Stanza degli ospiti

Sassi

Scritto da Monica Dini

Quella casa era piena di sassi. Li vedevi impilati sulle mensole. Sui davanzali delle finestre. Nelle bacheche attaccate ai muri. Nella credenza al posto delle tazze.

Dovevano essere anche negli armadi.

Erano sassi di fiume.

Beppe era zuppo di sudore. Incollato al divano di finta pelle. Dalla finestra aperta il frinire delle cicale si spandeva nella stanza.

Instancabile. Sempre uguale.

Un tonfo rimbalzava sul muro.

Calibrato. Regolare.

Un moscone ronzava nell’aria.

Scollò con rumore e fastidio le gambe nude dal divano. Doveva pisciare. In bagno si guardò la lingua nello specchio la vide gonfia e blu. Era perché aveva preso questo vizio di infilarla nel buco del dente rotto. La infilava, succhiava forte e gli veniva in bocca un sapore marcio.

Anche nel bagno si potevano vedere dei sassi, sentire le cicale e il tonfo sul muro.

Era una necessità succhiarsi il dente. Ogni tre o quattro giorni, a furia di tirare, un pezzetto di carne si staccava da dentro la cavità del dente e rimaneva lì finché non cominciava a putrefarsi. Solo dopo che era un po’ frollato usciva. Beppe aspettava paziente di recuperarlo con la lingua, metterlo sull’indice, ammirarlo. Un grumo di polpa grigia che alla fine schiacciava tra le dita e annusava.

Ci studiava su questa cosa. Era diventato bravo, aveva imparato i tempi di frollatura.

Nell’afa che ondeggiava umida: un tonfo – una pausa – un tonfo – il sudore – una pausa – le cicale – un tonfo – una pausa – un moscone.

Si affacciò alla finestra. Una testolina rossa colpiva una palla arancione con braccia ossute e lentigginose. Il nuovo vicino.

«Basta con quella palla!» Gli urlò scontento.

Il bambino era come sordo.

«Ehi! Mi hai sentito? Basta con quella palla!»

«E’ Paolo che vuole giocare» rispose il bambino senza alzare lo sguardo.

«E io voglio riposare. Trovati d’accordo con il tuo amico e andate a fracassare i coglioni a qualcun altro.»

«Paolo non ha amici…»

Il bambino alzò il visetto arrugginito-smunto e lo guardò strano.

Beppe fece delle considerazioni.

«Chi è Paolo?»

Il bimbo smise di palleggiare contro il muro e cominciò a far rimbalzare la palla sul terreno.

«Paolo è questo» disse indicando se stesso con il pollice della mano libera.

Beppe si ritrasse dalla finestra, si girò, guardò il soffitto. Succhiò forte il dente. Si grattò la pancia, il sudore colava. Decise.

«Falla finita con quella palla.»

«Paolo vuole giocare» rispose quieto il bimbo senza fermarsi.

«Ma è caldo, dì a Paolo che vada da mamma al fresco.»

«Sua madre sta lavorando. Lui non può entrare in casa quando lei lavora.»

Beppe si girò di nuovo verso il soffitto. Poi tornò a guardare giù.

«Basta per favore, cercati un altro posto, non sotto la mia finestra.»

«Paolo ha fame. Non è che vuoi dargli qualcosa da mangiare?»

Mentre parlava palleggiava lento e ritmico. Senza interruzioni.

Beppe lo studiò chiudendo un occhio. Era bruttino, magro e coperto di lentiggini.

«Ma tua madre ha così tanto da fare?»

«Paolo non deve disturbare fino all’ora di cena. Fino a che l’uomo che porta la rosa non è uscito. Paolo lo riconosce. Viene sempre di mercoledì. Quando esce lui vuol dire che mamma ha finito di lavorare.»

«Se ti preparo un panino la smetti con la palla?»

Il bimbo ci pensò.

«Paolo non può smettere per tutto il giorno. Smette per un po’.»

«Ti piacciono le cipolline sotto aceto?»

«Quelle bianche sì.»

«Ti apro vieni su.»

Beppe registrò ancora un paio di palleggi, poi sentì il bambino salire le scale. Lo vide incerto davanti alla porta aperta, quando si mise a palleggiare sul pavimento lo squadrò accigliato. Lui zittì la palla sotto al braccio ed entrò. Beppe tagliò una fetta di pane gommoso e vi sistemò una decina di cipolline scolate dall’aceto poi ci mise sopra un’altra fetta e pigiò forte. Paolo guardava il pane. Catturò una cipollina che rotolava.

Con la bocca piena domandò dei sassi.

«Come mai hai tanti sassi? Dove li hai presi?»

«Li raccolgo nel fiume.»

«Nel fiume quello là, quello che sa anche Paolo?»

«E quale se no …»

Dava morsi grandi senza smettere di parlare. Era quasi bello con le guance piene e una briciola incollata su una ciglia.

«Sei un muratore? Li usi per costruire muraglie?»

Beppe sospirò.

«O magari stalle per maiali …»

«Dove sono i maiali?»

«No … era per dire … i sassi li colleziono. In ognuno ci vedo qualcosa. Un animale, un volto. Li leggo.»

Paolo aveva finito di mangiare. Mentre parlava con un dito raccoglieva le briciole cadute e se le metteva in bocca.

«In che senso li leggi?»

«Hai ancora fame? Vuoi un’altra fetta di pane?»

«Solo due cipolline se puoi, grazie tante.»

«Eccoti il barattolo, mangiane quante ne vuoi. Meno male che ti piacciono, non ho niente in casa per i ragazzi io.»

«Vivi solo?»

«Sì …»

«Nemmeno tu hai tanti amici mi sa …»

«Ti faccio vedere i sassi, ti spiego.»

«Ce l’hai ancora la mamma?»

«Morta … molto tempo fa. Guarda …»

«Quello sì che è grave … fai vedere a Paolo, è bucato, un sasso-buco…»

«E’ il primo della mia collezione, io credo che fosse il ciondolo di una donna antica.»

«Sì, hai ragione, Paolo ne vuole uno per la mamma. Sarebbe contenta.»

«Perché dici sempre Paolo invece che io. Devi dire io ne voglio uno. Io faccio questo. Si sa che ti chiami Paolo. Perché lo fai?»

«E tu perché stai sempre con la bocca storta? Perché ti succhi la lingua? Guarda che fai un po’ paura. Perché lo fai?»

Il bambino pescava cipolline nell’aceto, la palla stava immobile sotto al tavolo, un filo di vento adesso muoveva le tende, Beppe continuava a mostrare sassi: a becco di uccello, a testa di pecora, a faccia di donna. Poi andarono in camera lì ce n’erano a forma di lettere dell’alfabeto. Li misero in fila sul letto e composero parole. Poi presero quelli fatti a genitali maschili e femminili. Come faranno a non pisciarsi sui piedi le donne è un mistero disse Paolo. Infine Beppe prese da sopra l’armadio il sasso più grosso di tutti. Gli spiegò che erano due che facevano l’amore. Poi chiese:

«Vieni con me ti porto al fiume andiamo a cercare un ciondolo per tua madre?»

«Sì! Paolo è contento, mettiamo i piedi nell’acqua è vero?»

«Certo, è dentro l’acqua che si trovano i sassi più belli.»

«Ma torniamo presto? Paolo deve essere a casa quando l’uomo della rosa se ne va. La mamma potrebbe preoccuparsi se non vede Paolo.»

Beppe guardò in alto verso l’attaccatura delle tende.

«Stai tranquillo… ci saremo. Le troviamo un bel regalo e uno anche per te … dopo ti riaccompagno.»

Il bimbo andò a pescare l’ultima cipollina. Beppe lo guardò a lungo.

Le cicale cantavano ancora convinte quando uscirono di casa.

La palla era sotto al tavolo. Il moscone morto bruciato dalla lampada.

Sul letto c’era la parola amore.

Una scritta di sassi.

L'autore

Monica Dini

Monica Dini vive e lavora a Camaiore paese della campagna toscana. Ha pubblicato le raccolte di racconti: Sulle Corde a cura della Società Speleologica Italiana (2006), Leggerezze – Besa Editrice (2009), Lezzo – Tralerighe Libri (2015), Angoli Acuti – Tralerighe Libri (2017). Uno dei suoi lavori è presente nella raccolta di racconti HOTell Storie da un tanto all’ora edita da WhiteFly Press. Ha collaborato fino alla fine con la rivista on-line Sagarana diretta dal Prof. Julio Monteiro Martins, è stata più volte ospite della rivista on-line El-Ghibli diretta dal Prof. Pap Khouma, ha collaborato la rivista Prospektiva di Andrea Giannasi. Alcuni suoi racconti sono apparsi su La Macchina Sognante la cui macchinista è la scrittrice Pina Piccolo. Un suo scritto è presente nel primo numero della rivista DieciCento fondata da Carlos Bolaños e Nicola Feo (2017).

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