Carmine Abate
Il cercatore di luce
Mondadori, Milano, 2021
Nell’ottobre dell’anno scorso è stata pubblicata l’ultima fatica dello scrittore Carmine Abate. Il rischio nella stesura di questo romanzo era quello che finisse per diventare una descrizione biografica di Giovanni Segantini. Ad evitare questo pericolo lo scrittore di origine calabra ha aggiunto due elementi: un’anziana donna, Moma, di origine calabra e un suo nipote. La prima ha sposato un certo Carlo che da piccolo ha frequentato la casa dei Segantini al Maloja, il secondo è affascinato di una pittura regalata da Segantini a suo nonno e conservata in una casa di montagna a sottratta dagli sguardi indiscreti.
Emerge una struttura narrativa originalissima e molto avvincente perché da una parte si dà origine ad una sorta di saga familiare, da Mauro Adami a Carlo , nipote di Moma, dall’altra si instaura un parallelismo fra la vita di Carlo nipote ragazzo adolescente e Giovanni Segantini, prima ragazzo, poi adolescente con cui Carlo si confronta per stabilire un suo ideale di vita. In tal modo non si racconta solo la difficile vita di Giovanni Segantini, prima di arrivare al successo, ma il pittore diviene esemplare agli occhi di un ragazzo. Le vicende biografiche del pittore sono così descritte dagli occhi di un bambino e di adolescente poi sfuggendo ad una mera elencazione di date e avvenimenti. La vita di Segantini diventa mitica e magica come può avvenire negli occhi di un bambino che vede ogni cosa sotto l’aspetto magico e mitico.
La modalità mitica, che è una delle cifre più significative della poetica di Carmine Abate, viene qui riproposta per cui Segantini diventa un personaggio al di là del tempo, collocato in uno spazio che più aereo, celestiale non c’è. Anche il suo modo di essere, specie nell’ambiente del Maloja, è sempre sfuggente, contornato da un’atmosfera di solitudine, superiorità. Abate è maestro nel costruire personaggi mitici e con Giovanni Segantini c’è riuscito appieno.
Ma c’è un altro personaggio che ripropone la seconda cifra poetica ed è Moma. La location del romanzo è in gran parte collocato in Italia settentrionale, da Arco a Milano al Maloja. Eppure, in questo contesto Moma mantiene il suo rapporto con la sua ascendenza calabra e non può farlo se non con il fatto linguistico. La nonna di Carlo, nonostante la sua lontananza, da tempo dal suo paese natio, non perde occasione per proferire termini e a volte brevi frasi in vernacolo. E’ il modo attraverso cui Carmine Abate dà colore alla sua narrazione.
Ma vorrei esprimere un’altra considerazione riguardo proprio questo personaggio femminile. Sembra l’incarnazione della transculturalità, di cui tanto si parla a proposito scrittori di origine straniera per il loro possesso di duplice codice linguistico o anche di un assoluto plurilinguismo. In effetti queste note di espressione di prima lingua del personaggio Moma tendono a far presente che in lei è presente un modo di essere, di pensare, di comportarsi che è riferibile alla sua comunità d’origine, ma contemporaneamente è totalmente inserita nella cultura “nordica”. Non sono poche le volte che Moma mostra saggezza e avvedutezza e totale accettazione dei modi culturali dell’ambiente totalmente diverso da quello di nascita. Quado Luisa, sorella di Carlo, all’atto del suo esame di laurea annuncia che andrà ad abitare con il suo ragazzo Amedeo, la reazione dell’anziana donna è di questo tenore: “Se vi volete bene, / abitare insieme vi conviene. / I miei auguri di cuore, / per una vita d’amore!”. Il commento del narratore era stato il seguente: “E la Moma, la più vecchia di tutti e in teoria la più tradizionalista, a sorpresa li benedisse brindando con un calice di vino rosso”.
Questo a dimostrazione che la interculturalità non è appannaggio di una categoria o altra, ma è un atteggiamento culturale; basta forse avere una propensione di apertura intenzionale.
Il romanzo risulta quindi di ottima fattura e vale la pena di essere letto.
raffaele taddeo gennaio 2022