Potevamo averlo costruito con i cocci, ispirandoci ai romani del Testaccio. Oppure con i mattoni o i sassi. Ma no, avevamo fatto un’altra scelta. Il nostro era un muro di libri. Non dormivo più con Piero ma accanto a Jorge Amado e a Primo Levi. Lui, lontano da me, vicino a Simone de Beauvoir e a Virginia Woolf. Mi dispiaceva vedere quella parete di libri che funzionava da vero e proprio séparé: di qua, io; dall’altro lato, Piero. Era triste aver strumentalizzato autori a noi cari come Tolstoj e Dickens. Scrittori che prima ci avevano uniti, si trovavano adesso, uno sopra l’altro, a dividerci. Conoscevo bene le opere del muro. La base era costituita dai volumi della Treccani. Tanto, con Internet non consultavamo più l’enciclopedia. Molti libri celavano speranze, desideri, timori che erano nostri (miei e di Piero) piuttosto che di Hans Castorp, Jean Valjean o della Signora Dalloway. I libri che delimitavano i nostri spazi erano quelli che io avevo regalato a Piero o lui a me. Le nostre affinità erano state scoperte attraverso la lettura di quelle opere ed erano stati i sentimenti dei loro personaggi a insegnarci cosa fosse l’amore. Il patto era chiaro: non toccare i libri del muro. Per noi il divieto non costituiva un problema: lavoravo io nella biblioteca comunale e Piero nell’unica libreria del quartiere. Quando un libro ci interessava, era facile ottenerlo, io dalla biblioteca, lui dalla libreria. Durante la giornata noi due eravamo distanti. Di mattina Piero prendeva il 34 per il suo lavoro, io il 702 per il mio. A metà giornata mangiavamo in ristoranti diversi. Di notte, al monolocale, il muro ci impediva di vederci, ma ero capace di dire il momento esatto in cui Piero si addormentava. Non per speciali doti divinatorie ma perché lui russava clamorosamente. Era in quel momento che accendevo la luce del mio abat-jour per continuare il libro iniziato in biblioteca. Quando il muro era ormai parte della nostra vita e ne avevamo fatto l’abitudine, uno strano fenomeno cominciò a manifestarsi. Tutto ebbe inizio una notte. Dormivo beatamente quando fui svegliata da un rumore. Accesa la luce, vidi un libro sul pavimento. Al di là del muro nessuno russava, il che voleva dire che Piero era sveglio. Doveva essere stato lui a tirare quel libro. Volevo protestare quando sentii la sua voce: “Perché non hai rispettato le regole del muro?” “Io dormivo…” “Non sei stata tu a tirare il libro?” “No, pensavo fossi stato tu.” “Dormivo anch’io, Marina.” Dopo queste poche frasi che mi sembrarono una lunga conversazione, siamo rimasti in silenzio. Io, confesso, un po’ emozionata. Erano settimane che non sentivo il mio nome detto da Piero. “E va bene, è caduto da solo” disse lui, “adesso ho troppo sonno ma domani mattina vedrò che libro è.” Il giorno dopo, quando mi alzai , curiosa anch’io, domandai a Piero: “E allora?” “Allora, cosa?” “Che libro era?” “Umiliati e offesi.” “Mi sembra giusto.” Piero non sembrava disposto a dialoghi. Uscendo di casa, ci ritrovammo in ascensore e lui, con l’atteggiamento del venditore che spiega un testo a un possibile acquirente, disse: “Il tema è la decadenza della nobiltà.” “Parli di Umiliati e offesi?” “Sì”. “Che c’entra la decadenza della nobiltà? Loro vogliono mostrarci quanto si sentono umiliati e offesi.” “Loro chi?” “I libri, naturalmente!” L’ascensore era arrivato al pianterreno e io non ebbi il tempo di sviluppare il mio pensiero. Passava il 702 e corsi a prenderlo. Quella sera, arrivato a casa, Piero mi scrutò: “Credi davvero che i libri possano mandare dei messaggi?” Ero pronta a mostrare il mio punto di vista, ma due libri si lanciarono dall’alto del muro. “Così è se vi pare” lessi sulla copertina del primo. “Avranno molto da dirci, eh? Quanti sono?” domandò Piero con ironia. “Uno nessuno, centomila” risposi dopo aver guardato il secondo libro. “Santo cielo!” lui esclamò, “spero non cadano tutti i miei Pirandello!” Così dicendo, andò a dormire. Il giorno dopo, la sera, gli dissi, inciampando sulle parole: “Piero, dato che ci stiamo parlando … vorrei sapere… questo muro… che senso ha mantenerlo ? ” Piero allargò le braccia in un gesto che sembrava includere tutti i libri del muro: “Perché non chiedi il loro parere?” Non aveva finito di parlare che cadde un nuovo libro, colpendolo su una spalla. “Accidenti! Mi hai fatto male!“ disse lui al libro. Sbirciai la copertina ma riuscii a vedere solo il nome di Saramago. “Cecità” disse Piero con gli occhi ben aperti. “La nostra incapacità di vedere…” completai. “Se siamo ciechi noi, lo sono loro più di noi!” “Loro chi?” “I libri, naturalmente! Hai notato con quale foga Cecità è atterrato sulla mia spalla?” Siccome di spalle Piero ne aveva due, la sera seguente, un nuovo libro gli cadde sull’altra. “Porca miseria! Sembra che fate apposta!” Guardò il muro con aria di sfida: “Cos’altro avete intenzione di fare?” Un esile libro disegnò in aria una traiettoria piena di piccole curve. Sarebbe stato pleonastico dire che Piero lo afferrò al volo. Si trattava di Volo Notturno di Exupéry. “Hai capito, Marina? Volano pure!” “Piero, i libri ci stanno comunicando che…” Non riuscii a finire la mia frase. Un libro di dimensioni ridotte era entrato nella tasca del pigiama di Piero: “Salve! Chi sei?” domandò Piero al libro. “ Il profeta” disse, dopo aver visto la copertina. “Potrà illuminarci” dissi io. Ma quella notte non ricevemmo alcuna comunicazione. Io ebbi difficoltà a dormire e Piero non russò. Due notti dopo, un forte vento che soffiava ininterrottamente, spalancò la finestra. Alcuni libri, sotto la forza della folata d’aria , caddero su altri, esibendosi in un indiscusso effetto domino. Molti finirono sul pavimento. Le tende della finestra sembravano delle fiamme bianche a incendiare d’aria i libri. “Che sta succedendo?” Piero sbuffò dall’altro lato del muro. Fu allora che vedemmo un grosso libro che si muoveva lentamente come una lumaca. “Cosa dobbiamo fare con il muro?” mi affrettai a domandare. “Via col Vento” lessi il titolo del libro-lumaca. Con entusiasmo, i libri si lasciarono prendere dal vento. Le loro pagine si aprirono in un gioioso fruscio di carta. Molti libri si tuffarono in grande euforia, come se il pavimento fosse una piscina. E il vento continuava con i suoi soffi e sibili, finché Piero, sconvolto, chiuse la finestra: “Basta. Avete vinto!” Senza contare i volumi della Treccani, del muro erano rimasti solo due libri. Piero si mise davanti a uno di essi: “Sei rimasto qua… Chi sei?” “L’amico ritrovato.” “Ho una cosa da domandarti, amico.” Parlò a voce così bassa che io rimasi all’oscuro della domanda. Proprio in quel momento l’ultimo libro cadde ai piedi di Piero. Lui lo prese, guardò la copertina e disse: “D’accordo.” La Treccani era ancora tra i nostri letti. Mentre Piero portava via i suoi volumi, approfittai per riaprire la finestra. Piegata sul davanzale e guardando la notte, pronunciai due parole: “Grazie, vento.” Tornato, Piero sembrava contento. Aveva un libro con sé: “È finito, Marina, il muro non c’è più!” “Piero, quello che hai in mano è l’ultimo libro del muro?” “Sì.” “Che libro è?” “Indovina!” “Non ho la minima idea.” “Dai, ti aiuto io! Ci tocca andare … andare… “Sai bene che non posso lasciare il lavoro. Non potrò andare da nessuna parte.” “Eppure dobbiamo andare.” “Potresti dirmi dove?” Con gentilezza Piero prese la mia mano e sussurrò: “Alla ricerca del tempo perduto.”
FINE