È un bar di paese questo. Un circolo anche.
Io non ho il permesso di parlare. Posso portare bicchieri di vino e ascoltare.
Adesso voglio raccontarvi una storia. Dice il vecchio maestro elementare.
Subito gli altri mettono il tavolo grande in mezzo.
Bravi! Perché fa la sua differenza stare seduti intorno a qualcosa. Dice. Poi, è la storia di un tavolo da giardino. Non c’è altro.
A me piacciono le sue storie. Porto le bevute. Vino rosso in genere. Aiuto mio zio e sto zitto. Questo è l’accordo.
Allora… vediamo… c’erano un padre, una madre e due figli. Un bambino sugli otto anni e una femminuccia sui quattro. Era un sabato mattina e puliti e pettinati andarono al grande magazzino fuori città “Tutto per casa e giardino”.
Come quello alla Piaggetta? Chiede Ezio da in fondo alla sala. Aveva i capelli rossi quando ero piccolo.
Proprio come quello. Mentre i bambini provavano gli scivoli e spaventavano i pesci nell’acquario, i genitori scelsero un bel tavolo di teck di quelli indistruttibili, parola del venditore. Era giusto per la loro veranda. Continua il maestro.
Chissà che c’è da raccontare su un tavolo. Dice Ezio.
Non è che devi ascoltare per forza, non siamo a scuola, potrebbe essere una storia noiosa. Puoi sempre andare via… Riccà, fai portare un giro di rosso. Pago io. Dice il maestro.
Riccà è mio zio e faccio quello che mi dice. Mi piace quando c’è un giro gratis. Mi danno sempre qualche pacca sulle spalle. Come pagassi io. Fa quest’idea.
Dunque, al magazzino lasciarono come si fa sempre i dati e l’indirizzo e verso sera il tavolo era sotto la veranda sbucciato dalla plastica di protezione, spolverato e sistemate le sedie sotto. Proprio un gran lavoro. I genitori chiamarono i vicini e apparecchiarono un bell’aperitivo moderno, con Spritz, Mojito, Negroni. C’erano anche le tartine. E i succhi di frutta per i bambini. Lo fecero per inaugurare il tavolo. Il giorno dopo, con calma, la madre pulì i mattoni della veranda con l’acido, poi ne ravvivò il colore con l’olio di lino… avete visto come tutto diventa più sporco quando gli si mette accanto qualcosa di nuovo?
Ci fu un borbottare e io avrei detto la mia se avessi potuto, perché su questa faccenda delle cose nuove vicine a quelle vecchie ho un mio pensiero. Perché anche io l’ho visto, quando in casa mia hanno cambiato la cucina a gas era brutta lì per lì, ma poi, dopo qualche giorno, è diventata ammodo. Come si fosse imparentata col vecchio, come se, gli oggetti stando accanto, sfumassero l’uno dentro l’altro e il nuovo avesse bisogno di tempo per ambientarsi, prima di sfumare. Non sono bravo a spiegarmi. E poi, questo discorso li farebbe ridere. È un bene che non abbia il permesso di intromettermi. Si è alzato il vento. Lo sento. Il maestro continua la storia.
La madre levò anche le ragnatele senza distruggere i nidi. Continuò il maestro.
E che ragnatele levi se non distruggi i nidi? Questa è bella!
Ridono un po’ tutti ma io no.
La domanda è, Ezio: che noia ti danno i ragni fuori in veranda? Possiamo andare avanti?
Il coro dice sì, Ezio fa solo un cenno col mento.
Dunque… la madre sistemò le conche con i fiori, mise leggere tende bianche come aveva visto su un giornale di ville. Il tavolo era lucido, si poteva aprire in mezzo e raddoppiare. Durante l’estate ci fecero su molti pranzi e cene. E poi venne l’autunno, l’inverno, la primavera e tornò l’estate. Così come fa sempre. Per tanti anni tutto rimase uguale… avete mai notato che ci sono periodi nella vita che ci fanno credere che tutto resterà com’è per sempre?
Borbottarono.
Io avrei potuto sciacquare bicchieri gratis tutta la notte pur di ascoltare il maestro.
Arrivi da qualche parte con questa storia o no? Dice il fabbro, che ha il bicchiere vuoto.
Sono quasi arrivato. Negli anni i bambini diventarono ragazzi e poi, come tutti, adulti e presero ognuno la propria strada. La madre e il padre erano vecchi e allungavano il tavolo rare volte. Le tende erano state rinnovate nel tempo e i piccoli fiori stagionali avrebbero potuto riempire la tenuta del priore se fossero riapparsi. In quei giorni di primavera successe che, mentre aprivano il tavolo per pulirlo, si troncarono gli incastri e vennero via due tavole del piano. Il padre cercò di risistemarlo perché lo volevano tenere.
Io sparecchiavo e parteggiavo per il tavolo. Quasi mi sembrava che avrebbe provato qualcosa se lo avessero buttato via dopo tanti anni di buon lavoro. È chiaro che non la direi mai ad alta voce una cosa come questa.
I vecchi volevano tenerlo, continuò il maestro, ma i ragazzi venuti in vacanza portarono un bel tavolo nuovo. Uno grande per chi ha tanti amici.
Bravi! Così si fa, l’hanno bruciato?
No… l’hanno messo in fondo al podere, sotto il noce di confine. Sopra c’è una vecchia tenda per doccia. Tipo coperta.
Un telo di plastica… dice Ezio.
No… è una tenda da doccia, lo so perché ce l’ho messa io. Una tenda da doccia. Qualche volta vado giù con una bottiglia di vino e un bicchiere. Appoggio tutto sul tavolo poi mi verso da bere e mi siedo al calcio del noce, faccio con calma perché le ginocchia non mi funzionano. Dovrei portarmi una sedia.
E quindi? Finisce qui la storia? Un vecchio e un tavolo vecchio sotto un noce?
La storia finisce qui.
Capirai!
Ezio non sta mai zitto. Lo dicono tutti. Io gratto con l’unghia dell’indice una macchia scura su un tavolo, poi guardo fuori dalla finestra. Sulla panca sotto al tiglio c’è Cornelio il barbone. È sdraiato, ha la testa dentro una scatola di cartone, come al solito. Ha un telo di plastica sopra la coperta, lo tiene fermo con le braccia perché il vento lo alza. Così per la prima volta parlo senza autorizzazione e dico che dovrebbe venire anche lui a bere un bicchiere. Ad ascoltare storie. Lo dico ad alta voce e tutti si girano a guardarmi come fossi miracolato. Il maestro sposta la sedia dal tavolo e va fuori. Lo seguo dalla finestra, aiuta Cornelio ad alzarsi, lo prende sottobraccio e lo accompagna dentro al caldo.
Un altro giro di rosso! Dice. Paga il maestro! Dice.
Io pulisco i tavoli liberi. Mi guardo intorno. Sono tutti vecchi qua dentro.
Anche le sedie.