Jadelin Mabiala Gangbo
Due volte
Edizioni e/o Roma 2009
valerio maggio
Gli occhi dei bambini contengono sguardi innocenti perfetti per raccontare il mondo con apparente semplicità e con lucida forza. Già Italo Calvino ne Il sentiero dei nidi di ragno aveva scelto come protagonista un bambino – Pim – i cui occhi potessero davvero attingere al mondo in modo incantato, sperimentando le storture della vita per la prima volta. Anche Jadelin Mabiala Gangbo sceglie di adottare questa strategia narrativa nel suo ultimo romanzo, Due volte. È un testo strutturalmente diverso dal precedente Rometta e Giulieo; in questo suo ultimo romanzo l’autore affronta grandi temi come l’identità, il senso di appartenenza, l’anima doppia di ogni cosa, la violenza della vita e il profondo amore fondendo intimamente elementi autobiografici alla storia dei due protagonisti, Daniel e David.
Attraverso la voce narrante di Daniel si viene introdotti all’interno dell’istituto di suore dove i due gemelli originari del Benin si trovano a vivere una volta abbandonati dal padre. L’istituto di suore e la scuola elementare costituiscono lo sfondo per questo appassionato e tagliente romanzo di formazione. Uno sfondo che altro non è che vero e proprio microcosmo all’interno del quale i mali e le difficoltà del mondo esterno filtrano e vengono riprodotti e incarnati da figure emblematiche quali Pasquale, Agata, l’Obiettore, Cristian e Lele. I gemelli esperiscono la vita nei suoi nettari più vari e profondi e la narrazione attinge direttamente al passato personale dell’autore. Come Gangbo stesso mi ha raccontato, la figura di Daniel rappresenta un vero e proprio alter-ego dell’autore. Attraverso questo romanzo e attraverso la voce di Daniel, Gangbo sottolinea fortemente quella che è stata per lui la difficoltà di sentirsi estraneo all’interno di un paese per cui la nerezza è una novità significativa, di essere solo – rappresentante di una “seconda generazione” non ancora formatasi – e dover difendere e costruire giorno dopo giorno la propria identità. Come afferma l’autore stesso: “L’Italia di quegli anni era un mondo confuso. Le mie difficoltà come puoi immaginare erano quelle di un bambino che sentiva di essere diverso dalla norma vuoi perché vivevo in istituto, perché venivo da un’altra terra, e perché ero sempre uno dei primi neri per molta gente e non mancavano gli episodi in cui venino additato Guarda, un negro! Dalla prospettiva di un bambino tutto questo mette nella posizione di sentirsi, e accettare di vivere, ai margini”.
Daniel e David sono alla costante ricerca e costruzione della propria identità, del “cuore nero” di cui parlava loro il padre. L’acquisizione identitaria, il sentirsi appartenenti a qualcosa, assume un valore enorme per due bambini che dell’Africa e del padre hanno un’immagine lontana, annebbiata e distante. Vi è un conflitto costante, un catulliano odi et amo tra culture, luoghi presenti e lontani nel tempo. I due gemelli rincorrono e affermano – più a se stessi che agli altri – le proprie origini africane e la propria cultura rastafariana (portano i dreadlock, fumano marijuana e cercano il proprio “cuore nero”). Al tempo stesso si trovano a vivere in un luogo, l’Italia e l’istituto, che è diventano, per forza di cose, la loro nuova casa. La cultura africana originaria e la nuova cultura coesistono, si fondono e confliggono. L’autore rende in modo limpido quello che è un elemento chiave all’interno di molte opere di autori etichettati – ahimè – di “seconda generazione”: il sentirsi scissi, l’essere alla ricerca delle proprio posto, della propria casa (in senso lato).
Al tema identitario si affianca prepotentemente un altro tema che già dal titolo stesso dell’opera si impone all’attenzione del lettore (anche del più distratto): il senso del doppio, del dualismo. Anche questo tema fortemente legato all’esperienza personale dell’autore. L’avere un fratello gemello ha giocato un ruolo fondamentale pe la realizzazione dell’opera e, infatti, come l’autore stesso mi ha raccontato: “in quanto gemello trovo inquietante e assurda l’idea dei gemelli in sè, il fatto che esistono due persone che sembrano identiche. Poi mi interessa tutto il discorso della dicotomia, del riflesso, del fatto ironico che ogni cosa esprime sempre anche il suo opposto. Due anche perché credo che ti viene sempre data una seconda possibilità o meglio ogni problema viene con una soluzione”.
L’autore gioca con le parole, con la lingua, con la realtà e l’immaginazione e intesse una trama fitta di rimandi nella quale tutto contiene all’interno il suo opposto. C’è una narrazione nella e della realtà e improvvisi sprazzi di magia e fantasia che ben rendono il mondo dell’infanzia. La lingua stessa si fa doppia accogliendo accanto all’italiano “dell’uso medio” anche il dialetto napoletano. Il doppio quindi è parte strutturante e, si può ben dire, ontologica dell’opera. Ed è in questo elemento che si realizza l’intera Weltanschauung dell’autore e il profondo messaggio che con Due volte vuole lanciare. Un messaggio che Gangbo affida, in una parte chiave dell’opera, alla voce di Pasquale. Non a caso. Non a caso proprio perché Pasquale è un personaggio realmente esistito che ha giocato un ruolo fondamentale per l’autore negli anni in cui ha vissuto, come Daniel e David, all’interno di un istituto di suore della Bologna di qualche decennio fa.
10 – 01 – 2015