africano americano Malcom Little (Omaha, Nebraska, Usa 1925-Washington Heights, New York, Usa 1965), figlio di un pastore battista  assassinato per il colore della sua pelle, si era convertito all’Islam negli anni ’50  del secolo scorso e aveva scelto il nome di Malik El-Shabazz. Era più noto come Malcom X e si era trasformato in uno dei più carismatici attivisti per i diritti civili degli africani americani. La sua esistenza fino al suo tragico assassinio è più o meno nota. Ricordo solo un particolare della vita di Malcom X durante il suo pellegrinaggio alla Mecca e raccontato nel film a lui dedicato da Spike Lee e interpretato da Denzel Washington. Malcom X fu meravigliato perché alla Mecca aveva per la prima volta sperimentato un “cosmopolitismo egualitario”. Per la prima volta nella sua vita, nei primi anni ’60 del ‘900, Malik El-Shabazz aveva incontrato uomini e donne di tutti i colori, di tutte le origini, di tutte le lingue che semplicemente non si discriminavano tra loro, non si sentivano esseri superiori rispetto a chi aveva il colore della pelle diversa o parlava una lingua diversa.

“I vietnamiti non mi hanno mai detto sporco negro, per quale motivo dovrei andare nella loro terra per fare la guerra contro di loro?”.  Questa frase fu attribuita a Muhammad Alì che rifiutò di indossare la divisa statunitense circa 50 anni fa. Era più o meno nella stessa epoca del pellegrinaggio alla Mecca di Malcom X, quando il giovane Cassius Marcellus Clay, Jr. (Louisville, Kentucky, Usa   1942-Scottsdale, Arizona, Usa, 3 giugno 2016) era diventato Campione Mondiale dei pesi massimi di boxe e si era convertito all’Islam. Il boxeur fuori classe  scomparso il 3 giugno 2016,   era figlio di un battista e di una metodista e aveva scelto il nome di Muhammad Alì. Anche questa è storia nota  ma sappiamo che queste poche righe che noi dedichiamo Alì non bastano per rendergli omaggio. I precetti dell’Islam, aveva dichiarato Alì di fronte ai mandatari della “giustizia statunitense” dell’epoca, vietavano a lui e ad ogni musulmano di ammazzare esseri umani senza distinzione di religione, etnia o colore. In breve, Muhammad Alì il musulmano africano americano, l’obbiettore di coscienza, il pacifista,  l’anti imperialista, il cittadino del mondo,  fu arrestato, condannato, incarcerato dalle autorità degli Stati Uniti d’America. Il suo sudato e meritato titolo di Campione del Mondo di Boxe fu cancellato con una sentenza e lui fu radiato dalla professione. Dopo sette anni di ricorsi e di contro ricorsi giuridici, il boxeur risalì sul ring e riconquistò subito il suo titolo di Campione del Mondo e fino alla sua scomparsa il mese scorso, Muhammad Alì non ha rinunciato ai suoi principi morali.

 

Ora l’Islam sta diventando l’arma spietata dei reietti

Ora i figli dei musulmani incarcerati in Europa, a volte a ragione e molto spesso  ingiustamente, escono “radicalizzati” e “fanatizzati” dalle carceri. Persino una minoranza di ragazzi musulmani più fortunata odia la società occidentale a cui appartiene, odia il mondo senza distinzione di religione, etnie, culture, odia se stessa e la propria vita. Alcuni tra questi giovani hanno occhi e orecchie solo per i proclami di odio che Daesh spaccia attraverso i social network e l’eco troppo mitizzante che la stampa, soprattutto quella occidentale,  dà a quei movimenti terroristi. Anche qui, senza giustificare né perdonare le loro intenzioni o atti, ammettiamo che la storia di questi candidati terroristi sia molto più complessa ma sappiamo che a nome dell’Islam, Daesh offre loro la via del terrorismo globale, la via della strage, la via del suicidio per accedere al paradiso. Chi crede nell’Islam sa che il Corano dice chiaro e tondo che un musulmano suicida non può essere sepolto in un cimitero musulmano perché finirà diritto all’inferno. Chi conosce l’Islam sa che il Corano dice chiaro e tondo che ammazzare un solo essere umano (non importa a quale religione appartenga la vittima) equivale a sterminare l’intera umanità.

L’Ayatollah Khomeini e la globalizzazione dei fatwa

Tra Malcom X, Muhammad Alì   e i giovani musulmani occidentali “radicalizzati” si potrebbe azzardare che c’è stato di mezzo l’influenza dell’Ayatollah Khomeini. A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, l’Ayatollah Khomeini ha avuto un notevole contributo nella progressiva radicalizzazione del mondo musulmano anche fuori dai confini dell’Iran. A mio parere, l’Ayatollah non è stato l’unico ma almeno uno degli ispiratori di tutte queste schegge impazzite che ogni giorno minacciano il mondo e ormai non risparmiano neppure l’Iran. Il religioso diventò la Guida Suprema del suo paese a favore della rivoluzione popolare del 1979 che ha spazzato via la secolare e despotica dinastia dei Shah Pahlavi. Senza perdere tempo Khomeini, si fece circondare da una nuova dinastia di religiosi e l’impero di Persia fu trasformato in Repubblica teocratica d’Iran. I persiani passarono dai sanguinari Pahlavi agli spietati  Ayatollah. Non soddisfatto di impiccare nelle pubbliche piazze i suoi sudditi recalcitranti, lui e la sua corte di religiosi hanno reso universale l’uso spropositato di fatwa. Decretavano la morte delle persone che osavano pubblicare immagini o scritti critici contro l’Islam. La fatwa che condannò a morte lo scrittore anglo indiano Salman Rushdie  emessa da Khomeini  nel 1989 è ancora in vigore. Khomeini e i suoi Ayatollah hanno fatto scuola e avuto proseliti in altri paesi che a loro volta hanno pronunciato fatwa su infiniti aspetti della vita dei musulmani e su alcuni comportamenti di intellettuali laici o non musulmani … a nome dell’Islam.

A proposito di “abitare”, Khomeiny abitò per 112 giorni in Francia, a Neauphle-le-Château vicino a Parigi (dal 6 ottobre 1978 al 1 febbraio 1979). Era sbarcato da Bagdad cacciato da Saddam Hussein. Prima si era rifugiato in Irak per 15 anni perché perseguitato dallo Scia di Persia. E ironia della sorte,  sono stati  intellettuali francesi laici o non musulmani che hanno trasformato quel religioso, quasi dimenticato nel suo paese d’origine, in un punto di riferimento della Rivoluzione persiana. Un documentario diffuso il 15 ottobre 2012 dalla rete televisiva francese France 3 ne ripercorre i momenti rilevanti.

 Ancora oggi è possibile leggere sul sito internet di France 3 Television le seguenti frasi: “Venerdì 6 ottobre 1978, un aereo proveniente da Bagdad atterra a Parigi … Sbarca un uomo di 76 anni con una lunga barba grigia con un imponente turbante nero sulla testa … l’Ayatollah Khomeini … pronto a conquistare il mondo e prima ancora il mondo mediatico e politico dell’epoca … Dalla sua residenza a Neauphle-le-Château, il religioso intraprende –aiutato dalla fascinazione che esercita velocemente sull’intellighenzia e la stampa francese – di conquistare una parte del mondo musulmano e di convertirla alle sue tesi estremiste … Addentrarsi  nella storia di quell’esilio significa ritrovarsi in mezzo a una delle più grandi mistificazioni della nostra storia contemporanea: trasformare un Ayatollah esiliato in Irak, isolato, ancora senza grande impatto nel suo paese e completamente sconosciuto sulla scena mondiale, nel capo emblematico di una rivoluzione che avrebbe conquistato il potere in Iran, allora la più grande potenza del Medio Oriente! E cambiare la faccia del mondo e della storia contemporanea …  Questo documentario smonta i meccanismi di quella straordinaria operazione di marketing ideologica.  Decripta  il funzionamento e svela i mezzi in gioco”.

 La stampa francese e occidentale si sono lasciate abbindolare da Khomeini,   ma non è servita la lezione, perché sempre accecata dai propri pregiudizi nei confronti dei musulmani, la stampa occidentale ha frettolosamente e troppo abboccato alle esche buttate da Daesh e ripete tanti errori di ieri alla luce di ciò che scrive e pubblica attualmente sull’Islam … a nome della difesa della libertà d’espressione.

Si alzano tante voci lucide di musulmani e di non musulmani contro il terrorismo islamico. Tra queste la voce di una esile ragazza musulmana, una pacifista con il velo, Malala Yousafzai, una pastun nata nel 1997 in Pakistan, che   diventa la peggior nemica dei talebani e un bersaglio troppo facile per i terroristi.

Cosa fare visto che le religioni sono (e rimarranno) l’oppio dei popoli, come diceva qualcuno che tentò invano di abolirle? Dobbiamo provare a superare progressivamente i reciproci o almeno i più stupidi pregiudizi tra musulmani e non? Sforzarsi a considerare i movimenti terroristi di matrice islamica –e non i musulmani- i nemici del genere umano? Rendersi conto che i flussi migratori -per un lungo periodo della storia sono partiti dall’Europa verso il resto del mondo e oggi si sono invertiti dal resto del mondo verso l’Europa -faranno sempre parte dalla storia dell’umanità e che ci saranno sempre dei flussi inversi, perché uomini o animali  saremo sempre alla ricerca di un luogo, meglio se tranquillo e abbiente, in cui abitare, spesso ignorando confini nazionali, diversità religiose o culturali?
Tutto questo sarebbe possibile prima di tutto se ci fosse la volontà di governi, movimenti politici , promotori dei vecchi e nuovi media e successivamente dei singoli individui.

Cari lettori,

ho abusato dalla vostra pazienza ma permettetemi un’ultima riflessione sul commercio internazionale delle armi comprati da despoti con pochi scrupoli. Armi che finiscono tra le mani di aspiranti terroristi senza nessun scrupolo. La Libia post Gheddafi è un esempio clamoroso. Chi evoca il commercio delle armi è considerato un puro ingenuo. Solo i demagoghi e i complottisti mettono in relazione il lucroso commercio delle armi di tutti i tipi e in tutti i paesi con le azioni sanguinarie dei terroristi di matrice islamica. L’anno scorso il Presidente francese François Hollande ha firmato un contratto di circa 10, 5 miliardi di dollari di armi soltanto con l’Arabia  Saudita e altri 2 o 4 miliardi di dollari (difficile avere cifre ufficiali) di armamenti leggeri e pesanti con l’Egitto del Generale Al Sissi, altri miliardi di dollari con gli Emirati del Golfo, quest’anno col ricchissimo Iran degli Ayatollah. Proprio per questo Hollande è risalito (minimamente) come dicono i sondaggi nel tasso di gradimento dei suoi concittadini. Strappare un contratto di armamenti a un altro paese è considerato un successo diplomatico. Procura posti di lavoro ai propri concittadini. E’ un’operazione geopolitica ma non una strategia per fermare i terroristi islamici. Il commercio delle armi italiane nel mondo è incrementato  del 200% rispetto al 2014. Questo non è assolutamente losco traffico. E’ business come un altro e un settore che non soffre la crisi economica globale. Allora è doveroso battere i concorrenti sul mercato come Regno Unito, Germania, Israele, Sudafrica, Brasile, India e logicamente i giganti Usa, Russia e Cina. Badate bene tra i produttori e commercianti internazionali di armi troviamo i due paesi soggettivamente considerati i più civili della terra: Canada e Svezia. Vi troviamo persino il paese più pacifista della terra: l’impero del Giappone.

Si ringraziano i seguenti autori che hanno dato il loro contributo per la riuscita di questo numero:  per la sezione parole dal mondo:  Christiana de Caldas Brito, Gentiana Minga, Abdelmalek Smari,  Božidar Stanišić; per la sezione stanza degli ospiti: Martina Chiari, Daniele Comberiati, Monica Dini, Loretta Emiri, Anna Fresu; per la sezione parole dal mondo: Murray Alfredson, Gennadij Ajgi; per la sezione interventi: Angela D’Ambra, Giulia Martina, Melita Richter, Raffaele Taddeo, Roberta Sala

Grazie.

Buona lettura e serene vacanze.

Pap Khouma

L'autore

Raffaele Taddeo

E’ nato a Molfetta (Bari) l’8 giugno 1941. Laureatosi in Materie Letterarie presso l’Università Cattolica di Milano, città in cui oggi risiede, ha insegnato italiano e storia negli Istituti tecnici fin dal 1978. Dal 1972 al 1978 ha svolto la mansione di “consulente didattico per la costruzione dei Centri scolatici Onnicomprensivi” presso il CISEM (Centro per l’Innovazione Educativa di Milano). Con la citata Istituzione è stato coautore di tre pubblicazioni: Primi lineamenti di progetto per una scuola media secondaria superiore quinquennale (1973), Tappe significative della legislazione sulla sperimentazione sella Scuola Media Superiore (1976), La sperimentazione nella scuola media superiore in Italia:1970/1975. Nell’anno 1984 è stato eletto vicepresidente del Distretto scolastico ’80, carica che manterrà sino al 1990. Verso la metà degli anni ’80, in occasione dell’avvio dei nuovi programmi della scuola elementare, ha coordinato la stesura e la pubblicazione del volumetto una scuola che cambia. Dal 1985 al 1990 è stato Consigliere nel Consiglio di Zona 7 del Comune di Milano. Nel 1991 ha fondato, in collaborazione con alcuni amici del territorio Dergano-Bovisa del comune di Milano, il Centro Culturale Multietnico La Tenda, di cui ad oggi è Presidente. Nel 1994 ha pubblicatp per il CRES insieme a Donatella Calati il quaderno Narrativa Nascente – Tre romanzi della più recente immigrazione. Nel 1999 in collaborazioone con Alberto Ibba ha curato il testo La lingua strappata, edizione Leoncavallo. Nel 2006 è uscito il suo volume Letteratura Nascente – Letteratura italiana della migrazione, autori e poetiche. Nel 2006 con Paolo Cavagna ha curato il libro per ragazzi "Il carro di Pickipò", ediesse edizioni. Nel 2010 ha pubblicato per l’edizione Besa "La ferita di Odisseo – il “ritorno” nella letteratura italiana della migrazione".
In e-book è pubblicato "Anatomia di uno scrutinio", Nel 2018 è stato pubblicato il suo romanzo "La strega di Lezzeno", nello stesso anno ha curato con Matteo Andreone l'antologia di racconti "Pubblichiamoli a casa loro". Nel 2019 è stato pubblicato l'altro romanzo "Il terrorista".

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