Stanza degli ospiti

Dante e io

Io sono nata in riva al mare. Di fronte a questo mare, sulla banchina del porto c’era una casa bassa con le persiane verdi. In quella casa c’era mia nonna, c’era mia madre, c’era mia sorella. C’ero io. Anche mio padre stava sul mare, ma chissà su quale mare, su quali mari. Mio padre era marinaio – per me è sempre stato marinaio – non importa se capitano o qualcos’altro. Sul mare … giorni, mesi, anni.
Casa di donne la mia. E le donne si sa, sono maghe, streghe, incantatrici. Mia nonna e mia madre lo erano. Ci incantavano, me e mia sorella, con i loro racconti.
D’inverno la notte arrivava presto, si mangiava presto e poi ci sedevamo nella grande cucina con i fornelli ancora a carbone, intorno a un braciere a guardare le faville che salivano scoppiettando, e ascoltavamo mamma e nonna raccontare. Che cosa?  Oh, le favole sarde che parlavano delle janas, le fate, o di Treighinu e la coperta di campanelli, le storie dei film o degli spettacoli teatrali che mamma vedeva quando raggiungeva mio padre in qualche porto del continente quando la sua nave faceva scalo – Via col Vento, Cime tempestose, Le bianche scogliere di Dover/ Giulietta e Romeo, Otello, La partita a Scacchi…- , le storie della Bibbia – Davide e Golia, il re Salomone, la regina Esther, Sodoma e Gomorra (questa un po’ purgata) la manna che cadeva nel deserto…
Ma il racconto che più ci avvinceva parlava di un uomo che scendeva negli inferi e attraversando il Limbo e il Purgatorio saliva infine al Paradiso … C’erano tante storie tanti personaggi, c’erano i buoni e i cattivi, c’erano le punizioni ma c’erano anche i premi. Una Commedia straordinaria; qualcuno poi l’avrebbe chiamata Divina.
A casa c’era un grosso libro con la copertina rossa e tanti disegni – incisioni, mi hanno poi detto che si chiamavano – e per rendere più intenso il racconto mamma ci mostrava le figure e su queste immagini costruiva la storia ora in prosa, ora ripetendo i versi del poeta.
Qualche anno fa, dopo il mio arrivo in Argentina, alla “Dante Alighieri” di Mendoza, guardando gli scaffali della biblioteca, mi ha colpito l’attenzione un grande libro con la copertina rossa, le incisioni, i versi immortali. Lo stesso libro della mia casa sul mare. “Que cosas hermanos que tiene la vida”… Allora non c’era niente da fare: dovevo assolutamente raccontare il mio amore per Dante.
E già perché proprio di amore si trattava: stessa ansia di risentire la sua voce, stesse palpitazioni, stessi sogni … come quando si è innamorati.
Un amore che è durato qualche anno. Poi, è arrivata la televisione. Che c’entra, direte. Eh, altri stimoli, altre seduzioni. Mi sono innamorata di nuovo. Di Topo Gigio. Non sarà stata la stessa cosa ma io mi squagliavo quando Gigio diceva: “Ma cosa mi dici mai … strapazzami di coccole”. Dite che Dante e Gigio non hanno niente in comune. Davvero? Ma li avete mai guardati di profilo?
Anche l’amore per Gigio era destinato a finire … e siccome gli amori sono spesso ciclici … mi rinnamorai di Dante. Questa volta il sommo poeta aveva le sembianze di un attore straordinario, Giorgio Albertazzi, con delle labbra meravigliose a volo di gabbiano, e soprattutto quella lenta ironica dolce parlata toscana. Sì era Dante, era proprio lui.
Questo mio rinnovato amore doveva però entrare nuovamente in crisi. L’assassina fu la mia professoressa di Lettere del primo anno di liceo. Dopo una lettura frettolosa e infelice di alcuni versi, spiegò così: “Dante è una carota” e non aggiunse altro, non aggiunse altro per mesi. Finalmente un giorno la sentii rivelare che per lei la carota rappresentava il massimo della perfezione … per cui non c’era niente da aggiungere. Perfezione, mi chiedevo, o perversione. Mah. Per fortuna ho cambiato scuola.
Da allora il mio amore non è più finito. Ha dovuto ogni tanto farsi un po’ da parte per lasciare spazio ad amori più reali, più tangibili, ma sostanzialmente non è mai finito.
Lo so che l’amore non si spiega (e poi chi l’ha detto), ma io devo proprio dirvelo perché Dante mi prende così tanto.
Io sono nata sul mare, sono nata su un’isola. E quando si nasce su un’isola, dall’altra parte, oltre il mare, c’è sempre qualcosa da conoscere, da scoprire. Noi isolani siamo curiosi, cerchiamo sempre nuovi orizzonti, li spostiamo continuamente. Siamo dei viaggiatori perfetti.
Dante era un viaggiatore perfetto, e non parlo dell’obbligo, dell’esilio. Dante sapeva che il viaggio più arduo è il viaggio nella conoscenza, è il viaggio dentro se stessi. Grande!
Il filo d’Arianna di Dante è l’amore. È Amore che lo accompagna in tutto il suo cammino. Amore che gli fa seguire “virtute e conoscenza”. Amore che innalza dalla materia ma che non priva della materia: è col suo corpo umano fragile, sensibile, soggetto alle umane passioni, che Dante intraprende il suo cammino. Amore che nell’umano accoglie e interpreta il divino e che, come umano, viene accolto dal divino. Non so se questa mia interpretazione sia filologicamente corretta, ma poco mi importa. La poesia deve servire alla vita, e non – non solo – a riempire gli scaffali di polverose biblioteche. L’eternità della grande letteratura non è solo per un astratto “per sempre” ma per il qui e l’oggi, in qualunque luogo o in qualunque momento accadano.
L’amore di Dante non è un amore che indebolisce, spegne gli ardori, annebbia le coscienze, le rende cieche al presente, alle ingiustizie. Dante si indigna, urla contro i corrotti e i vili, denuncia i mali del suo tempo. Ho amato Dante anche nel ’68 quando ho imparato anch’io, assieme a tanti giovani di quegli anni, a gridare contro l’ingiustizia, a scendere nell’inferno, per toccare per capire la colpa, per ribellarmi.
Dante mi ha insegnato che senza il coraggio di scendere agli inferi e di specchiarsi nelle colpe degli altri, senza il coraggio di rischiare, di mettere in gioco le proprie certezze,  non si può accedere al Paradiso.
Viaggiare è anche lasciare dietro queste certezze, accettare il confronto, reinventarsi, rimettersi in gioco.
Io amo viaggiare. Viaggiare – Amare. Due verbi che stanno bene insieme.
Dante amava una donna, Beatrice. Donna che perde materialità – ma mai del tutto – che diventa simbolo.
Dante ama altre donne – le donne dello schermo – per nascondere il suo amore “sconveniente” per Beatrice. Ma non di sola poesia vive l’uomo, e si suppone che anche Dante avesse sani desideri carnali. A Beatrice e alle donne dello schermo Dante dedica rime, interi libri.
Neanche un verso per Gemma Donati, sua moglie. Non un cenno nella sua commedia. È vero che lei non lo seguì nell’esilio, ma – poverina – immaginatela mentre rassetta la casa, cucina, ricama, si occupa dei suoi figli, pulisce i vestiti di Dante – e che fatica togliere tutte quelle macchie d’inchiostro -, raccoglie da terra pezzi di carta con versi inconclusi che suo marito buttava insoddisfatto …. E neanche un rigo, una parola su di lei. Ti credo che non l’ha seguito, sai quanta rabbia aveva in corpo! Lei era cuoca, domestica, procreatrice della sua discendenza … ma musa ispiratrice, no. Nulla.
Insomma Dante non era perfetto. Del resto come si fa ad amare la perfezione, l’immutabilità.
Dante però fa per le donne – tranne che per sua moglie – quello che i letterati, i filosofi, i pensatori del suo tempo non fanno.
Che cosa fa?
Dante parla della donna amata, parla delle donne, parla alle donne.
Siamo nel Medioevo  e in quell’epoca la visione della donna era legata alla concezione religiosa cattolico-cristiana secondo la quale, come dice la Bibbia, “Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza”. La donna in fondo era nata soltanto dalla costola di Adamo e quindi doveva essere “naturalmente” meno perfetta e meno importante di lui!
Era quindi naturale che l’uomo possedesse e esercitasse la sua autorità assoluta  sulla moglie, la figlia, la sorella ed anche la madre. La fragilità e debolezza della donna “necessitavano” di sorveglianza e di protezione, prima da parte del padre e dei fratelli e poi del marito e della sua famiglia. Matrimonio e convento erano quindi le uniche possibilità offerte alle donne. Però anche il matrimonio o il convento non erano scelti dalle donne ma quasi esclusivamente imposti dall’autorità patriarcale.
Le donne, inoltre, secondo i pensatori del tempo, non erano dotate di intelletto, non erano in grado di riflettere, di pensare, di decidere, di agire. Bisognava quindi controllarle, affinché dominassero i propri istinti, in modo da contenere il danno che potevano causare agli uomini e alla società.
Nel migliore dei casi le donne erano considerate oggetti d’amore, eliminando la componente terrena e esaltandone le qualità angeliche come nel migliore dei casi fanno i poeti stilnovisti, o considerandole oggetti di culto attraverso la figura della Madonna o delle sante. Come si diceva una volta “Sante o Puttane”.
Le donne di Dante, invece, sono donne reali: operano, parlano e possiedono la capacità di agire moralmente. Dante scrive per comunicare con le donne, le riconosce come soggetti agenti; non solo come oggetti da desiderare ma come soggetti che desiderano. Le donne sono una minaccia e si arriva persino a negare che siano dotate di un intelletto? Dante, invece, considera le donne non solo dotate di intelletto, ma persino di “intelletto d’amore”, unione perfetta di ragione e sentimento, capacità sublime di ragionare col cuore e di sentire con la ragione. E con Beatrice e Maria, Dante attribuirà  alle donne un valore ancora più alto, quello di guidare l’uomo nel cammino della salvezza e di condurli a Dio.
Attraverso le donne di cui ci racconta, Dante ci conduce a una riflessione sul tema dell’amore, dalla passione carnale alla più alta concezione religiosa.
Le donne di cui parla Dante sono donne reali le cui storie, tratte dalle cronache, sarebbero altrimenti state consegnate per sempre all’oblio. Alla cronaca, alla cronaca nera,  dell’epoca appartengono le vicende di Francesca da Rimini, di Pia de’ Tolomei, di Piccarda Donati.
La caratteristica che accomuna i tre grandi personaggi che incontrerà nell’Inferno, nel Purgatorio, nel Paradiso, è l’Amore, amore per qualcuno o per qualcosa, e la loro fragilità, non in quanto donne, ma in quanto vittime della violenza maschile.
Francesca da Rimini, Pia de’ Tolomei, Piccarda Donati, indipendente dal regno in cui Dante le incontra, vengono rappresentate con tutte quelle doti di gentilezza, di dolcezza e di calore umano, d’intensità di affetti, comunemente attribuite alle donne.
Il poeta rivela una profonda empatia per le loro sorti, al di là di ogni giudizio morale che pur lo obbliga a collocarle all’Inferno, in Purgatorio o in Paradiso. E mentre ci vince la pietas per queste donne sventurate, più forte diventa la condanna per i loro carnefici.

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 Da “Donne che avete intelletto d’amore (le donne di Dante)” – “Mujeres que tenéis entendimiento de amor (las mujeres de Dante)  – di Anna Fresu,  Società Dante Alighieri, 2009 e Teatro Quintanilla, 2012, Mendoza – Argentina

L'autore

Anna Fresu

Anna Fresu è regista, autrice, attrice di teatro, traduttrice e studiosa di letterature africane. È stata presidente dell’ associazione “Scritti d’Africa”, che si occupa di divulgare le letterature africane attraverso recensioni, eventi, seminari, conferenze, siti web e spettacoli teatrali; e de “Il Cerchio dell’Incontro”, che cura laboratori di educazione alla pace e allo sviluppo e produce e mette in scena spettacoli teatrali.
È nata a la Maddalena, in Sardegna. Nel ’64 si è trasferita a Roma dove si è diplomata al Liceo Linguistico e laureata in Lettere e Filosofia.
Ha vissuto undici anni in Mozambico dove ha insegnato e diretto la Scuola Nazionale di Teatro, realizzando molti spettacoli e lavorando nei quartieri, nelle scuole, in ospedali psichiatrici, in villaggi. Ha creato e diretto col regista e giornalista Mendes de Oliveira il “Dipartimento di Cinema per l’Infanzia e la Gioventù”. I suoi film hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. In Mozambico ha pubblicato il libro “Pesquisas para um teatro popular em Moçambique”, ed. Tempo, Maputo 1981 e il libro “Jogos e brincadeiras” Ed. Académica 1982.
Nel 1991 ha ricevuto il premio del Festival del Cinema per la Pace, la Solidarietà e lo Sviluppo per il lavoro da lei svolto in Mozambico. Nel 1992 ha curato con Joyce Lussu l’antologia del poeta mozambicano José Craveirinha Voglio essere Tamburo, pubblicato dal Centro Internazionale della Grafica di Venezia. Alcuni suoi racconti sono pubblicati su Lingua Madre 2007, Lingua Madre 2008 e Lingua Madre 2009 a cura di Daniela Finocchi, Centro Studi e Documentazione del Pensiero Femminile, ed. SB27, Torino; è presente con una sua poesia nell’antologia Dal Manoscritto al libro, Giulio Perrone editore, Roma 2008. Suoi articoli e saggi sono apparsi su diverse testate giornalistiche italiane. Nel 2013 ha pubblicato il libro di racconti Sguardi altrove, Ed. Vertigo.
Dal 2009 vive a Mendoza, in Argentina dove ha lavorato come docente di Italiano presso la “Società Dante Alighieri”, ha collaborato con conferenze e spettacoli ai programmi culturali del Consolato d’Italia e dove prosegue la sua attività teatrale e culturale. E’ attualmente docente di Lingua Italiana all’Università di Mendoza.