Quel bilinguismo di certi scrittori
Cosa ci fa dire che uno scrittore appartiene alla letteratura di un Paese piuttosto che di un altro? Senz’altro la lingua in cui scrive. Pertanto, quegli scrittori che ormai da più di due decenni si cimentano nell’espressione letteraria italofona, avendo alle spalle una storia di migrazione, diretta o indiretta nei casi delle seconde generazioni, hanno dato e daranno a tutti gli effetti il proprio contributo alla letteratura italiana. Si tratta di quel filone letterario che ormai per convenzione va sotto il nome di letteratura di migrazione. Al di là del dibattito su chi abbia diritto o meno di far parte degli scrittori migranti, se le seconde generazioni ne facciano parte pur non avendo vissuto l’esperienza migratoria, se provenire da un Paese sviluppato del centro Europa e non essere scappato da una guerra dia diritto all’espressione della sofferenza del distacco, della dicotomia della doppia appartenenza, e, aggiungerei, se allo scrittore italiano residente all’estero sia riconosciuto il diritto alla biculturalità e al lavoro di recupero della propria lingua madre perduta nei meandri dell’interculturalità e dell’interferenza linguistica; al di là di tali riflessioni, ci si chiede cosa abbiano questi scrittori di diverso dai nativi italiani e italofoni tanto da sentire il bisogno di inserirli in una categoria distinta. Una risposta risiede nel loro bilinguismo.
Per bilinguismo individuale si intende la condizione di vivere con due o più lingue. Il bilingue comunemente inteso tale che conosce perfettamente due lingue è in realtà un caso piuttosto raro, mentre comunissimo, molto più di quanto si pensi, è il bilingue che vive, con vari gradi di conoscenza linguistica, con più di una lingua. Quindi chi si trasferisce in un Paese diverso dal proprio di origine apprende una lingua nuova attraversando vari stadi di interlingua, ben descritti in un saggio dalla psicologa e scrittrice italografa brasiliana Christiana de Caldas Brito (Il percorso linguistico dei migranti, in A. Gnisci -a cura di- Allattati dalla lupa, Sinnos 2005). Va considerato anche che il bilingue in genere ha una conoscenza incompleta di ciascuna sua lingua, in base alle esperienze vissute che gli hanno permesso di imparare un determinato lessico (cfr. il principio di complementarietà di François Grosjean). Aggiungiamo che, sempre secondo lo psicolinguista François Grosjean, il bilingue non è mai in grado di reprimere una delle due lingue quando si esprime nell’altra, le due lingue restano infatti sempre attive a gradi diversi dando così origine alle cosiddette interferenze linguistiche. Un’altra strategia comunicativa tipica del bilingue, che può utilizzare anche intenzionalmente con scopi ben precisi, è quella del code switching, la commutazione di codice, grazie alla quale inserisce parole o strutture grammaticali di una lingua sull’altra, dando origine ad una lingua ibrida comprensibile solo a chi conosce entrambi gli idiomi.
Tutto ciò, a ben riflettere, caratterizza i nostri scrittori cosiddetti migranti i quali di diverso dagli autoctoni hanno proprio questa condizione di vita con più lingue, la loro lingua di nascita e quella di adozione. Anche nel caso delle seconde generazioni, degli scrittori provenienti da paesi con stabilità politica ed economica e di italiani residenti all’estero tutto ciò risulta valido, tanto più se si tiene conto di un ulteriore aspetto che sovente caratterizza i bilingui, ovvero il biculturalismo, l’appartenenza a due o più culture, aderendo a codici sociali e comportamentali di culture diverse. Non è raro che il bilingue riferisca di sentirsi diverso e di tenere un comportamento diverso a seconda della lingua che sta usando. Gli scrittori migranti si muovono su tutti i binari descritti, avendo a disposizione un’ampia gamma di strumenti espressivi da cui attingere.
Ben venga dunque la rivendicazione di certi autori del diritto a far parte integrante a tutti gli effetti del panorama letterario italiano, aspetto su cui ormai non sembra esserci alcun dubbio, senza dimenticare tuttavia quelle caratteristiche che li rendono unici e per questo insostituibili, facendoli rientrare nella categoria di scrittori biculturali, definizione che li affrancherebbe da qualsivoglia connotazione sociale eventualmente anche vagamente sminuente. La doppia appartenenza, e tutto ciò che ne consegue, a partire dalle esperienze che conducono a vivere tale condizione, emerge, più o meno manifesta, anche laddove i temi toccati dagli autori non siano necessariamente connessi ad esperienze diasporiche. Il biculturalismo è una condizione di esistenza dalla quale non è possibile né auspicabile affrancarsi.