Nel segno della falena

Arminia Dell’Oro
Nel segno della falena
Baldini+Castoldi, Milano, 2021

Quest’ultimo romanzo della scrittrice Erminia Dell’Oro è un giallo a tutto tondo. Non c’è però un detective che risolve il caso. Siamo quindi in una sorta di giallo particolare. L’assassino che doveva essere un serial killer di tante vittime alla fine non è il solo. Sono più di uno che infieriscono sulle varie vittime per motivi diversi.
La vicenda si svolge in due tempi, uno ai primi degli anni 2000, l’altro nella seconda metà del 1900, tempo che è la premessa per un delitto che avviene nel 2003. Vittima è un noto giornalista. Non si comprendono per nulla le ragioni della sua uccisione. Il narratore ci fa immergere in una Eritrea del 1970 e il nesso con l’omicidio del 2003, a Ferragosto nel caldo della Milano, non è immediato. Il finale è ricco di colpi di scena che sorprende il lettore che pensava di aver compreso la soluzione della vicenda con l’individuazione del colpevole e poi scopre di aver sbagliato tutto.
L’altro aspetto importante che emerge dalla lettura del romanzo è dato ancora dall’impronta postcoloniale che è costitutiva del tessuto della narrazione, non dichiarata, non esplicitata, ma comunque presente. Siamo nel 1970 ed ancora è possibile che italiani vadano in Eritrea e sfruttino sessualmente giovani ragazze del posto, ingravidandole e poi lasciandole sole col peso di un figlio. È pur vero che ci sono anche esempi di persone che invece vanno in questi territori per dare una mano, come ad esempio un musicologo che si adopera perché la musica diventi strumento di socializzazione e riscatto. Sono espressione del contrasto e della contraddizione sociale presente in ogni tempo.

E questi sono gli elementi più importanti di questo atipico giallo. Ma forse c’è un altro aspetto molto nascosto, che percorre qua e là il testo dando quel tocco di poesia che solo un grande scrittore è capace di conferire.
Mi riferisco alla solitudine, e a cosa produce nell’animo, presente quasi in ogni personaggio. Ecco un passo significativo: “Un sollievo, quell’invito. Sua moglie è ancora all’isola d’Elba dalla sorella, il figlio, fisico nucleare, si è stabilito a Parigi e sua figlia insegna lettere in un liceo di Trento. La solitudine in questo periodo gli pesa. Una volta la cercava. Si parlerà di politica, del lavoro, dei pochi film visti o non visti, dei libri letti o da leggere. Mai di sé, delle proprie solitudini, delle tante sensazioni che si vorrebbero esprimere, le paure, i dubbi, le ombre. Si tace.”
La solitudine la si cerca e non la si trova quando si è distratti da tante occupazioni o da tante relazioni. Ma poi ci si accorge che essa è sempre dentro di noi e ci è appesa come un altro elemento fisico della nostra personalità. A volte cerchiamo di soffocarla, sommergerla con qualche bevuta o pasto conviviale con amici, ma che pranzo rimane e nulla di conviviale avviene perché di tutto si parla, ma non delle paure, dei dubbi, delle ombre.
Anche di un altro personaggio si descrive questo senso di solitudine pur nel bel mezzo di un mercato, quindi quando intorno è presente molta gente. Mentre si inoltra nelle vie del mercato, avverte un senso di euforia, e nello stesso tempo di solitudine, come se si stesse staccando, piano piano, da un mondo familiare, da una se stessa lasciata su un lontano pianeta.

Si potrebbe andare ad analizzare ogni personaggio di questo romanzo e in tutti è presente questo senso o aspetto della solitudine, del sentirsi in fondo fuori dal contesto sociale e proprio per questo non risolvere le proprie situazioni, le proprie debolezze. Nessun uomo è un’isola disse John Donne, ma in fondo ogni uomo è un’isola incapace di costruire relazioni profonde con i propri amici, famigliari e necessitato a poggiare solo su se stesso.

raffaele taddeo gennaio 2022