julio monteiro martins
Vivere in esilio.
Amaro accostamento,
quasi un ossimoro.
Un tutto
cancellato,
e poi sostituito
da un altro tutto:
inaudita operazione esistenziale.
I miei figli
parlano lingue diverse
e anchio,
tra sonno e veglia,
ascolto idiomi distinti
dentro la mia testa.
Il lutto innervosito
dal profumo
del caffè appena macinato.
del mandarino,
della cannella,
di panni appena stirati,
dellerba appena tagliata
che soffia in primavera
attraverso la finestra aperta.
Esilio,
vino versato
sul vassoio dargento
mentre le tazze
restano vuote.
Esilio,
gabbia senza sbarre
protetta dalla distanza
invalicabile
delle nostre angosce.
Esilio,
falena lanciata in mare
dallo scirocco
insieme alla sabbia
del deserto.
Ci sarebbe un me stesso
ad aspettarmi
nella terra di partenza.
Inutile attesa,
disguido.
Se cincontrassimo oggi
non potremmo
riconoscerci.
Una vita è marmo di Carrara,
laltra è sabbia.
Un uomo si pietrifica
mentre laltro si sfalda.
Esilio,
visioni di donne
strabilianti
imbrattate
da notizie di donne
morenti.
Esilio,
squallido ballo
senza musica,
corpi a dimenarsi
tra spasmi di ricordi
a scandire un ritmo vitale,
ma sbagliato.
Adagio senza Allegro.
Requiem per viventi.
Vivo lesilio
come funebre kermesse,
preparandomi goffamente
per larcana,
classica tragedia:
morire in esilio.
Esalare lultimo respiro
in lontananza,
eternamente assente
dalla grazia di casa mia.
