Testo in edito di AbdelMalek Samari: non è stato più rivisto dopo la scrittura avvenuta, compiuta nel mese di marzo 1995, praticamente 2 anni e 5 mesi dopo il suo arrivo in Italia. E’ da precisare che quando giunge in IItalia Smari non conosce per nulla l’italiano
Capitolo I
Il sole s’avvicinò sulla linea dell’orizzonte. Esso apparve a Karim e Amel, da quel posto della città, nel momento in cui la tempesta, che aveva rovesciato la terra sul cielo, cessò. Erano andati verso quel riparo quando era cominciato il temporale, e si erano fermati intanto che si calmasse la sua furia e si spegnesse il fuoco della sua ira. Il cielo si schiarì dall’Ovest, l’Occidente si trasformava in Oriente, e il buio che prima copriva la città si dissipò. La pioggia scorreva a fiumi poiché era caduta con tale vigore che non avevano mai visto prima nulla di simile nella loro vita. I canaletti riempiti e straripati stavano cercando in una maniera anarchica, delle bocche per scorrere. L’acqua aveva invaso sentieri, edifici, giardini e piazze. La gente sorgeva dappertutto e tentava di respingere quel diluvio d’acqua e di fango. Lui, era appoggiato addosso al muro; nella mano destra teneva il suo “costoso ombrello”, e tuttavia non poteva più proteggerli dalle raffiche di vento e d’acquazzone che pervenivano loro da tutte le direzioni malgrado il loro rifugio sotto il balcone di una casa. Con la sua mano sinistra, dapprima premeva le spalle della sua amica, poi la accarezzava facendola scivolare giù lentamente, come stesse meditando. Il suo sguardo vago, i suoi occhi fissavano lontano all’orizzonte che si copriva di un vestito giallo scialbo, avvisando gli abitanti della continuazione del temporale, anche se il suo vigore andava diminuendo. Il suo sguardo fissava l’orizzonte come se volesse conoscere prima quello che stava per accadere. Poi lo portava ai suoi eleganti pantaloni neri che erano bagnati d’acqua e di fango fin alle ginocchia. Non aveva altri bei vestiti che quelli che aveva messo in quel giorno. E se avesse saputo che si sarebbero adirati terra e cielo in quel giorno, egli si sarebbe accontentato di una camicia e di pantaloni di jeans. Ma lui non sapeva l’avvenire, non sapeva neppure, quando era uscito per quell’appuntamento, che ci sarebbe stata una tempesta così furiosa da rovesciare la città. Tutto quello che pensava potesse succedere era la caduta di una pioggia leggera. Ecco perché egli aveva preso il suo caro ombrello benché ne sentisse tutto il suo peso. Lei, invece, era appoggiata con la sua testa sul suo petto. Anche lei stava guardando a questo Occidente che si era trasformato per un momento, in Oriente! Poi il suo sguardo abbandonò l’orizzonte per spaziare intorno e vedere se la pioggia stesse per diminuire o meno. Non era felice nonostante la sua romantica posizione che sarebbe stata oggetto di invidia dalla gran parte delle sue amiche, se l’avessero vista così. Al contrario era tristemente dispiaciuta, e dalla profondità del suo cuore uscivano amari sospiri. Per rompere il silenzio, questo silenzio pesante, aveva proferito con maggiore amarezza una espressione che aveva preso l’abitudine di ripetere ormai da quattro appuntamenti: “questo triste, furioso giorno assomiglia molto alla mia brutta fortuna! Ah! se solamente, se almeno ci incontrassimo spesso. Guarda! Non vedi che gli elementi stessi ci hanno rifiutato, ci hanno negato di essere insieme? Anche i giorni dell’autunno si sono accorciati, così che non ci bastano più per profittare del piacere del nostro incontro!” E tacque. Mentre lui si aspettava che continuasse a parlare. Siccome non trovava niente da dire allora rimaneva nel suo silenzio. Il sole spariva, perché di nuovo l’orizzonte si copriva di pesanti nuvole e un’altra volta ritornava il buio. In ambedue le giovani anime la tristezza era più grande. Dopo una lunga ora di tepore, da cui pareva svegliarsi ricordandosi, Amel aveva chiesto con una sorta di allarme: Che ore sono? Per risponderle Karim aveva tolto la sua mano sinistra dalle sue spalle per tenere l’ombrello, e guardando nel quadrante del suo orologio aveva detto seccamente: Sono le cinque e mezzo. Quando si accorse del tempo, tutta spaventata disse con una voce tremante: Chiama un taxi! Mio padre è sul punto di tornare dall’ufficio.
-Perché tremi, hai così paura di tuo padre? Non hai detto che finisce il suo lavoro alle sei?
– Sì, ma la strada, tutto questo buio. E poi c’è mio fratello che torna alle cinque. Hai dimenticato?
– No, non dimentico mai niente di quello che ho conosciuto di te…Ah che fortuna! Ecco un taxi che viene verso di noi.
Fece un cenno all’autista che andava lentamente visto il cattivo stato della strada. Dapprima non voleva fermarsi, ma lo fece. Karim le aprì la porta. Lei salì, mentre lui stava piegando l’ombrello, poi la seguì sedendosi accanto a lei sul sedile posteriore. L’autista li guardò dallo specchio retrovisore per chiedere loro la direzione da prendere. Essi risposero all’unisono: A “Belle-vue”, vicino al gran mercato. Poi tornarono l’uno verso l’altra mentre la macchina cercava la sua strada nella nebbia di quella sera piovosa e tenebrosa. La radio della macchina diffondeva una bella musica andalusa che sovrastava il martellamento della pioggia, il suono dei tergicristalli e infine il ronzio del motore. Tutto ciò non interessava gli innamorati, che avevano preferito continuare il loro discorso d’amore, di pene e di sogni dal punto in cui l’avevano interrotto:
– Mercoledì prossimo ti troverò allo stesso luogo e alla stessa ora. Come oggi? Disse Karim.
– Si. Ma è una settimana intera! Che lunga! Non lo è? rispose Amel
– Stai sicura che nel nostro futuro immediato, troveremo molte occasioni per incontrarci, non una volta alla settimana per due o tre ore, ma per passare tutti i nostri giorni, tutta la nostra vita insieme. Allora, niente e nessuno ci separerà, né il temporale, né il buio, né tuo padre, né tuo fratello. Ma adesso, accontentiamoci di questi brevi incontri.
Parlavano a bassa voce affinché l’autista non sentisse niente. Aveva ripreso le sue lamentele, lagnandosi della sua sfortuna che finora, non gli aveva mai sorriso.
– Hai visto! Ogni volta che io esco con te, il mondo si rovescia sulla testa. Perché ciò capita sempre nei giorni dei nostri incontri? Perché?
– Chissà magari è così il colore del nostro amore.
– Ho paura! Il futuro mi impaurisce.
Era sul punto di risponderle che non avrebbe dovuto aver paura, finché le fosse stato accanto. Ma ricordandosi del suo stato, della sua condizione, si trattenne dal parlare. Avvicinandosi al quartiere dove abitava Amel, Karim portò la sua mano nella tasca e tirò fuori, come era sua abitudine, il prezzo del taxi. Ma Amel, che non voleva che pagasse lui, gli aveva dato 50 dinari per pagare, dicendogli con una aria dolce ma offesa:
– Non devi pagare ogni volta. Poi, finché sarai senza lavoro, occorre preservare le tue tasche.
L’autista li guardava di tanto in tanto, pensando forse che stavano al parossismo del godimento e dell’ebbrezza dell’amore degno di “Cais e Leila”. Ma la scena non durò molto e fu interrotta da Karim che disse:
– Ecco ci siamo, prendi. Era lui che aveva pagato il taxi, a dispetto delle proteste di Amel, e aggiungeva: La ringraziamo.
Poi scesero e andarono via.
Capitolo II
Erano le sei e un quarto circa, quando Amel arrivò a casa sua, stanca e senza forze. Aveva lavorato tutto il giorno dalle otto della mattina alle quattro del pomeriggio. Era proprio un lavoro faticoso quello che faceva. Inoltre non riusciva ad avere da Karim quello che cercava. No. Non ancora! Aveva contratto l’abitudine, prima di qualsiasi uscita con lui, di promettere a se stessa di costringerlo a prendere una chiara e seria posizione riguardo alla loro relazione. Ma, ogni volta falliva nella sua impresa. Perciò ella esplodeva sul viso della madre, quando questa veniva a rimproverarla del suo ritardo un po’ esagerato:
– Dove eri sotto questa pioggia qui?
– Dove credi che fossi? Non vedi che mi sono arricchita senza te? – Disse con un’aria di estrema collera.
Però, la madre non voleva entrare con lei in uno di questi litigi che si scatenavano fra di loro spesso dopo una dura giornata di stanchezza e di delusione. Certo, lei aveva fatto molte esperienze nella sua vita; così era diventata più tollerante nei confronti delle pene e della miseria dell’esistenza. Preferiva allora lasciar stare e non le poneva domande colpevolizzanti. Non voleva sfidarla oltremodo. La ragazza era pronta a litigare con sua mamma, ma poiché non aveva trovato l’occasione, si diresse verso la camera da letto gettando il suo sacco su un canapè e si allungò sul letto dei suoi genitori. La poverina! Non riusciva ad avere quello che sperava in quel giorno! Da solo, questo fallimento bastava per creare nel suo cuore tante pene e tanto dolore. “Ma il maschio non è come la femmina”. Invece, quando Karim la lasciò, non pensava già più a lei, perché ora il suo caso non lo interessava. Aveva altre gatte da pelare. Finora, tutto quello che aveva desiderato e l’aveva realizzato diventava d’un colpo, senza interesse, senza valore alcuno al suo sguardo. Quante volte aveva carezzato il bel sogno, quando aveva sei anni da averne 12 perché sua mamma gli coprisse di oro alcuni suoi denti! Quante volte aveva sperato d’avere 18 anni, perché un’altra volta ancora, sua mamma gli aveva promesso di farlo sposare appena avesse raggiunto questa età. Ma quando aveva raggiunto i 12 anni, aveva odiato di essersi coperto i denti di oro. Vanità! A 18 anni non aveva più interesse per il matrimonio. Quante volte aveva sognato di entrare all’università, ma quando era arrivato, l’università non riempiva più i suoi occhi. Al contrario, un altro mondo attirava la sua attenzione; si trattava dell’universo del lavoro e del guadagno, e dunque la voglia di liberarsi dal parassitismo nei confronti dei suoi genitori. Ma quando aveva realizzato tutto ciò, si era spaventato di trovare tutto, salvo la libertà e l’indipendenza. Egli ricordava spesso, la storia di due innamorati che aveva visto un giorno in una bella macchina, era una golf. Si diceva allora: “Se non sei ancora arrivato alla felicità prova a trovarti una bella ragazza e tu potrai sentirti il signore dell’universo”! Ma ora che era amato da una ragazza più bella di quella della golf, ecco la sua penosa vita non cambiava di un iota! Tanto più egli pensava con filosofia, meditando la sua esistenza dopo tre decadi, tanto pi˘ alcune delle domande senza risposte si ponevano con pi˘ acutezza: “Così è la vita? Che senso ha? Cosa voglio io in questa esistenza?”. Allora lo invadeva un gran terrore mai conosciuto prima; aveva paura, era piuttosto spaventato dalla stranezza delle sue domande. Questo era il suo stato d’animo. Aveva appena lasciato la sua amica e si trovò a dire, come se si trattasse del riassunto di un lungo discorso che aveva elaborato nel suo inconscio: “Ah, dunque, la vita è questa? Come è ingrata la vita!” Non aveva trovato nessun piacere a rivedere la sua amica e a discutere con lei; ciò assomigliava ad una sorta di corvè, che aveva imposto a se stesso. Se non avesse giudicato che questa avventura era un argomento che gli provava la sua supremazia e la sua capacità di vincere la sua timidezza nei confronti del sesso debole, non avrebbe mai accettato di uscire con quella ragazza; però ciò non gli impediva, quando si schiariva la sua anima, d’essere troppo chiacchierone e di scherzare con lei. Spesso, lo invadeva un fortissimo desiderio di chiedere la sua mano, e quindi di sceglierla come sposa, se mai un giorno avesse dovuto sposarsi. “Ma, perché non avrebbe potuto essere sua moglie? Infatti perché no! E’ una donna in tutto il senso del termine. In lei si sono riunite le grazie del corpo e le qualità spirituali”. Talvolta la vedeva estremamente bella, ricca di fascino. Ma questa bellezza gli faceva paura. Ne era geloso e temeva per lei gli occhi di altri uomini. Ella non era del genere di donne timide, non conosceva pudore. Talvolta non si riteneva dal prodigare, perfino, nei confronti degli uomini, sguardi espressivi. Non si impediva neanche di prolungare il suo sguardo su di loro mentre camminava accanto a lui! Benché ciò gli dispiacesse, egli lo nascondeva per timore di apparire ai suoi occhi reazionario, ritardato, antiquato! Questo genere di donne audaci, dispiaceva soprattutto a suo padre per molti aspetti: Era emancipata da una parte, e dall’altra, lavorava, e tutto quello che guadagnava per il suo lavoro era peccato! Poi inoltre le mancava il pudore. Era l’antitesi della sposa che suo padre gli avrebbe scelto se Karim glielo avesse chiesto. Anche se avesse potuto convincere suo padre, ci sarebbe stato un altro ostacolo, cioè il suo basso livello d’istruzione. Aveva appreso molto, leggendo e sentendo sui matrimoni, che erano falliti a causa della grande differenza dal punto di vista culturale che separava i partner. Tornando a se stesso e analizzandosi profondamente per conoscere le ragioni di questa esitazione, o piuttosto, questo orrore che provava del matrimonio, egli giudicò che quest’ultimo era vano. Non voleva soffrire di più, sacrificando la sua libertà. perché dedicarsi, porgersi come una preda facile a quell’orco che distruggeva e divorava la sua libertà? non poteva godere, preservando la sua preziosa libertà? O sarebbe stato peccato godere insieme amore e libertà? Ma in verità, egli avrebbe potuto scegliere e decidere liberamente? Avendo superato questi ostacoli, sarebbe stato capace di sposarla se avesse voluto? Sapeva che non poteva, soprattutto ora che aveva perso il suo posto di lavoro. Sapeva anche che sebbene cercasse un altro lavoro non sarebbe riuscito a trovarlo nelle difficili condizioni che il suo paese stava attraversando. Poi, egli era stato licenziato nell’ambito di misure strette rigorose che aveva preso la maggior parte delle grandi aziende algerine per alleggerirsi della pletora dei lavoratori che non servivano più. Inoltre, non si deve dimenticare che il matrimonio l’avrebbe costretto a spendere una fortuna per arredare una camera, pagare la dote, dare le feste necessarie; doveva aggirarsi sui venti milioni l’ammontare di questo genere di spese. Da dove poteva raccogliere questa somma astronomica? Tutto quello che era riuscito a risparmiare durante gli anni del suo lavoro fino ad allora, non superava il decimo della somma totale richiesta! Poi ammesso per un momento che egli fosse riuscito a mettersi d’accordo con la ragazza, i suoi genitori avrebbero accettato di sposare la loro carissima figlia a un uomo che non aveva neppure potuto conservare il suo posto di lavoro! “Mai”! Inoltre, la madre di Amel non gli avrebbe permesso mai di sposare la sua figlia per la semplice ragione che egli era più anziano di lei. “Dodici anni di differenza non si possono perdonare. No!” avrebbe detto la madre. Quindi, tutti questi dati e tutte queste condizioni suggerivano che il progetto accarezzato soprattutto dalla ragazza non si sarebbe realizzato. “Mai!” Per la seconda volta si sorprese ad esprimere l’impossibilità di un progetto simile. Si era perso in questi calcoli e ricordi mentre tornava a casa sua. Non abbandonò i suoi pensieri se non quando fu davanti all’edicola del quartiere. Prese “Le soir d’Algerie”, “Horizons 2000” e “Algérie-Actualites” , poi esitò un po’, sia perché temeva di spendere così tanto per dei giornali che forse non sarebbe riuscito a leggerli tutti, sia perché i loro argomenti non gli sarebbero piaciuti. Così aveva preso “El massa”, poi l’aveva lasciato e, tirando fuori dalla sua tasca un biglietto di 20 dinari, lo diede all’edicolante e se ne andò a casa sua per leggere le notizie della giornata a mente riposata. Era impaziente! – Quello che gli interessava di più, in quei momenti, era l’evoluzione della crisi politica in Italia! Aveva preso l’abitudine di seguire questo genere di informazioni da poco tempo. Ma sfortunatamente, i giornali algerini non ne dicevano quasi niente. Essi avevano di che riempire le pagine intere tanto da distogliere l’attenzione della popolazione che si sentiva attirata da ciò che accadeva al di fuori dei confini del loro paese. Le pagine dei giornali si riempivano di elogi per questo o quel partito o per le attività del governo. C’era anche dello spazio per lo sport, la musica, la cultura e la religione anche per sviare l’opinione generale e far dimenticare l’acutezza della crisi e convincere della calma e della stabilità della situazione del paese. Poiché il governo aveva interrotto l’importazione di tutti i giornali e riviste stranieri: francesi, inglesi, arabi, tedeschi, su cui il popolo prima leggeva le sue notizie, Karim non si fidava di quelle informazioni che leggeva sui giornali locali o che sentiva o vedeva alla radio o alla TV. Rimpiangeva molto di non riuscire ad avere informazioni e notizie che interessavano la vita sociale dell’Italia. Aveva solo sentito che il capo dello Stato si era dimesso e che il parlamento era incerto per l’elezione di un nuovo presidente. Invece, per quanto riguarda le cause e le dimensioni che caratterizzavano quella crisi, egli non sapeva niente. Anche in quel giorno rimase assetato dopo aver letto quei quotidiani. Spese un gran tempo nel leggerli. Era l’una della mattina quando finì. Aveva contratto l’abitudine di vegliare senza limiti, fin dal suo licenziamento. Vegliava sempre per leggere fino alla mattina, poi dormiva per non svegliarsi, spesso, fino alle due del pomeriggio. Dormiva tranquillamente nonostante i dispiaceri e le preoccupazioni che Amel aveva risvegliato in lui con il suo matto progetto. La camera dove dormiva era sola, isolata dalle altre due camere che i suoi genitori condividevano con il resto dei suoi numerosi fratelli. Non era proprio una camera. Era stretta e vecchia. Era stata la camera nuziale, costruita dai suoi genitori quando si erano sposati più di trent’anni prima. Era una casa composta di conglomerati fatti di argilla e di paglia, coperta di tegole. Le pareti interne erano imbiancate con la calce. Il pavimento era coperto di cemento rosso. Una novità a quel tempo! Era arredata con un vecchio armadio, nei cui ripiani erano disposti vari libri, con un tavolo e una sedia di legno entrambi vecchi. Fino a poco tempo prima non c’era l’elettricità. Ma appena aveva trovato un lavoro e aveva cominciato a percepire le prime paghe gli era venuta l’idea di rinnovare e restaurare quella vecchia camera che rischiava di andare in polvere. L’aveva dotata di elettricità, ne aveva dipinto le mura, rifatto il pavimento e al posto di una piccola finestra ne aveva fatto un’altra pi˘ grande, per arieggiarla e illuminarla. Quante volte aveva pensato di comprare un letto di legno e una nuova libreria, ma quando faceva i calcoli, si rendeva conto, che ciò avrebbe esaurito la modesta somma che guadagnava. Poi, in verità fino ad allora non aveva avuto mai l’intenzione di stabilizzarsi così precocemente. Si considerava spesso come un residente provvisorio, temporaneo. Si riteneva un viaggiatore che si era riposato per un tempo e avrebbe poi continuato la sua strada. Perciò aveva lasciato perdere molti dei suoi progetti, la ricostruzione della casa col cemento armato come facevano i suoi coetanei vicini, l’acquisto del letto e della libreria. “Sarebbe meglio comperare altri libri che spendere la mia fortuna in una roba cosÌ vana!” Diceva a se stesso. Infatti egli “non teneva mai la sua mano”, cioË non esitava mai a spendere tutta la sua fortuna per acquistare dei libri. Non aveva un letto dunque perciÒ il suo materasso era direttamente poggiato sul pavimento. Se qualcuno avesse visitato la sua camera, avrebbe trovato libri sparpagliati vicino alla sua testa, vicino alla sua destra, e alla sua sinistra. Ma avrebbe trovato ancora sul tavolo altri libri, carte e riviste poste qua e là. Spesso, perÒ, egli non sopportava di vedere intorno a lui un caos simile; di tanto in tanto sistemava i suoi libri e le sue carte e riviste, spolverava materasso e coperte, puliva la sua camera. CosÌ pensava di aiutare sua mamma che era diventata vecchia e senza forze, e che inoltre, non aveva fra tutti i suoi figli che una ragazza che era malaticcia! Allora, per compassione lavava i suoi vestiti, preparava da mangiare a se stesso, e l’aiutava sempre, quando aveva tempo, a pulire, cucinare e lavare. L’età di sua mamma non era l’unica causa per l’aiuto dato, egli non voleva sentire rimproveri amari da lei con il suo desiderio imperioso di vederlo sposato. Una volta le aveva comperato una impastatrice meccanica, ma lei non smetteva di ricordargli che doveva sposarsi. Poi, un’altra volta le aveva comperato una lavatrice. Quando l’apparecchio era stato installato ed era pronto, le aveva detto scherzando: “Ora non mi ricordare il matrimonio”. E lei delusa, aveva risposto con un gran dolore nella voce: “OhimË! La macchina non puÒ mai rimpiazzare l’essere umano!” Il suo sorriso si allargÒ pertanto, e cosÌ pensava di alleggerire il peso della spinosa osservazione che aveva scosso tutto il suo essere. Ma, egli aveva l’abitudine di dimenticare velocemente. Aveva dormito fino a tardi, dunque. Appena svegliato, prese una penna, un foglio e cominciÒ a trascrivere un sogno che aveva fatto la notte precedente. Aveva preso l’abitudine di registrare alcuni dei suoi sogni e provare ad interpretarli alla luce degli eventi che gli succedevano o ai quali egli dava corso. Aveva l’intenzione di riunirli in un libro che avrebbe pubblicato forse in seguito. La finalità dell’opera era di lasciare tracce letterarie che sarebbero state come un testamento sulla sua vita. Non aveva altra risorsa, non aveva trovato una strada migliore, salvo quella di perseguire questa attività. Aveva carezzato il progetto di scrivere un romanzo, ma dopo parecchi tentativi aveva lasciato stare. La musa gli prodigava di tanto in tanto qualche bella poesia che egli scriveva, lavorava e elaborava, ma quando le mandÒ ai quotidiani non ricevette interesse da parte dei redattori che non le consideravano neppure poesie! Egli sosteneva che la poesia non era solo questione di metro. Al contrario, dovrebbe essere una specie di lingua tanto bella quanto dolce. Essa dovrebbe avere delle parole incantevoli, profonde, capaci di esprimere gli stati d’animo dell’uomo in situazione di pene e di gioia, di sofferenza e di piacere, di fallimenti e di grandezza, di disperazione e di speranza. Quella forma di poesia, che si chiama la poesia libera, gli piaceva molto. Essa era pi˘ bella di quest’altra, ormai antica, scavalcata che si chiama ortodossa. La prima era tutta libertà, invece la seconda era costrizione e limiti imposti al poeta. Pensava anche che egli sarebbe stato capace di scrivere delle novelle e racconti. Li scrisse e mandÒ ad alcune case editrici, ma quando i responsabili li lessero, non trovarono niente che avrebbe potuto essere degno di pubblicazione! Ma una volta, si mostrarono bravi. Lo considerarono degno di una risposta. Ma di una sola! Gli scrissero una lettera piena di rispetto, ma anche di rammarico dicendo: “Caro K La ringraziamo per i suoi sforzi, e il suo coraggio e la sua abnegazione sui sentieri della scrittura, della creatività e della voglia di partecipare al miglioramento della cultura e della letteratura, specialmente con il genere della novella che oggigiorno, caratterizza la nostra epoca. Ma nello stesso tempo ci scusiamo di non potere pubblicare la sua opera. Senza dubbio, lei sa che da noi la letteratura non Ë cosÌ apprezzata anche se scritta dai pi˘ grandi autori. PuÒ immaginare se la gente porti un qualsiasi interesse alle opere di uno scrittore ignoto? Poi, all’occasione vogliamo farle sapere che abbiamo tantissimi manoscritti che stanno aspettando di essere stampati, e che il manoscritto pubblicato pi˘ recentemente l’abbiamo ricevuto tre anni fa! Le diciamo ciÒ, mentre pensiamo con fede e con ottimismo, che lei non disperi. Le assicuriamo che la contatteremo se ci sarà qualcosa di nuovo per il suo interesse e gli interessi delle sue opere. La salutiamo.
P.S. Abbiamo preso atto del suo recapito caso mai ne avessimo bisogno. Sono allegati a questa lettera i suoi manoscritti.”
Erano già passati quattro anni, da quando aveva ricevuto questa promessa, questo congedo rispettoso. Dopo ciÒ, aveva tentato di riconsiderare, riscrivere quell’insieme di novelle, e cosÌ ripresentarle sotto una forma migliore, pi˘ adatta. Ma la situazione nel suo paese si era degradata ancora di pi˘, e quindi l’interesse per la letteratura, già scarso, era diminuito. Alla fine era stato costretto ad abbandonare questo genere di scritti e provava questa forma, unica nel genere, che non aveva visto praticare da nessuno fra tutti gli scrittori che aveva letto o di cui aveva sentito parlare. La sua tesi era basata su una constatazione che affermava che i sogni sono una forma della percezione, o meglio, della conoscenza che caratterizza l’uomo. Con essi, egli poteva conoscere in altro modo tutto quello che succedeva nella sua vita e che era di importanza vitale per il suo equilibrio psicologico. Non era una teoria scientifica, perÒ. Era piuttosto ai suoi occhi un’idea filosofica, un metodo modesto, una strada reale, come diceva Freud per aiutarlo ad analizzarsi, allo scopo di conoscersi. Non era un tentativo di svelare i misteri impenetrabili della “sopranatura”. Non era neanche un tentativo di leggere nel futuro. PerchÈ, il futuro Ë un universo che non esiste nel momento presente. No. Non ancora. Esso esisterà, sarà quando arriverà il suo tempo. I sogni non sono una regressione verso un passato sconosciuto grazie ai ricordi che essi svegliano nella mente del sognatore. I sogni sono strumento a servizio del cervello per avere delle idee sulla realtà presente, quindi elaborare le misure necessarie per rispondere e interagire con i dati diversi di questa realtà complessa , tutto ciÒ in un linguaggio tipicamente immaginario. Come era sua abitudine dunque aveva preso un foglio e una penna e incominciÒ a trascrivere gli avvenimenti di un sogno misterioso, che si presentava come enigma, pieno di segreti da scoprire. Sceglieva sempre i pi˘ misteriosi, perchÈ pensava che il fattore “mistero” non era nient’altro che una sorta di appello imperioso delle forze nascoste dell’anima, costringendo il sognante a rispondere a questa voce interna. Aveva già pensato a pubblicare questo lavoro quando si sarebbero stabilizzate le cose e quando sarebbe esistito un genere di uomini che avrebbe amato la letteratura e rispettato la scienza. Quando? Non ne sapeva niente. Ormai era suo dovere produrre, almeno, sul piano della scrittura. Non gli interessava il fatto che la gente se ne rendesse conto o meno. Aveva già fatto un gran cammino in questo lavoro. Inoltre gli aveva ormai trovato un titolo “anti-diario”, perchÈ, giudicava che questa era un’opera antitetica ad un’altra che stava scrivendo e per cui aveva scelto il titolo “Diario”. L’anti-diario era a suo giudizio una sorta di clichÈ negativo di ciÒ che era il suo comportamento e la sua anima nella vita reale. Tutte queste attività intellettuali non lo lasciavano libero, perciÒ si era perfezionato nell’organizzare la sua vita quotidiana che era diventata pi˘ precisa, e scandita minuziosamente. I suoi incontri con gli amici del quartiere erano rari. Quando li incontrava non parlava molto. E quando lo faceva preferiva argomenti scientifici, filosofici, o artistici. Preferiva elevare il tono della conversazione piuttosto che abbassarlo a volgarità di concetti. Spesso, nei discorsi con gli amici, si trattava della situazione politica nel paese, del governo dal punto di vista della religione musulmana, della posizione dell’Islam nei confronti della politica….Per quanto riguardava gli altri argomenti scientifici e artistici, egli non ne discuteva che con rarissimi amici che sembravano averne qualche conoscenza. Ma questa aria di rigidità non gli impediva talvolta di scherzare. Durante le caldissime notti d’estate essi passavano lunghe ore a raccontarsi frottole e altre storie comiche e tragicomiche. Ne ridevano molto. Erano rarissimi i casi in cui queste calme serate alteravano gli umori a questa combriccola. Molto spesso, se ne andavano contenti come fratelli. Karim dunque prendeva parte a queste riunioni raramente, lo faceva per alleggerire la sua anima dalle pesanti e dure attività che si era proposto di fare. Aveva anche preso l’abitudine di dedicare due o tre ore ogni giovedÌ e ogni lunedÌ alla sua ginnastica settimanale. Quanto avrebbe amato diventare karateka quando era piccolo! Ma non aveva potuto, perchÈ sua madre trovava pericolosissimo questo sport a causa di un intervento chirurgico che lui aveva subito in tenera età. Gli era piaciuto anche il calcio quando era piccolo, e ancora adesso amava questo sport, ma per la stessa ragione ne era stato distolto. Inoltre, quando aveva passato i venti anni, egli non aveva pi˘ potuto sopportare questo stato di cose. Aveva deciso di sfidare questo impedimento, dapprima timidamente con paura per la sua salute, poi con audacia quando si era convinto che lo sport non era pi˘ pericoloso per la sua vecchia operazione, almeno con certi “dolci sport”. Faceva il nuoto in estate e il jogging nelle altre stagioni. Si era innamorato dello sport. Lo venerava proprio, perchÈ pensava che lo sport gli conservasse la sua giovent˘ e la forma fisica del suo corpo. Era “beau garcÒn”. Era alto. Il suo corpo era atletico. Il vigore della giovent˘ gli faceva credere che i suoi simili non sarebbero invecchiati mai nonostante gli anni! Egli era nato per l’eternità! Gli bastava solo conservare il suo corpo tramite lo sport. PerciÒ lo si vedeva sempre applicarsi, in maniera seria, a questa pratica. Non trascurava nessun punto del programma dell’allenamento che si era proposto. Ma il tempo vince sempre e fa morire la giovent˘ senza che quest’altra possa niente contro di lui. Gli cominciÒ ad accadere quello che avveniva alle lune piene di Abu el Ala; si era già accorto di alcuni capelli grigi. Ecco anche alcune rughe che cominciavano a invadere le zone dei suoi occhi delle sue orecchia e del suo collo. Questa metamorfosi – del resto non percettibile ai suoi occhi- lo costringeva a smettere di pretendere all’eternità, alla vita senza fine. Tuttavia la sua mania per lo sport rimase tale e quale. La gente l’aveva conosciuto, e lo caratterizzava come il ragazzo appassionato del footing, ma soprattutto come gran lettore. Una specie di angoscia di fronte alla misteriosità della vita, dei viventi, e di tutto quello che esiste in questo mondo era all’origine del suo amore per la lettura fino a morirne. Già da piccolo, aveva l’abitudine di fare a suo padre delle domande sul perchË delle cose, sui significati delle idee, sull’esistenza di Dio, degli angeli, dell’Inferno e del Paradiso, dei personaggi dei profeti. Suo padre si sforzava sempre di dargli delle risposte che credeva giustissime. Ma queste risposte eccitavano ancora di pi˘ il suo cervello piuttosto che soddisfarlo. Allora si metteva a cercare in libri quello che non trovava da suo padre. Un’altra volta, questi era l’istigatore che gli aveva mostrato il cammino. Suo padre aveva creduto e credeva sempre che tutte le scienze mediche si trovassero nel libro del “Siuti”, e tutte le verità si trovassero nei libri religiosi specialmente nel Corano. Egli, dunque, amava la lettura per questo motivo. Ma quando divenne un po’ piu’ grande, quando ebbe raggiunto l’età dell’adolescenza, conobbe gli scritti di Giorgi Zidan, El manfalote, Mille e una notte. Tutti questi libri erano appassionanti come se essi non avessero altri motivi di esistenza che quello d’essere letti da lui in quella precisa età della sua vita! Apprese anche, solo dopo il suo accesso all’università e non prima, che tutte le sue conoscenze erano vecchie. Occorreva dunque, rinnovarle, correggerle per reinterpretare il senso della sua vita alla luce di queste conoscenze rigenerate. Si mise a leggere tutto quello che trovava dei libri in cui si trattava della letteratura e della filosofia contemporanea. Aveva acquisito un tesoro, una fortuna spirituale tale che i suoi vicini non potevano pi˘ sopportare vederlo cosÌ ricco di conoscenze! Da questo momento cominciÒ a criticare tutte le cose e a vedere in tutto qualcosa che doveva essere riformata, ridefinita, reinterpretata e addirittura cambiata. Talvolta questo nuovo stato d’animo faceva paura anche a lui! In quei giorni, non aveva un programma ben determinato. aveva preferito continuare a leggere “I giorni” di Taha Ussein. Questi era diventato allora il suo autore preferito. Aveva letto una gran parte di quel libro e quando si sentÌ sicuro, prese un altro libro dell’unico Nobel arabo. Sono veramente grandi, giganti questi egiziani come del resto con le loro piramidi. In questo modo e secondo questo ritmo aveva l’abitudine di passare il suo tempo, e cosÌ passÒ i giorni successivi nell’attesa dell’incontro con Amel per la successiva settimana. Il cielo schiarÌ dopo quel temporale cosÌ violento che era durato fino alla fine della notte di quel giorno. La pioggia nel suo paese era poca rispetto alle necessità dell’agricoltura. C’erano solo due stagioni di pioggia: la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, poi la fine dell’inverno che durava spesso fin al termine della Primavera. Ma per il resto dell’anno, il cielo era sempre chiaro, e se gli capitava di coprirsi, le nuvole che nascondevano il cielo erano sterili! Stava aspettando la risposta di una decina di lettere che aveva scritto durante i tre ultimi mesi: ad un amico che si trovava in Italia, ad alcune Università francesi, a una ragazza statunitense, ad un’altra tunisina, infine ad alcune ragazze dell’Europa Occidentale. Si sforzava di comportarsi secondo il proverbio francese che diceva “Volpe che dorme non avrà galline”. Applicava questo proverbio alla lettera. Si era messo d’accordo con il suo amico prima che questi partisse per l’Italia, che se egli avesse trovato la situazione favorevole in quel paese, avrebbe dovuto scrivere per invitarlo a raggiungerlo. Questo era avvenuto sei mesi prima. Per quanto riguarda quello che aveva scritto all’attenzione dell’Università francese, egli non era riuscito fino ad allora che a ricevere delle risposte negative; talvolta non riceveva niente. Diceva per consolarsi della sua sfortuna: “Magari arriverà una buona risposta. Sarà nella strada”. La ragazza americana lo aveva informato un giorno, dopo una lunga corrispondenza, che si era sposata. CiÒ significava che avrebbe dovuto rompere questa relazione. La tunisina perÒ gli rispondeva prontamente di mettersi in relazione con suo fratello che stava seguendo gli studi in una delle Università dell’Est dell’Algeria, allo scopo di “ufficializzare”, come diceva lei, cioË di domandargli subito la sua mano. Non ricevette nessuna lettera dalle ragazze dell’Europa Occidentale. No, niente fino ad allora. Il fine dei suoi fini, o scopo dei suoi scopi era stabilirsi in un paese europeo, e tramite il matrimonio, regolarizzare la sua posizione cosÌ da poter proseguire alti studi. Egli aveva un forte desiderio, impazziva per il dottorato delle scienze antropologiche che non esistevano nel suo paese. La ragione? Questo genere di scienze contrastava coi precetti del socialismo che il potere aveva scelto come strada di sviluppo appena dopo l’indipendenza. Era una parascienza, un’antiscienza, si diceva, questo ramo scientifico! Era stata inventata nei paesi capitalistici, imperialisti, reazionari per giustificare e rafforzare la loro ideologia basata sullo sfruttamento dell’uomo per il suo fratello uomo! Come parecchi giovani del suo quartiere avrebbe tanto desiderato aver qualcuno della famiglia lÌ in Francia, oppure in Belgio. CosÌ egli avrebbe trovato un persona che l’accogliesse ospitandolo in casa e offrendogli denaro fino al momento in cui avrebbe potuto volare con le sue ali. Ma questa persona non c’era. Non esisteva, sfortunatamente. Aveva scritto a un suo cugino a Nizza due volte, ma questi non si era degnato di rispondere neppure con una riga. Aveva anche scritto a un suo zio che era naturalizzato francese e che viveva a Parigi, ma anche lui non rispondeva. Per quanto riguarda i vicini o gli amici che risedevano in Francia o in Svizzera, da cui aveva sollecitato aiuti, tutti l’avevano ignorato e gli avevano fatto capire che se egli fosse stato veramente serio, avrebbe dovuto solo, comprare “les devises”. Sarebbero stati pronti a rivendere i franchi francesi nella quantità che egli avesse voluto. Avrebbe dovuto, solo, dare 1000 contro 100 e dieci milioni contro un milione! CiÒ avveniva quando egli lavorava e guadagnava. Ma da quando era senza lavoro, nessuno di questi emigrati se ne curava pi˘. Essi avevano altre cose da fare. Mentre si stava adoperando con questi venditori del solido denaro egli scriveva una lettera dopo l’altra ad alcune donne che volevano sposarsi. Aveva raggranellato i loro indirizzi su alcuni giornali. Sceglieva sempre le donne che abitavano in Francia oppure in Belgio. Alla guisa di ragazzi del suo quartiere, sognava molto di conoscere una donna europea, fosse stata anche pi˘ anziana di lui, per sposarla e vivere con lei allo scopo di realizzare le sue ambizioni che erano diventate senza limiti e l’avevano affaticato molto! Ma al contrario dei suoi amici non era scaltro. Era serio. Egli si era fatto il giuramento di rispettare quella donna, di esserle fedele, di amarla, di sostenerla nel bene e nel male, come dicono i preti della chiesa cattolica quando legano gli sposi nel matrimonio.
Capitolo III
Erano le dieci e mezzo quando si svegliÒ la mattina di quel giovedÌ. Era un bel giorno. C’era il sole, ma c’erano anche alcune di quelle nuvole sterili nel cielo. GuardÒ il cielo per vedere che tempo facesse. Questa volta non aveva dimenticato di mettersi i suoi vestiti di jeans. Chissà? Anche se le dichiarazioni dei servizi della meteo non avevano avvertito di nessun cambiamento di tempo. La temperatura era mite, malgrado l’autunno avanzato. ComperÒ ” El Uatan” e “Algerie ActualitÈs” dall’edicola del quartiere, li mise sotto il braccio e velocemente si diresse verso la posta. Non aveva una casella postale a casa sua. Ma ne aveva una all’ufficio postale pi˘ vicino. Era n.234 . Mentre stava andando verso la piazza Primo maggio – il luogo dove si trovava l’ufficio postale – sentimenti diversi e contraddittori l’assalirono e disturbarono durante il cammino: da una parte avrebbe amato ricevere una lettera che gli avrebbe portato nel suo cuore speranza e gioia. Allora si sentiva contento. Dall’altra parte aveva paura di non trovare niente in quella casella, oppure se avesse trovato qualcosa con una risposta negativa, allora avrebbe provato dolore. Non andava all’ufficio postale che una o due volte alla settimana. Non trovava perÒ che una lettera al mese e a volte se non dopo due o tre mesi! Appena entrÒ nell’ufficio notÒ attraverso il grigliato della porticina della casella che c’era un bianco. ” E’ il colore di una lettera” pensÒ. ChiamÒ uno degli impiegati, che era suo amico, e gli chiese di ritirarla perchÈ egli aveva dimenticato le chiavi. Non c’era una lettera sola, ma ce ne erano quattro! Due al suo nome , le altre erano una per suo padre e l’altra per suo fratello. Una delle sue lettere era del suo amico Mahdi che si trovava in Italia. La seconda dei servizi dei conti correnti postali. StracciÒ quest’ultima, perchÈ egli non aveva pi˘ niente da fare coi servizi dei CCP. AprÌ l’altra e cominciÒ a leggere a alta voce mentre stava uscendo dall’ufficio: ” Nel nome d’Allah, clemente e misericordioso. Caro amico, ho ricevuto la tua lettera. Ti ringrazio per quel “giornale” che mi hai scritto. Non ti nascondo che ho cominciato ad annoiarmi sulla terra della gurba. Non ti nascondo anche che sei l’unico amico che si interessa ancora a me e che mi scrive, mentre mi sembra che gli altri m’abbiano dimenticato. Rendo grazia ad Allah per tutto quello che mi accade. Ho trovato un buon lavoro. Se tu vuoi venire, vieni da solo. Non portare nessuno con te e soprattutto Rabah, come mi hai fatto sapere nella tua ultima lettera. Egli non puÒ sopportare la gurba. Lo conosco bene io. Poi, egli ha altri interessi nel nostro paese. Non puÒ lasciarli stare. Non credo. Dunque, appena avrà toccato la terra italiana ripenserà al ritorno! Magari ti obbligherà a ritornare con lui, e ti rimprovererà molto se tu rifiuterai di accompagnarlo. Egli ha già fatto queste cose prima, ed eccolo che ti sta impedendo di prendere una decisione. Ti dico, se davvero vuoi venire, tu devi farlo subito. Posso assicurarti l’ospitalità per 15 giorni. DopodichÈ Dio organizzerà le cose. Bacia da parte mia Lanine, Muorad, Ussein e tutta la compagnia. A presto!” Quando finÌ, piegÒ la lettera e la mise nella sua tasca dicendo ad alta voce: ” E’ cosÌ dunque! Rabah mi sta facendo ritardare. Non Ë serio nella sua decisione. Ma non fa niente. Gli avevo promesso, sono costretto allora a mantenere la parola e aspettare fino a Novembre. Se parrà che egli voglia ritardare, lascerÒ stare e partirÒ da solo. SÌ! Mahdi ha ragione quando scrive che Rabah ha altri interessi e non sarà capace, non avrà il coraggio di lasciarli dietro e andare a giocare con il suo avvenire in Italia. Per quanto mi riguarda non ho pi˘ nessun interesse qui, in questo paese. Nessun lavoro, nessun commercio, neanche nessuna aspettativa nel lavoro o nel commercio. Occorre perÒ temporeggiare un po’ perchÈ novembre sta arrivando. E tutto quello che sta per arrivare Ë vicino come dice il proverbio”. Era entrato nel caffË Ottman mentre si era affogato in un mare di problemi e di preoccupazioni. Aveva scelto un posto, in un angolo, spiegÒ “el Uatan” e cominciÒ a leggere le notizie della giornata. Dopo un breve momento, arrivÒ Iosef, il cameriere. OrdinÒ tË al latte e una brioche. Poi ritornÒ, si abbassÒ di nuovo per leggere il giornale. In quei giorni c’erano ancora alcune impronte della giovane democrazia che stavano resistendo e lottando con tutti i loro sforzi contro l’imbavagliamento della parola e soffocamento delle azioni, l’assassinio dello spirito di tutti coloro che avevano scelto i sentieri della libertà e si erano ribellati contro l’arbitrio, il dispotismo che pretendevano di far tacere, coi rumori dei fucili, carri armati, la bella canzone degli usignoli della libertà. Come se l’Algeria non fosse degna di vivere libera e indipendente! Prima di questo periodo, gli algerini non hanno sperimentato una democrazia. Non l’avevano conosciuta che alcune persone illuminate, aperte – che perÒ erano poche – della classe degli intellettuali. Ma una vita in ambienti di democrazia cosÌ febbrili, ribollenti e fruttuosi, nessun algerino l’aveva vissuta, sia il popolo che gli intellettuali. No! Non prima della Costituzione di febbraio 89. Karim considerava quell’epoca come l’età d’oro della libertà spirituale e della libertà delle opinioni e d’espressione in Algeria. Prima di quell’epoca, benchÈ già laureato all’Università, non sapeva niente della famosa divisione del potere in esecutivo, legislativo e giudiziario. Non sapeva neanche, che questi tre poteri dovevano essere separati e indipendenti l’uno dall’altro, e che ciÒ era la base della democrazia. Non conosceva che un solo potere; cioË, quello dei colonnelli. Questo potere monolitico era cosÌ confuso che la gente non arrivava mai a separare gli interessi generali da quelli dei governanti, nel senso che se si trovava qualcuno che amava il potere e i potenti ben inteso, ciÒ voleva dire che questa persona amava il popolo e la patria; ma se prendeva le distanze dai colonnelli, sarebbe stata considerata come reazionaria, traditrice per il suo popolo e la sua patria. Sarebbe stato meglio per lei raggiungere sua “madre” al di là del mare! Prima dell’era della democrazia Karim pensava o piuttosto credeva che le cose dovessero essere cosÌ. E cosÌ egli amava che il suo paese dovesse rimanere. Era una ideologia simile che egli difendeva con il suo spirito e con la sua fede durante i dibattiti con i suoi amici. Ma ora che il suo spirito si era liberato ed illuminato, eccolo perseguire con interesse l’evoluzione di questa giovane democrazia, che l’aveva temuta agli inizi, e a cui poi si era abituato e se ne era innamorato e non immaginava pi˘ di poter vivere senza di essa. La libertà dell’espressione in quell’epoca d’oro era arrivata ad un elevato punto di razionalità! Era la prima volta nella storia di quel popolo, che aveva sofferto molto e per lungo tempo l’oppressione e le frustrazioni, che una donna presidente di un partito di opposizione rifiutava di assistere ad una conferenza stampa se non le avessero permesso di camminare sul ritratto ufficiale del capo dello Stato! Aveva realizzato questo capriccio! Nessuno avrebbe creduto che una cosa simile potesse accadere in questo paese. Ella aveva camminato sul ritratto di quello che aveva offerto all’Algeria il pi˘ caro presente che possa mai ricevere un popolo, cioË la democrazia. Questo evento era stato trasmesso direttamente sull’unica rete della TV algerina. Questo avvenimento aveva catalizzato per parecchio tempo tutti i discorsi dei cittadini. Ma il presidente non era alterato. Al contrario, egli aveva considerato questo gesto come uno dei diritti dei cittadini per esprimersi liberamente. Era un esempio straordinario di un presidente democratico. In quel momento, le opinioni si erano moltiplicate e diversificate, e le idee si contraddicevano e divergevano. Erano anche apparsi molti giornali che avevano appartenenze e direzioni diverse, da un laicismo radicale a un teocratismo integralista estremista. Karim pensava che questo vento della democrazia fosse una sorta di benedizione, una cosa che innalzava lo spirito degli intellettuali che prima si caratterizzavano con una specie di monismo nei loro pensieri, nelle loro opinioni, nelle loro inclinazioni verso le opinioni ufficiali, e che facevano l’elogio del potere allo scopo di approfittare del regime e dei suoi dignitari, dolci servitori! Ma sfortunatamente, sembrava, a Karim beninteso, che la gente fosse pi˘ abituata e predisposta a seguire un leader. La maggior parte di questa gente non poteva accettare questo genere di libertà che non aveva fatto nient’altro che “dividere” il popolo fino ad allora unito, e ne aveva fatto dei nemici che si odiavano e sarebbero stati pronti a farsi la guerra dopo essere stati fratelli! Quante volte scoppiarono fra Karim e i suoi amici alcuni di questi caldi e acuti dibattiti! Quando Karim entrÒ a casa era l’una del pomeriggio. Mentre mangiava il suo pranzo, aveva dato a suo fratello pi˘ giovane di lui Larbi, la lettera che aveva ricevuto dall’Italia, invitandolo a leggerla. Quando finÌ la lettura disse:
– Dunque, vuoi veramente partire? Ah! Se fossi in te partirei per non tornare pi˘
. Sono pronto a mangiare la polvere piuttosto che vivere in questo paese che non ci vuole nessun bene e che in pi˘, ci umilia.
Karim stava mangiando. Ascolatava senza commento. Sapeva che non aveva l’energia necessaria per fare questo viaggio. Non aveva l’audacia di sacrificare la vita facile, sicura che stava vivendo, per un’altra vita difficle , non sicura. Aveva paura di tutto quello che era ignoto o nuovo. Ma voleva assicurare suo fratello, magari se stesso. Aveva detto:
– Sai che se io avessi potuto passare le frontiere, non sarei ritornato? PerchÈ tornare? Ho perduto tutto perfino la speranza.
In fondo non era convinto di quello che aveva detto. Come poteva essere sicuro che egli avrebbe avuto un lavoro e poi una casa? C’era anche il problema della polizia italiana che perseguitava gli immigrati clandestini. C’era anche questa crisi politica, e la mafia, la delinquenza. .. stava pensando a tutto ciÒ, quando Larbi gli ruppe il filo dei suoi pensieri:
– Se mai arrivassi in Italia ti consiglio di cercare una donna e sposarla. CosÌ usciresti senza dubbio da questo “fango qua”.
Ma quando lo vide risprofondare nei suoi pensieri tristi, tentÒ di distrarlo un po’ e aggiunse scherzando:
– Cos’hai? A che cosa pensi? Hai paura di partire? L’Italia non Ë lontana. Poi, l’Europa Ë un altro mondo. E’ un mondo meraviglioso. LÌ c’Ë l’abbondanza. Tutto esiste salvo questa espressione: “Mi dispiace non ce n’Ë pi˘”. L’Italia Ë uno dei sette paesi pi˘ ricchi del mondo. Non ti mancherà niente. Stai sicuro che tu ricorderai tutto quello che ti sto dicendo. Tu riderai delle tue paure irrazionali. Ma se la vita ti sarà difficile, torna da noi, ci troverai accoglienti, ti riceveremo con gioia. Tu vivrai come vivremo…..
– No, non torno. RiuscirÒ! – Aveva risposto Karim con un’aria di violenza nella sua voce, come se avesse denotato della compassione da parte di suo fratello o qualche debolezza nella sua determinazione che voleva allontanare dal suo animo, dalla sua coscienza.
– Non preoccuparti fratello mio. Ecco la lettera, io me ne vado.
– Anch’io.
Ambedue i fratelli si erano lasciati sulla soglia della casa. Ma Larbi nel salutarlo aveva detto: ” Con il tuo permesso, come dicono gli egiziani”. Aveva scherzato per far ridere Karim che aveva perduto tutta l’inclinazione alla gioia, dopo aver perso il suo posto di lavoro; ma ciÒ nonostante, sorrise a suo fratello e se ne andÒ. Aveva lasciato i due giornali a casa. Non voleva avere la noia di portarli. E poi non era il momento di leggere. Era un appuntamento d’amore.
Capitolo IV
Le nuvole che prima coprivano il cielo si erano dissippate. Mise gli occhiali da sole. ArrivÒ al luogo dell’appuntamento un po’ presto; allora, decise di camminare un po’ avanti e indietro in attesa di Amel. Poi si appoggiÒ ad un muro e cominciÒ a guardare la folla che riempiva quel piazzale. Mentre fissava i visi della gente, notÒ due donne che parevano dirigersi verso di lui. Lo stavano guardando negli occhi. Non le conosceva. Se ne stupÌ ma aveva abbassato il suo sguardo per timidezza. Quando lo alzÒ le due donne erano già lontano e stavano per tornare da dove erano venute. Le aveva seguite con gli occhi e aveva notato che esse erano entrate nel “salon de coiffure des filles del’Andalousie” dove lavorava la sua amica. Ma essendosi accorto che non era ancora tempo si diresse verso un’edicola e cominciÒ a leggere alcuni titoli dei giornali serali. Dopo poco, vide Amel che gli sorrideva da lontano. Era molto bella. In quel momento la paragonÒ ad una attrice italiana che aveva visto in un film. I suoi capelli erano di un colore rosso scuro. Era vestita con un tailleur color viola. Dello stesso colore aveva tinto le sue unghia, le palpebre e le sue labbra. (Anche le sue scarpe erano di colore viola). Certamente, lavorava solo per comprare questi prodotti cosmetici, come tutte le sue simili in questo paese. Guadagnava molto con il suo lavoro. I suoi genitori non le domandavano soldi. Il sorriso non lasciava le sue labbra o piuttosto il suo viso. Era un angelo! Egli rispose con un vasto sorriso che lasciÒ il segno di una felicità interiore perchÈ aveva come amante un angelo simile! Erano andati via camminando senza una direzione precisa. Lei aveva appoggiato il suo braccio su quello di Karim e cosÌ pure la sua testa sulla spalla destra. Egli si ricordÒ delle due donne e le chiese una spiegazione. Lei ne rise con civetteria e disse:
– Volevano vederti da vicino. Avevo parlato loro molto di te. Ti hanno trovato molto buono, ma timido.
“Timido sÌ, ma buono. Non ci credo!” pensò. Poi disse ad alta voce:
– Adesso ho capito il segreto. Poi aggiunse: “Dove? dove andiamo”?
– Dove vuoi.
– Al giardino del parco dunque.
– Al giardino del parco.
Andavano camminando lentamente a braccetto. Non avevano molte parole da dirsi. Le parole non esistevano pi˘! Durante tutta la settimana, Karim aveva preparato un lungo discorso, ma quando l’ incontrÒ, s’accorse che tutto quello che aveva intenzione di dire si era volatilizzato nella sua mente. Persino lei, notÒ lui, non aveva niente da dire, solo parole che gli parevano vuote di senso; voleva convincerlo di andare a chiedere la sua mano. Diceva anche che suo padre sarebbe stato pronto poi nel trovargli un posto di lavoro nella sua banca. Dunque, non aveva pi˘ nessun motivo per rifiutare il matrimonio. Insisteva molto a tal punto che era infastidito di tanto in tanto. Desiderava che lei non gli ricordasse pi˘ il matrimonio. Conosceva bene la condizione della donna algerina, soprattutto in quel momento critico e di passaggio da un’epoca verso un’altra. Ma, che cosa poteva fare per cambiare lo stato dei fatti e delle cose? Niente, se non lamentarsi e piangere. Piangere sangue se occorreva piangere per quei milioni di donne che vivevano in un’estrema miseria. Guai a loro se si fossero permesse di avvicinare dei maschi, salvo di nascosto! Erano impedite di sposarsi. Ogni famiglia aveva una figlia, se non pi˘, da sposare. Ma nessuno le voleva sposare. Da una parte Karim compativa il dolore della donna algerina ed era pronto a lasciar stare tutti i suoi progetti salvo quello di lavorare per il matrimonio. PerchÈ, se egli avesse sposato qualcuno avrebbe liberato quella donna dall’inferno della miseria e della disperazione. E dall’altra parte egli avrebbe risuscitato la speranza nei cuori di coloro che rimanevano senza sposi. Ma subito, egli allontanÒ da sË questi pensieri. Diceva fra sË per discolparsi: “Dopotutto, non sono responsabile di questa condizione. Poi la mia iniziativa non riuscirebbe a soddisfare che un caso. Uno solo. Ma loro sono migliaia di casi che aspettano di essere sposati. Arrivarono al parco dei divertimenti. Scelsero un luogo nascosto dagli sguardi dei passanti e si sedettero affiancati. Voleva farla sedere sulle sue ginocchia, ma ella protestÒ. Non voleva contrariarla. Accarezzava i suoi bei capelli. Le fece girare il viso verso di lui e porse sulle sue labbra un lungo e delizioso bacio. Poi smise, per guardarla nei suoi bei occhi dai fulgori incantevoli. Ella giocava perÒ alla fanciulla offesa nel suo pudore di vergine! Improvvisamente sentirono una voce che comandava loro di lasciare il luogo: Non Ë posto per il vostro basso gioco! Si alzarono subito per andare verso un bosco vicino. Nessuno dei due aveva commentato quell’ordine. Avevano anzi dimenticati che erano stati cacciati dal loro paradiso. Poi il giardino non mancava di questo genere di rifugi. Si sedettero ai piedi di un enorme platano e lanciarono il loro sguardo verso una parte della città che appariva loro sotto la collina dove si trovavano. Egli guardÒ all’orizzonte che cominciava ad infiammarsi a causa del sole serale che gli si era avvicinato, e le diceva: “Guarda. Non Ë bello il nostro amore? Esso assomiglia a questa meravigliosa giornata”. Ma quando la vide silenziosa aggiunse: “Oppure tu non vedi che i giorni neri?” Ella rispose esagerando: “Per la prima volta da moltissimo tempo!” Poi lo abbracciÒ, baciandolo con una gran voluttà. Gli piaceva molto vederla prendere l’iniziativa in questa situazione. Era molto eccitato. Si era infiammato come l’orizzonte. Si baciavano le bocche, le guance, gli occhi, i capelli, i colli con frenesia, con fervore. Voleva passare all’atto se non fosse stato il luogo un po’ scomodo! Di nuovo, furono cacciati da quest’altro paradiso. Era il custode di un cantiere che era dentro il giardino. Questi non li avrebbe mandati via se non si fossero trattati di un uomo e una donna. Era difficile guardare l’amore negli occhi. Era provocante. C’era chi lo vedeva brutto. C’era chi lo considerava come una menzogna e tentazione. Altri lo prendevano per un pericoloso gioco che minacciava la struttura della società, della sua moralità. E tutti lo temevano, lo vietavano e se lo interdicevano, ma non senza rimpiangerlo. Decisero poi di lasciare il luogo “nel loro interesse”, e tornare in città camminando. Mentre andavano, Amel aprÌ la sua borsa, tirÒ fuori una boccetta di profumo e asperse la camicia di Karim, le sue tempie, il suo collo, il suo petto villoso e infine i suoi capelli. Poi disse con fierezza: “E’ un profumo che viene dall’Italia”. Aveva un odore squisito. Sembrava a Karim di non aver mai sentito un odore simile.
In quel preciso momento, gli venne alla mente un segreto che voleva rivelare, ma l’aveva dimenticato: Il suo viaggio in Italia. Allora cominciò a preparare il terreno:
– Ti ringrazio per questo fatto e per tutte le tue bontà nei miei confronti. Ho conosciuto un buon numero di donne. Tutte mi hanno amato perchË erano interessate. Avevano tutte un qualche interesse. Ma tu non sei come loro. No! Ne sono sicuro. PerchË l’ho già notato in te e lo noto anche adesso.
– Basta complimenti. Basta. Non ho fatto niente di interessante.
– Non bisogna essere modesti. La mia coscienza non mi permette di non riconoscere il bene ricevuto dagli altri. Che cosa Ë di pi˘ gradito che l’amore?
Poi tacque un momento. Si accorse che stava dicendo una bugia. Non ricordava di avere dato un significato a quel sentimento che chiamava amore. Non ricordava neanche di aver amato sinceramente una donna nË adesso, nË prima. Ma era meravigliato di trovarsi a parlare dell’amore come se si trattasse di una verità, di una realtà consolidata. Il suo silenzio non andÒ oltre qualche secondo. Si riprese poi subito per entrare nel vivo del soggetto:
– A dire il vero, a me non manca un posto di lavoro. Ho lavorato prima. Ma non ho mai conosciuto la felicità e ancor meno la dignità! Ma se avessi voluto avrei potuto trovare un lavoro. So con certezza, che il risultato sarebbe stato infelicità e la disperazione. Poi la morte lontano dalla libertà, dalla dignità.
– Che libertà e che dignità? Non capisco niente di quello che stai dicendo! – Si rivolse Aman spaventata.
Egli perÒ continuava a parlare come se non l’avesse sentita:
– Non ti nascondo che questa vita qua mi Ë diventata senza senso. Non posso pi˘ sopportarla. Tutto manca, e quello che c’Ë Ë vietato! Ho deciso di andare in Italia fra pochi giorni. Non so precisamente quando. Forse sarà in novembre. Ho ricevuto una lettera da un amico che si trova lÌ in cui mi invita ad a andarci. Mi pare che lavoro ci sia. Sai che la paga di un mese lÌ equivale alla paga di otto mesi qua? Hai capito la differenza? PerciÒ ho deciso di andare e lavorare per un anno, poi tornerÒ. Allora ti prometto, ti giuro di venire a chiederti di sposarmi”.
Disse questo e guardÒ il suo volto cercando da parte suo un assenso, un’approvazione. Ma ella aveva morso il suo labbro inferiore, mosso la sua testa dall’alto in basso e piangendo aveva proclamato la sua sfortuna piuttosto che burlarsi dei voltafaccia del destino: “Non ti ho detto che i colori della mia fortuna sarebbero pi˘ scuri della scura notte, anche se ci fossero sette soli per illuminarla? Ascolta. PerchÈ non ti togli questa follia dalla testa e provi a cercare un lavoro qua e ti stabilisci? Ho un po’ di denaro che ho risparmiato da molti anni, te lo offro. Non ti chiederÒ una dote pesante, ma solo quella che la nostra religione ci prescrive. Se fossi stata libera avrei pagato io la dote per te. Ti amo veramente. Non abbandonarmi”.
Disse queste ultime parole per addolcire quel clima che era diventato serio e grave. Rise di quello che aveva detto. Poi si riprese per difendere il suo punto di vista:” PerchÈ no? La vita non finirà anche se mi comporterÒ in questo modo!” Tacque aspettando la risposta del suo amico. Era gravemente toccato da quella dolorosa confessione che veniva da parte di Amel. Quando si accorse dell’inutilità delle sue parole e della distruzione dei suoi sogni:
– “Ti prometto”- disse dopo un piccolo silenzio, “ti prometto che tu sarai la mia moglie, se mai un giorno dovrÒ sposarmi. Mantengo la mia parola. Non scherzo mai quando si tratta di cose serie. Ti prego solo di fidarti di me. E poi un anno rispetto al matrimonio non Ë niente. I nostri anziani hanno detto “il matrimonio di un giorno ha bisogno di un anno di riflessione e di preparazione”! E noi vogliamo un matrimonio per tutta la nostra vita.
– Molte persone, prima di partire, hanno detto la stessa cosa, ma quando sono partiti hanno dimenticato le loro famiglie, i loro amici, e tutto quello che hanno lasciato dietro di loro. Pensa a tuo cugino. Non sarebbe stato capace di ritornare se non fosse morta sua sorella. Poi, quanto tempo Ë rimasto dopo la sua sepoltura? Non pi˘ di quattro giorni. Ventott’anni lontano da sua madre, dai suoi fratelli! Anch’egli aveva detto a sua madre che sarebbe tornato nel giro di due anni! Ma cosa Ë successo dopo? Si Ë metamorfosato ed Ë diventato un estraneo persino per sua madre. Il suo cuore si Ë gelato e seccato, Ë diventato come colui che Ë morto ed Ë dimenticato!
– Auha! Non sono come lui. Egli Ë partito prima che avesse compiuto i sedici anni. Invece io ne ho trenta. Dunque nË la gurba, nË la cultura degli italiani possono influenzare o cambiare il mio spirito, i miei sentimenti. Vedrai che non ti sto dicendo, nË ti dirÒ mai delle bugie. Non sai il grado del tuo valore per me. Se non ci fossero impedimenti, ti avrei offerto parte della dote per averti mentre stavi nella culla. Ti prego, sii un aiuto per me. Non essere un aiuto per il destino. Il matrimonio non Ë un gioco. Poi il mio viaggio non Ë per il momento che una pura ipotesi; ho tentato qualche tempo fa di vivere in Francia, ma dopo due mesi sono tornato perdente, fallito. Non colsi allora che gran dolori. Adesso vedi, sono qua con te. Chi potrà assicurarmi che sarÒ capace di passare le frontiere, e soprattutto in queste circostanze critiche in Algeria come in Italia?
Erano arrivati ad un piccolo giardino vicino all’ospedale. Si fermarono e cominciarono a guardare sotto di loro. Di lÌ potevano vedere alcuni dei rioni della città vecchia che era circondata, dalla parte orientale lungo il fiume che l’attraversava, da alcune baraccopoli e casupole misere costruite dalla povera gente e anche da qualche impostore per costringere il governo, questa generosa provvidenza, a fare loro la carità dando loro delle abitazioni rispettose. Lo stava ascoltando. Anzi pareva ascoltarlo. Ma quando si rese conto che lei non si degnava di rispondergli tentÒ di cambiare il discorso, di far entrare un po’ di gioia nel loro incontro. Voltandosi verso di lei disse scherzando:” Immaginaci come se fossimo regina e re, e che ci stessimo facendo vedere dai balconi del nostro castello! In verità non c’Ë nessun impedimento di fare questo sogno. Qual Ë la differenza tra me e un re? Niente. E’ un uomo come me. La città Ë diventata mia proprietà non appena la sua immagine si Ë riflessa sulla retina del mio occhio. Per quanto riguarda il castello, chi puÒ negarlo? E’ dietro di noi! Basta solo non guardarci”. Rise di questa favola, e disse commentandola con sarcasmo: “Che castello e che regno! Sei diventato pazzo! Io parlo della realtà, di quello che stiamo vivendo, e tu mi parli di una finzione, di un miraggio!” Infatti, Karim apparteneva a quel genere di uomini che si dicono romantici. Aveva contratto questa inclinazione, e anzi questa mania, a causa delle sue frequenti letture e passeggiate nei campi. Se ne era innamorato. Non gli impedivano di fare queste lunghe gite nË notte, nË giorno, nË inverno, nË estati. Gli capitava spesso di passare tutto il giorno e un po’ della notte, lontano dalla città, dai suoi rumori. Non aveva capito la risposta della sua amica, quei voltafaccia cosÌ violenti, cosÌ stimolanti! Era tuttavia riuscito a nascondere il suo stato d’animo. Le disse: “Sto scherzando naturalmente. Andiamo. Non abbiamo pi˘ molto tempo”. Se ne andarono camminando. Quando si avvicinarono alla casa di Amel, la congedÒ con due baci sulle guance, come era abitudine degli innamorati da loro. Si lasciarono senza che uno di loro avesse pensato al successivo incontro. Ella ne aveva abbastanza della sua vita che somigliava ad un tunnel da dove non poteva uscire nË fuggire. E quel giorno odiÒ la testardaggine di Karim. Forse era anche pentita di avergli concesso quei baci. Egli perÒ sapeva dove trovarla se il bisogno di incontrarla si faceva sentire. Inoltre, non sopportava d’essere lo schiavo delle abitudini, nel senso che se si accorgeva che alcuni dei suoi comportamenti stavano per trasformarsi in una routine, s’affrettava con ogni mezzo per evitare che ciÒ accadesse. Aveva visto la stessa cosa in quegli appuntamenti. D’altra parte era preoccupato in quei giorni.
Ol capitolo V e VI sono andati perduti
Capitolo VII
Erano passati 15 giorni dal ritorno dal cimitero. Karim era preoccupato a tal punto che i suoi amici l’avevano perso di vista. Se fosse capitato di vederlo, si sarebbe detto impegnato. Egli non avrebbe tardato ad andarsene per un qualsiasi affare urgente! Pensava che quella tregua o a cui le circostanze l’avevano costretto ( i suoi incontri con Amel, Hascin, la morte del vicino, lo scherzo con Geha) erano durati un po’ troppo. Era il momento di tornare agli affari seri. Dopo essere tornato dal cimitero aveva cenato, poi si era sdraiato su un canapÈ per meditare, mentre il suo corpo riposava per le fatiche del lungo cammino e della digestione. Quando si sentÌ un po’ pi˘ in forze, si alzÒ e si diresse verso la scrivania. TirÒ fuori il quaderno delle lettere e cominciÒ a scrivere:
“C. MercoledÌ…19
Caro Mehdi
Ho ricevuto la tua lettera. Ti ringrazio molto dell’interesse che hai nei miei confronti. Ho deciso, veramnete, di raggiungerti fra pochi giorni. Aspettami alla stazione centrale ogni domenica, a partire dalla data suscritta. Scusami se trovi questa lettera un po’ breve e non soddisfa la tua voglia di leggere. Ho registrato tutte le notizie interessanti. Te le racconterÒ direttamente a bocca senza l’ausilio della penna. Brahim Ë morto, poverino. L’abbiamo seppellito oggi all’una di pomeriggio. Detto tra noi, io lo invidio per questo (anche se gli Ë toccata la morte), la vita si Ë molto ristretta attorno a me. Gli orizzonti, un altro tempo grandi e vasti si sono ristretti anch’essi. Non c’Ë pi˘ speranza, neanche la speranza della speranza! Ti dico questo perchË sappia che la situazione dopo che sei andato via si Ë ulteriormente degradata. Ho paura per te, se desideri ritornare in quest’inferno che tu hai già fuggito. Ho sentito Aziz che diceva che tu stavi per tornare. Ti consiglio di non farlo. Soprattutto se stai lavorando. Finalmente ti saluto, te e i tuoi amici nella “gorba”. Tutta la tua famiglia sta bene. Non preoccuparti. Arrivederci. Quando ebbe finito di scrivere la lettera fece un’altra lettura. GirÒ la pagina e cominciÒ a scivere su un altro foglio un’altra lettera:
“Caro T…
Ti scrivo questa lettera per farti sapere che ho disperato nell’aspettare risposte che non esistono. Se non fosse che tu m’hai proposto di aiutarmi a fare un’iscrizione all’Università di Nizza, non ti avrei dato fastidio neppure con questa lettera. Ora che mi sono reso conto,a causa delle tue “non risposte”, che sono una persona non desiderata, ti chiedo scusa d’aver sperato un po’ in te. Se non fossi stato mio cugino non avrei mai avuto la voglia di chiederti aiuto. So che tu non leggerai questa lettera, ma , ciononostante, la invierÒ ugualmente. Magari la leggerai. Chissà? PerchË sappia, se mai la leggerai che sono in grado di capire la mia posizione e che sono un uomo con un pizzico di dignità.
Con i miei rispetti”
StaccÒ i due fogli, li mise in due buste chiamÒ il suo fratello più piccolo che stava andando a scuola e gli disse:
– Imbucale nella cassetta delle lettere.
– Dove vuoi mandarle?
– Una in Italia e l’altra in Francia.
Il ragazzo scrutava gli indirizzi come voler assicurarsene ed uscÌ trascinando letteralmente le sue gambe. Karim si sedette di nuovo. Aveva appoggiato le sue braccia sulla scrivania e la sua testa sulle braccia. Rimase in quella posizione riflettendo a lungo. Poi alzÒ la testa , prese “La locanda d’El Khalili”e decise di finirlo in quel giorno. La lettura dell’opera teatrale gli dava fastidio, l’affaticava. Nonostante ciÒ egli lo faceva con gran piacere. Lesse, dunque, fino al calar della notte. Aveva mantenuto il proposito. Aveva finito quel libro. L’aveva fatto, si sentiva leggero e contento di se stesso. “Non aveva passato 4 ore in faccende serie e in attività?” Naturalmente. Ma quella sensazione d’euforia non durÒ pi˘ di qualche secondo. Ritornarono subito i grattacapi, le preoccupazioni, quando gli veniva in mente la sua ricca libreria di cui non aveva letto che l’ottavo dei libri esistenti. Non poteva separarsi dai suoi libri. Non voleva lasciar stare quell’isola del tesoro. Ma che fare? Sapeva bene che fino ad allora, quei libri non gli erano stati di nessun soccorso per alleviare la sua dura vita! O avevano fatto poche cose per divertirlo, per rendergli la vita un po’ dolce. Poi tutti i suoi libri erano vecchi. Egli stava vivendo una sorta di embargo intelletuale. Lo Stato aveva bloccato l’importazione dei libri e riviste, col pretesto dell’austerità! MacchË, i baroni dell’esercito e del governo stavano sfiancando quello che rimaneva delle risorse del paese e delle sue ricchezze. Aveva incominciato a costruire la sua libreria fin da quando era piccolo. Adesso, eccola abbastanza ricca. Conteneva circa 1000 libri e riviste. Ne aveva letti in tutti quegli anni. Quando guardava a tutti quelli che gli rimaneva da leggere e quando considerava il tempo che gli rimaneva da vivere s’accorgeva che non poteva farlo per il fatto che il resto della vita non era sufficiente. “Dunque perchË tanta fatica per avere una libreria inutile? Non assomiglia ciÒ a sterili nuvole che spesso riempiono lo spazio dei nostri cieli senza mai far cadere una solo goccia d’acqua?” Adesso era costretto a partire. Non sapeva quando sarebbe ritornato. Non sapeva neppure se un giorno sarebbe ritornato! Ehe, guardava i suoi libri! Gli altri suoi fratelli! Loro non amavano i libri. Solo la sorella. Ma a lei era vietata la lettura. La lettura non andava bene “per la sua educazione”. Non c’era niente dunque, da sperare da questi libri. Proprio niente! Era sul punto di partire. “Ah! La partenza!” Si era ricordato adesso. Doveva andare da Rabah per chiedergli notizie sulle pratiche da fare per partire. “Dove poteva trovarlo?” Non doveva essere lontano dalla sua macchina. Di solito non se ne andava presto. Comunque questo non era per lui il momento di andare a casa. Se fosse stato un po’ veloce l’avrebbe potuto raggiungere. Karim era già fuori casa. La sua direzione era l’albero dove Rabah parcheggiava la sua macchina per vendere la sua merce. Di lontano era riuscito a percepire la sagoma della macchina. Con lo sguardo cercÒ Rabah . Lo vide chino che pesava datteri per un cliente. Lo salutÒ e rimase in piedi ad aspettarlo. Quando ebbe finito di servire i clienti Rabah tornÒ verso Karim e disse:
– Come stai?
– Bene , grazie ad Allah.
– Hai visto? “Sciascia” non puÒ pi˘ fare a meno della mia presenza, da quando ha saputo che sto cercando un socio. So che il commercio l’interessa poco. Vuole la mia compagnia.
Disse questo facendo una strizzatina d’occhi. Karim sorrise e chiese:
– PerchË non vuoi la sua compagnia?
– No, solo che…Poi non è il momento di parlare di questo genere di cose. Guarda, sta spiandoci. Sa che stiamo parlando di lui. Guarda sta ridendo, il figlio di puttana.
– Che cosa gli rimproveri? E’ un essere umano come tutti gli altri.
– Un essere umano, certo lo Ë, ma della pi˘ bassa specie.
– Non puoi cambiare niente nella sua condizione, perÒ. Se lui Ë cosÌ, Ë cosÌ. Tu non puoi niente.
– Come? Non puÒ smettere con il suo commercio?
– Pensi che se avesse potuto cambiare non l’avrebbe fatto?
– Si dice che Ë stato un medico ad suggerirgli ciÒ e per ragioni di salute. Che ne dici tu?
– Non credo che i medici suggeriscano ai clienti comportamenti perversi. A mio parere Ë un pretesto immaginato da Sciascia e i suoi amanti per prevenire il biasimo del “censore sociale”.
– Ho sentito dire che quando verrà lo Stato islamico questi tipi di perversioni saranno combattute e sradicate . E se i soggetti inclini a ciÒ dovessero resistere, saranno bruciati.
– Ma dov’Ë lo Stato islamico? Poi non sono venuto qui per discutere di questo.
-PechË sei venuto allora?
Il colloquio aveva distratto Rabah e non si era accorto di un cliente che stava aspettando che finisse la conversazione. Ma Karim glielo fece notare dicendo:
– Servi il signore, continueremo dopo.
Quando il cliente andÒ via i due amici tornarono di nuovo alla conversazione. Ma questa volta l’oggetto di essa non era Sciascia.
– Hai detto che hai bisogno di me? Di che cosa si tratta?
– Voglio sapere un po’ di cose. Voglio, ad esempio, sapere le pratiche che sono necessarie , con ordine di procedura, per partire e andare in Italia. Da dove devo incominciare?
– Hai il passaporto?
– Per forza, naturalmente e la “divisa”, ma non abbastanza.
– Non preoccuparti. Ti aiuterÒ per quello che ti manca. L’essenziale! Prendi il passaporto, vai all’agenzia di “Air Algerie”, compra un biglietto. Poi vai all’agenzia turistica “Timgad”. Sai dove si trova?
– Si
– Allora tu vai con il passaporto, il biglietto, 700 Dinar, e 2 foto d’identità ed un assegno di almeno 3000 franchi francesi.
– L’attestato di lavoro e il libretto militare?
– Nè questo, nè quello.
– Ma non ho un conto corrente
– Ci penso io.
– Allora?
– Sto al tuo servizio quando lo vuoi. Ma vuoi davvero partire? Voglio dire: “Sei convinto della tua decisione”?
– Si.
– Fai bene. Non aspettarmi. Come vedi sono occupato in questi giorni, ma se avessi aspettato fino alla primavera ti avrei accompagnato. L’inverno dell’Europa Ë molto rigido. Ti consiglio di non partire prima che arrivi la primavera.
– Provo a partire. Ma ciÒ non vuol dire che ci riuscirÒ perchË ho paura che le autorità algerine me lo impediscano.
– PerchË dovrebbero impedirtelo? Non sei un politico. Poi le autorità stesse si sono rese conto della necessità di incoraggiare, anzi, aiutare i giovani a lasciare il paese. Il governo non ha pi˘ la possibilità di procurare posti di lavoro per la marea di giovani disoccupati che si sono trasformati in un esercito di riserva per qualunque ideologia che sa bene come sfruttarli e mobilitarli per i suoi scopi.
– Hai ragione. Le mie paure non hanno nessuna base. Ma la polizia di frontiera italiana..
– Gli italiani non vogliono capire molto. Basta solo che sia in regola.
– Che cosa chiedono ai passeggeri?
– PressocchË niente. Il passaporto con il visto d’ingresso e il danaro a chi arriva dal terzo mondo. Il consolato italiano esige dagli algerini che desiderano andare in Italia il possesso di almeno 3000 franchi.
– E’ tutto?
– Si, Ë tutto. E’ facile. Non Ë vero?
– Hai dissolto le mie paure e i miei incubi. Adesso mi sento pi˘ leggero. Ma…grazie
Rabah prese alcuni “datteri” e li diede a Karim per “addolcire i suoi denti” come si dice da loro. Essendosi accorto che Karim aveva qualcos’altro da dire e che si era trattenuto gli disse incoraggiandolo a proseguire:
– Ma… che cosa?
– No, niente. Dopo, dopo.
– Sto sempre al tuo servizio.
Questo era Rabah. Era coraggioso, audace, non esitava mai. Era stato molte volte all’estero e specialmente in Italia. Invece lui non era stato all’estero che una sola volta, in Francia. Erano passati ormai molti anni.
– Comunque ci vediamo lunedÌ prossimo – disse Karim dopo un breve silenzio.
– Il tuo fedele servitore ti aspetta sempre.
– Arrivederci.
– Ti saluto.
Capitolo VIII
Aveva conosciuto Rabah 6 mesi prima e pi˘ precisamente da quando questi era tornato dal suo ultimo viaggio dall’Italia. Allora Mehdi l’aveva incaricato di dire a Karim che lo stava aspettando. Fin da quel tempo la loro relazione di amicizia era diventata stabile. Avevano preso l’abitudine d’incontrarsi di tanto in tanto per progettare il loro viaggio. Dei due Karim era quello che ne traeva pi˘ vantaggio. Aveva saputo molte cose della vita in Italia e degli immigrati che vi vivevano. Aveva saputo dove era possibile mangiare, vestirsi e fare la doccia. Aveva anche imparato alcume parole in italiano. Quando tornava a casa sua, si metteva subito a rivedere le lezioni d’italiano. A volte scriveva alcune frasi e le ripeteva ad alta voce. Aveva a sua disposizione una cassetta di lezioni di corretta pronuncia di lettere (fonemi) e di alcune parole e corte espressioni. Si era reso conto che la lingua italiana gli piaceva molto, dopo aver creduto per lungo tempo che a lui non interessasse per nulla. Aveva rimpianto di aver sprecato una buona occasione per impararla quando era all’università. In quei tempi aveva preferito il tedesco. Si! questa lingua, la lingua italiana, era diventata bellissima ai suoi occhi. Aveva scoperto una sorta di musica dolcissima e non aveva mai sentito nulla di simile nelle altre lingue del mondo che aveva conosciuto o sentito parlare. Arrivato il lunedÌ Karim si svegliÒ pi˘ presto del solito, fece colazione e s’avviÒ verso “eddardara” per aspettare Rabah. Questi non era ancora tornato dall’ortomercato. Faceva un po’ freddo, ma la temperatura era ancora sopportabile. Poi il sole all’inizio di ottobre non era cosÌ debole da lasciarsi vincere, era ancora forte e soprattutto quando era alto nel cielo. Karim era vestito con la stessa camicia che aveva addosso il giorno del suo precedente appuntamento con Amel. La sua camicia conservava ancora la fragranza del profumo della sua amica. Mentre stava aspettando, passÒ il postino. Lo conosceva bene naturalmente. Gli disse:
– C’Ë una lettera per te.
– Davvero?
– Si, l’ho data a tuo fratello. L’ho visto al caffË.
Lo ringraziÒ e corse a cercare suo fratello. Quando entrÒ nel caffË questi aveva già finito di leggerla. Si arrabbiÒ. Gli dispiaque molto del suo comportamento indiscreto e maleducato. Disse con rabbia:
– Per chi Ë la lettera?
Ma suo fratello rispose con calma come se non fosse successo niente: Per te ovviamete. Scusami se l’ho letta. Ti arriva da Mahdi. La rabbia di Karim raddoppiÒ. Il suo viso diventava sempre pi˘ rosso anche a causa della flemma, tanto vile quanto oltraggiosa, di suo fratello. Spingendo in avanti la mano per entrare in possesso della lettera disse:
– Dammela. Quante volte ti ho detto di non essere curioso e di non leggere le lettere degli altri.
– Non sei gli altri. Sei mio fratello. Non ci sono limiti fra noi.
Quando notÒ che Karim era veramente infuriato tentÒ di calmare quel clima che era diventato un po’ ionizzato. Ma Karim era preso da un’ira tale che rischiava di perdere la ragione; le sue labbra cominciarono a proferire ingiurie. Suo fratello tentava di scusarsi per la seconda volta dicendo: Calmati. Non c’Ë niente che giustifica questo tuo comportamento. Non ho mica mangiato la tua lettera.
– Sei pazzo. Sei un maleducato . Se ciÒ mi fosse stato fatto da un’altra persona, forse l’avrei picchiata.
– Hai visto? Non ti ho già detto che noi non siamo gli altri?
Karim non aveva altre parole per rimproverare suo fratello. Lo lasciÒ nel caffË ed uscÌ. CominciÒ a leggere la lettera mentre si dirigeva verso Eddardara. Era scritta in francese. Rimase stupito che Mahdi scrivesse in francese. Di solito non usava questa lingua, salvo con chi non conosceva la sua lingua, cioË l’arabo. Poi egli non conosceva bene il francese. Nonostante ciÒ questa volta aveva usato il francese. Strano, no? La cosa pi˘ strana era che avesse scritto:
…Devi sapere che Ë difficile se non impossibile trovare lavoro qui in Italia, in questi giorni. Perfino io sono sul punto di non poter pi˘ avere lavoro. Non c’Ë pi˘ lavoro. Non ci sono case per abitazione. Non so se tu conosci qualcosa sull’inverno in Europa. E’ il terzo polo glaciale. Se Allah vuole, sto per tornare al pi˘ tardi, in Dicembre. Ti consiglio di non venire. Sarebbe meglio per te rimanere in Algeria. Saluta da parte mia….”
Il suo viso si era contratto. Era stato come se un pugnale fosse penetrato nel suo petto. Poi arrossÌ. Il suo sangue era in ebollizione per la rabbia. I battiti del suo cuore aumentavano di velocità. La sua bocca era secca. Aveva sentito che gli si piegavano le ginocchia. Era sul punto di cadere. Quando si riprese da quello stato di stupefazione disse a sË come se stesse rimproverando il suo amico per il suo gran tradimento: “PerchË? PerchË hai fatto questo a me? Anche tu sei cambiato tanto da diventare avaro come gli altri emigrati?” Poi diede un’occhiata alla data della lettera e lesse “7 settembre”. Un’idea gli venne in mente “Aaah! Adesso ho capito. Questa data corrisponde a quella durante la quale Aziz si trovava lÌ a Milano. Aah. Davvero Ë lui il responsabile! Ma come mai Mahdi gli ha dato il permesso di scrivere a suo nome una lettera simile se non era d’accordo con lui? Comunque mi assicurerÒ fra poco” La sua rabbia non diminuÌ. RipetË la lettura di quel passo tre volte, magari per trovare una lettera, una parola che smentisse quello che aveva capito. Ma non trovava niente. Al contrario la lettera gli consigliava di non fare quel viaggio e si capiva che il suo amico non lo voleva comunque. Si. Era questa la verità. L’amara verità. “quale sarebbe stata la reazione di suo padre quando gli avesse comunicato la realtà. Suo padre si fidava di quell’amico. Era sicuro che il figlio avrebbe trovato l’aiuto necessario da quell’amico finchË non si fosse adattato alla vita della gorba. Ma ora che era chiaro che Mahdi non era pi˘ disposto ad aiutarlo, suo padre gli avrebbe permesso di avventurarsi comunque e dilapidare tutta la sua fortuna per un viaggio che sarebbe stato comunque un fallimento? Gli veniva alla mente il ricordo del suo primo e unico viaggio in Europa. Aveva sbagliato allora a non stabilirsi in Francia. “Non sarei costretto a comunicare questa lettera a mio padre se non l’avesse già letta mio fratello. Adesso – pensava – se non glielo avesse detto certamente l’avrebbe rivelato suo fratello. Comunque sarebbe stato uno scandalo”. I suoi occhi si erano riempiti di lacrime per la disgrazia. La maleducazione di suo fratello aveva rafforzato il suo dispetto. La sua rabbia era tanto pi˘ grande , quanto pi˘ sentiva la sua debolezza di fronte alle sentenze del sordo e cieco destino, il quale non allentava la sua morsa. Aveva stracciato la lettera in mille pezzi, come a voler cancellare tutti i segni del fallimento delle sue speranze. Era gravemente addolorato di quel precoce fallimento. Riprese un po’ di calma. Anzi in quel momento il suo stato assomigliava a quella specie di inerzia che viene dopo ogni ciclone di rabbia, di disperazione che colpisce le anime a cui distrugge tutte le forze.
Capitolo IX
L’appuntamento con Rabah non l’interessava pi˘ ormai. TirÒ fuori quello che era rimasto dei “soldi in tasca” della settimana precedente che suo padre aveva preso l’abitudine di dargli fin da quando aveva perso il suo lavoro e cominciÒ a guardarlo, anzi a contarlo. Gli bastavano per comprare “el watan” e”le soir d’Algerie”, e almeno due bicchieri di tË. ComprÒ il quotidiano mattutino ed entrÒ nel caffË. SpiegÒ il giornale su un tavolo libero e cominciÒ a leggere, ma solo con i suoi occhi perchË la sua mente non era concentrata su nessuna cosa particolare. Poi piegÒ di nuovo il gionale, corresse la sua posizione e guardÒ i vetri della finestra. La macchina di Rabah non era ancora arrivata. Gli veniva alla mente la lettera. Muoveva la testa da sinistra a destra e da destra a sinistra e cominciÒ a parlare con voce afona come se stesse rispondendo a qualcuno che gli avesse chiesto qualcosa: “Hai ancora bisogno di Rabah?” “Per che cosa devo aver bisogno di lui? Talvolta credo, anzi, affermo che la giustizia come la libertà non esiste in realtà. Gli esseri umani si sono trovati in questo mondo divisi in due categorie: una Ë stata condannata a vivere nell’infelicità e nella sfortuna. L’altra Ë stata invitata a vivere nella felicità e nelle soddisfazioni totali. Poi, prima e dopo tutto ciÒ, che cosa sta aspettando l’uomo? La morte, il buio dell’annientamento ! PerchË questa dannazione, signor mio? Aveva passato molto tempo nel “caffË” tra sofferenze e preoccupazioni. Si ricordÒ di alcuni dei suoi pi˘ neri giorni della vita passata piena di povertà, malattia, oppressione e frustrazioni. In quei momenti duri era convinto che un futuro migliore era vicino e lo stesse aspettando. Ma adesso! Adesso che il momento delle grandi speranze era stato rovesciato, che cosa aveva da aspettare? Niente se non arrendersi al destino e alle sue condanne”. PiegÒ il suo giornale, lo mise sotto il braccio e uscÌ. Camminava con un passo lento come se sentisse appesantirsi tutte le sue angosce e preoccupazioni. GirÒ il suo viso verso il cielo; guardÒ per un momento quelle nuvole che coprivano le creature, il sole, poi disse: “Niente, se non queste sterili nuvole che non hanno nient’altro di buono che l’ombra!” ContinuÒ il suo cammino. Quando passÒ vicino all'”eddardara” vide la macchina di Rabah e vi si diresse. Non lo trovÒ. C’era suo fratello. Quando gli chiese dove fosse Rabah gli rispose che era ammalato e che non era uscito fin dal giorno prima. Gli augurÒ una pronta guarigione . SalutÒ e andÒ via. Il giorno dopo Karim tornÒ al caffË; entrando vide Rabah e Aziz seduti l’uno vicino all’altro. AvanzÒ verso di loro. La conversazione verteva sul commercio di verdura e frutta che era ormai il mestiere della maggior parte dei giovani disoccupati. Era un mestiere pieno di promesse per coloro che sapevano cosa fare o che avevano la fortuna, il coraggio e l’audacia, perchË esso richiedeva il senso dell’avventura e il gusto dei rischi. Karim non sentiva pi˘ nË la disperazione, nË il dolore che l’avevano colpito a causa di quella maledetta lettera. Al contrario la speranza e l’indifferenza erano ritornati nel suo cuore. Sul suo viso si vedeva un sorriso radioso.ù SalutÒ e si sedette per ascoltare. Ma Rabah gli disse:
– Karim, mi dispiace per ieri. Sono stato ammalato e…
– Figurati! Non chiedermi scusa. CiÒ capita a tutti quanti. Poi ho ancora tempo.
Allora Aziz disse:
– Hai sempre la voglia di partire in Italia?
– Si! Oggi ancora pi˘ di tutti i giorni passati!
Sembrava a chi avesse sentito le parole di Karim che esse fossero state tagliate nella roccia! Aveva rinnovato la decisione di partire malgrado l’invidia di Aziz. Aveva preso questa decisione quasi a sfidarlo! E Aziz rispose, nascondendo male il suo dispetto:
– Il Signore ti faciliti nella tua impresa.
– Amen! – disse Karim, Poi gli venne in mente di fargli alcune domande sull’Italia e su Mahdi. Ma Aziz non rispose a nessuna delle domande accontentandosi di aggiungere:
– Non hai ancora ricevuto la lettera?
Karim rispose facendo finta di ignorarla:
– Che lettera?
– Una lettera che Mahdi ti aveva scritto per spiegarti tutte le cose. Ero presente anch’io quando l’ha scritta.
Karim facendo finta di ignorare del tutto questa lettera disse con insistenza:
– No, non ho ricevuto niente.
– Pazienza allora. Aspetta che ti arrivi la lettera.
Poi si mise a ridere. Era una di quelle risate sarcastiche, che non sapeva produrre che un uomo cinico sicuro di sË perchË aveva dalla sua la forza. Karim non rispose alla risata. Rimase taciturno. PensÒ: “Ah! Adesso sono sicuro. E’ lui dunque che ha scritto la lettera! E’ un uomo invidioso. Non ama che gli altri stiano bene. Ma per che cosa dovrebbe invidiarmi? Per un’avventura pericolosa per la mia fortuna di speranza e di danaro e che non mi fa cogliere, in ogni caso, che dolori e sofferenze, fiori di nostalgia e separazione dalla mia famiglia e dai miei amici? Poi aveva la presunzione di essere un santo e che la sua lingua non smettesse quasi mai di pregare Dio. Oppure invoca Dio perchË gli dia la grazia di essere superiore agli altri.
– Che c’Ë? PerchË taci? Non ti dirÒ niente. PerchË la lettera ti dirà tutto. Heh!
Aziz disse questo per fare piacere a Karim che gli sembrava non contento nel suo silenzio.
– Come vuoi – aveva commentato Karim. Aziz gettÒ uno sguardo verso Rabah e aggiuse:
– Devo andarmene. Poi si alzÒ, pagÒ il caffË e uscÌ.
Karim lo paragonava ad alcune specie di animali antartici o polari, e pi˘ precisamente ai pinguini. Aveva un tronco gigante, sorretto da 2 gambe forti ma corte. Quando camminava sembrava che andasse con il suo pesante corpo, non colle gambe. Poi siccome i suoi passi erano corti, lo si vedeva, mentre si sforzava di affrettare per non sembrare lento, strascinare. Era scuro di carnagione. I suoi occhi erano esageratamente esorbitanti. Aveva una fronte stretta e alta. I suoi capelli erano di colore nero. Erano corti e ricci. Le sue guance erano piene e cosÌ il suo collo. I due incisivi della mascella di sopra erano lunghi e facevano pensare ad alcuni animali roditori. Ma questa bruttezza pronunciata sembrava non colpire proprio niente della sua audacia e della sua fiducia in sË e del suo lodarsi, come se fosse pi˘ perfetto del disco del sole. Ecco! Era proprio questo che rendeva Karim ancora pi˘ adirato. Egli lo detestava per la sua bruttezza. Ma l’invidiava perÒ per alcune qualità morali che gli mancavano e di cui aveva bisogno, la fiducia in sË per esempio. L’odiava soprattutto perchË Aziz era riuscito dove lui aveva fallito! Aziz aveva visitato parecchi paesi europei: la Francia pi˘ di 6 volte; aveva vissuto pi˘ di un anno in Svizzera; aveva visitato l’Italia pi˘ di 5 volte e la Spagna 2 volte! Andare in Tunisia e in Marocco per lui era pi˘ semplice che bere l’acqua. Mentre Karim non era uscito dal suo paese che tre volte: una volta in Tunisia, un’altra in Marocco e un’ultima in Francia. Inoltre eccolo esitare, temere di partire come se stesse andando verso la morte! Quando Aziz uscÌ, Karim si girÒ verso Rabah e cominciÒ a raccontargli la storia della lettera. Quando ebbe finito gli disse:
– Non ti pare dopo tutto ciÒ che sia stato Aziz l’istigatore, anzi l’autore?
– Senza dubbio. Se avessi visto l’accoglienza che ci ha riservato quando l’abbiamo incontrato, io e Mahdi, a Milano, tu avresti desiderato che fosse sgozzato e che il suo sangue venisse bevuto. Non ci ha neanche ospitato. Non ci ha aiutato neppure a conoscere Milano e le diverse vie, i modi di vita in questa città. Non voleva che entrassimo alla moschea “perchË”, diceva, “siete impuri”, dal momento che non facevamo la preghiera. Preferiva gli stranieri a noi. Li invitava a magiare con lui, a bere il caffË mentre noi eravamo costretti ad andare alla Chiesa. PerchË sono qui? E’ colpa sua. Se non fosse stato per la sua cattiva natura sarei rimasto in Italia. Un giorno la polizia ha fatto lo sgombero in “El Kherba” il luogo dove dormivamo, una casa abbandonata. Eravamo tutti immigrati clandestini. Tutti quanti, salvo noi due, io e Mahdi, non avevano nessun documento che permettesse alla polizia di identificarli. SÌ, salvo noi due. Non potevamo nascondere i nostri documenti perchË non conoscevamo quel servizio che la Chiesa aveva aperto per aiutare i senza dimora nel preservare i loro oggetti di valore e i loro documenti. Aziz lo sapeva, lui. Ma non voleva mostrarci niente. Il colmo di tutto ciÒ fu che quando i poliziotti ci chiesero la nostra identità, che avevamo tentato di nascondere, lui rivelÒ a loro chi eravamo e che avevamo i passaporti. Abbiamo dovuto tirar fuori i nostri documenti. La polizia, poi, ci ha condotto in questura, ci hanno fotografati, hanno preso le nostre impronte e ci hanno dato, come sai i fogli di via. Dovevamo uscire dall’Italia entro 15 giorni. Fu Aziz a procurarci questo. La polizia ci ha umiliato. Non dimenticherÒ mai quella umiliazione. E tutto per colpa di Aziz.” Karim non trovÒ nulla da dire su questo racconto di Rabah. Era preoccupato per la famosa lettera. Disse:
– Anch’io non credo che l’abbia scritta Mahdi. Poi mi rassicurerei – se fosse scritto sul tavolo del mio destino che andrÒ a Milano. Mahdi non scrive in francese. Non amava quella lingua. Se fosse stato lui l’autore della lettera l’avrebbe scritta in arabo. Invece Aziz non ama scivere in arabo nonostante lo conosca bene, perchË lui non vuole sembrare arabo, come sai. Le sue qualità morali sono pi˘ brutte della sua fisionomia. Ecco perchË io l’odio.
– Ed io? Pensi che lo ami? Nooo! Mi vedi con lui solo per ragioni di commercio.
– Non mi sarei mai seduto a parlare se non ti avessi visto con lui.
– Heh? Sei pronto?
– Come no? Penso di esser pronto già da molti anni.
– Da molti anni?
– Si, avevo deciso di vivere in Europa o in America fin da quando ero bambino.
– Hai già prenotato il biglietto d’aereo?
– Si per sabato 6 novembre. Non mi manca che il conto corrente della banca.
– Hai 2000 franchi francesi?
– Si.
– Perfetto andiamo a casa mia per darti gli altri mille franchi.
Karim prese i soldi, il passaporto, il numero del conto di Rabah; lo ringraziÒ e se ne andÒ in banca. Mise tutta la sua fortuna in “devise” sul conto corrente di Rabah. Lo fece non senza la paura che questi glieli “fregasse” e lui rimanesse senza niente perchË tutto ormai era sotto il nome di Rabah. Non poteva ritirare i suoi soldi senza il consenso di questi. Ma non aveva altra scelta. Se aveva accettato d’avventurarsi e di rischiare la sua vita per riuscire nel viaggio doveva accettare che l’avventura iniziasse già fin dall’inizio. PerciÒ aveva deciso di fidarsi di Rabah. E’ veramente grande la fiducia di chi suppone che una persona giochi tutta la sua fortuna. Rabah non l’accompagnÒ quel giorno, ma promise che l’avrebbe fatto il giorno dopo per ritirare i soldi.
Capitolo X
Il giorno seguente Karim uscÌ presto, prima che la banca aprisse le porte e cominciÒ ad aspettare Rabah che era andato come al solito all’ortomercato. Quella notte aveva dormito poco. Aveva sognato molto e con quegli incubi che spesso invadono l’uomo quando si trova in procinto di prendere una decisione di grande importanza. Chissà! Magari quei sogni erano abbozzi e schizzi diversi delle decisioni che stava elaborando! Tutto quello che gli era apparso nei sogni “chimeriques” era diventato una realtà tangibile. Non sapeva fino a qualche giorno prima che il suo viaggio sarebbe avvenuto di lÌ a qualche giorno. Certo egli desiderava molto partire. Ma sperava paradossalmente che qualche miracolo avvenisse per trattenerlo al suo paese. Gli dispiaceva molto vedersi costretto a partire e lasciare dietro di lui, la sua famiglia, i suoi amici, tutti i suoi ricordi, tutti i luoghi di cui si era abituato. Gli faceva molto male non sentire pi˘ i respiri del suo paese, i suoi profumi e i suoi sorrisi. Rimpiangeva soprattutto i preziosi libri della letteratura araba moderna. Ormai montagne e mari l’avrebbero separato da tutte queste meraviglie. Il colmo era l’idea di lasciare tutto per sempre. Aveva anche paura. Chissà? Magari l’aereo che l’avrebbe portato avrebbe fatto “Krach”. Sarebbe potuto accadere che egli fosse morto di fame e freddo. Avrebbe potuto essere ucciso da un mafioso. Aveva sentito dire che l’Italia era il paese della mafia e dei crimini organizzati, che gli italiani non avevano nË fede nË legge, e che l’Europa e l’America del Nord sono la patria della violenza e dell’assassinio. Poi, era sicuro che avrebbe potuto trovare un lavoro che gli permettesse di avere la somma necessaria per l’iscrizione in un’università occidentale? Talvolta pensava che se egli desiderava andare in Europa ciÒ era dovuto al solo scopo di avere un dottorato e tornare al suo paese, insegnare in una Università la filosofia e la scienza che avrebbe imparato dagli occidentali. Tutte queste preoccupazioni gli avevano procurato l’insonnia la notte. La sua speranza di riuscire era tuttavia pi˘ vigorosa perciÒ pareva pi˘ sveglio e pi˘ forte nonostante l’insonnia e nonostante si fosse svegliato pi˘ presto del solito. Erano passate le undici, ma Rabah non arrivava ancora. La banca chiudeva alle due. Karim era un po’ inquieto. Ma non disperava, perÒ. Aspettava sempre, pur stando nel caffË. Quando spuntarono le 13,30 entrÒ Rabah. Vide Karim e si diresse verso di lui. Questi, con calma, nonostante la tensione, il fastidio e la stanchezza dell’attesa, disse:
– Dove sei stato? Ti ho aspettato molto!
Rabah aggrottÒ le sopracciglia, chiuse a metà i suoi occhi e disse con aria stupefatta:
– Mi aspettavi? PerchÈ?
– La banca.
– Ah! disse Rabah, picchiando la sua fronte con il palmo della mano, come castigando quella testa che aveva dimenticato una cosa importante! E aggiunse scusandosi:
– Ho dimenticato. “Come se fossi morto”. Andiamoci subito. Facciamo in tempo?
– Non credo. La banca chiude alle 2. Sono già le due meno cinque.
– Allora ci andremo domani. Non abbiamo altra scelta comunque. Sono tornato presto dal mercato, ma ho dimenticato del tutto il nostro appuntamento. Scusami fratello mio. Mi dispiace.
– Non c’Ë di che! “Áa n’empeche pas d’exister”- commentÒ Karim in francese aggiungendo poi:
– Ho molto tempo. Tutt’un mese.
– Ti prometto che domani sarÒ qui fin dalle nove del mattino perchÈ non andrÒ al mercato.
– Perfetto. A domani allora?
– Si, a domani.
Karim si alzÒ per partire, Rabah gli propose di bere un caffË. Karim rifiutÒ, tuttavia, con la scusa che non aveva ancora mangiato niente. Poi andÒ via in fretta. In fondo Karim non provava contrarietà. Forse avrebbe preferito che tutte le condizioni gli impedissero di partire e quindi gli sarebbe stato risparmiato il dolore della separazione, questa “piccola morte”. Ma come gli sarebbe stato possibile? Era condannato a partire! E soprattutto quando aveva saputo che alcuni suoi amici erano al corrente del suo viaggio imminente. Non c’era pi˘ possibilità di esitare. Perfino suo padre voleva che egli partisse fintanto che c’era quell’amico che si proponeva d’accoglierlo e d’aiutarlo. TornÒ a casa sua. PranzÒ in fretta ed uscÌ. AndÒ alla biblioteca comunale. EntrÒ per non andar via che alla chiusura. Stava seguendo la lettura dei “fratelli Karamazov”. Non voleva prendere in prestito quel libro perchÈ aveva già da leggere altro a casa sua. La sera, quando la famiglia si radunÒ per cenare, Karim non era ancora tornato. L’argomento della loro conversazione fu sul viaggio di Karim. Ad alcuni membri della famiglia l’idea del viaggio di Karim piaceva, ma ad altri spiaceva; i suoi fratelli maschi erano a favore. Sognavano l’Europa. Anche sua sorella era d’accordo, ma lo metteva in guardia dallo sposare una donna italiana. Il padre voleva che suo figlio diventasse come gli altri emigrati, abbastanza ricco. CosÌ gli avrebbe dato soldi per avviare un commercio, comprare una macchina e fare il pellegrinaggio ai luoghi santi dell’Islam. Suo padre era orfano ed era vissuto in povertà. Appena si era sentito maturo aveva costruito una famiglia. Aveva usato la sua giovent˘ e quello che gli rimaneva da vivere servendo la sua famiglia. Voleva che i suoi figli non vivessero nella miseria e nella povertà. La sua accondiscendenza alla avventura di Karim era dettata dalla speranza che suo figlio non sarebbe tornato senza aver conseguito un po’ di fortuna! L’unico componente che era contrario e che aveva qualificato il progetto come una follia era sua madre. Non era stata pi˘ bene fin da quando aveva sentito della prossima partenza del figlio. Quante volte aveva tentato di dissuaderlo e rimetterlo sulla “buona” strada! Ma Karim non voleva saperne niente. Non voleva accettare i suoi consigli. La poverina! Pensava che suo figlio fosse stato costretto a prendere questa decisione solo perchÈ aveva perso il suo posto di lavoro. “PerchÈ non stai con noi? Preferisci la vita nella gorba lontano dai tuoi? Preferisci altra gente alla tua famiglia e ai tuoi amici? PerchÈ non stai con noi? La misericordia di Allah Ë grande. Prova a trovarti un altro lavoro. Troverai un buon lavoro che ti andrà bene, sono sicura. Sei grande adesso. Hai già passato i 30 anni. Non hai pi˘ l’età per fare delle avventure e mettere in pericolo il tuo avvenire. Poi voglio vedere i tuoi figli prima di morire. Non vedi che sono già vecchia? Quanto tempo ho ancora da vivere? Pochissimo! SarÒ costretta a vivere senza di te e morire senza vederti?” Ripeteva spesso questo genere di discorsi mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime della sofferenza e si arrossavano dei dolori della separazione vicina. Anche lei era cresciuta orfana, povera e oppressa. La sua madrina l’aveva fatta sposare contro la sua volontà, per sbarazzarsi di lei. Aveva non pi˘ di 15 anni quando era diventata moglie. Ma ciÒ nonostante era rimasta contenta. Aveva trovato nel matrimonio un riparo e un rifugio per sfuggire ai maltrattamenti che riceveva da quella megera, dal cuore di diamante. Ma il destino le nascondeva altre sofferenze e altri dolori che non si era mai immaginato prima. Per quattro anni non era riuscito ad avere figli! Suo marito era sul punto di divorziare. Anzi era sul punto di prendere un’altra sposa. Alcune delle sue conoscenze pensavano perfino che il marito fosse sposato ad una seconda donna. In tutti quegli anni la sua anima era stata un teatro di grandi dolori e sofferenze. Quante volte il marito l’aveva picchiata. Egli era tanto pi˘ geloso quanto lei era pi˘ bella. PerciÒ era feroce. Si diceva anche che se non fosse stato per la sua graziosissima bellezza, la sua madrina non l’avrebbe trattata come aveva fatto, perchÈ lei era gelosa. Non voleva condividere con la figliastra l’amore col marito. Ma il lato amaro della vita non Ë eterno anche se dura molto. Aveva trovato poi la consolazione per il suo primo nato. Era la sua unica speranza. Era anche l’unica sicurezza per evitare il penoso trattamento del marito e per invitarlo ad avvicinarsi con il suo cuore, per amarla, in altre parole. Ma il suo figlio aveva contratto una pericolosa malattia. Era morto per la sfortuna di sua madre. Tornarono allora i dolori, le sofferenze, la miseria e la disperazione nel cuore di questa donna sfortunata. Ma questa volta il suo utero non era pi˘ avaro nei suoi confronti. Le aveva dato un figlio, poi un altro e un altro e un quarto, e una figlia fino ad arrivare ai 12 maschi e una femmina. In quell’epoca non si vedeva che incinta o in procinto di partorire, o in allattamento. Malgrado tutto ciÒ il bastone di suo marito non aveva lasciato il suo dorso, fino a quando il pi˘ grande dei suoi figli aveva raggiunto i 20 anni di età. Si era indebolita e invecchiata a causa di quel trattamento d’inferno. “Ehe Ë magra la mia vita”- era l’espressione che ella ripeteva di solito, ogni volta che si vedeva costretta a fare un qualsiasi sacrificio e che lei giudicava essere incapace di farlo se non con molte difficoltà! Era quell’espressione che riassumeva la sua miserabile vita. E con quell’espressione tentava di trasmettere al suo figlio, con gran fedeltà, la profondità dei suoi dolori e preoccupazioni. Ma quando si convinse che suo figlio aveva veramente deciso di partire, si arrese e accettÒ non senza gran pena, i fatti compiuti. Aveva pregato Allah perchÈ suo figlio riuscisse nell’impresa. La discussione di quella sera aveva dunque per oggetto la partenza di Karim. La madre non amava che gli altri figli lo incoraggiassero a fare quel viaggio. Aveva paura che egli non tornasse pi˘! Come era accaduto al suo cugino. Se almeno l’avessa lasciata quando era un po’ pi˘ giovane. CosÌ quando sarebbe tornata l’avrebbe trovata ancora in vita. Ma il destino aveva pronunciato la sua sentenza, come diceva il cantante. Il viaggio di Karim non era argomento di conversazione solo per la sua famiglia, lo era anche per lui stesso e il suo amico Fauzi. Si erano incontrati mentre lui uscivano dalla biblioteca. Fauzi fu il primo che incominciÒ a parlare:
– Come stai? Sei pronto?
Karim rispose come se non avesse capito niente:
– Pronto? per che cosa?
– Il viaggio.
– Fra un mese.
– La destinazione?
– L’Italia.
– PerchÈ hai scelto l’Italia? PerchÈ non andare in Francia o in Germania, oppure in Inghilterra ad esempio.
– In questo tempo Ë difficile andare in questi paesi. Le autorità governative impongono condizioni difficilissime. Di fatto impediscono di entrare. Mentre andare in Italia Ë facile.
– Con chi devi andare?
– Da solo.
– Ne deduco che Rabah ha rinunciato.
– Si, ha le sue ragioni, perÒ.
– Ho sentito che Aziz, anche lui, ci vuole andare. PerchÈ non vi accompagnate?
– Non mi ha detto niente. Quando deve partire?
– Boh! Sai che lui non dice mai niente dei suoi segreti a nessuno. E’ geloso ed Ë avaro dei suoi segreti!
– Lo so. Ma chi ti ha detto che lui vuole partire?
– Lui stesso. Non mi nasconde nulla dei suoi affari personali, malgrado la sua gelosia e la sua avarizia.
– Ho deciso di partire, comunque, con o senza Rabah o Aziz o altri.
– Hai ragione. Conta su Allah e vai!
– Fratello mio, ne ho abbastanza di vivere qua. Non avrei voluto lasciare questo paese se non fossi stato costretto a farlo. CiÒ mi dispiace molto.
Discutevano mentre camminavano. Quando arrivarono vicino alla casa di Fauzi si fermarono un attimo. Un attimo in cui avevano cominciato dal viaggio in Italia di Karim per volare in seguito a Gerusalemme, Bagdad e per tornare poi alla Francia e all’America. Parlarono anche del governo e dell’opposizione in Algeria e nei paesi arabi e della democrazia. Fauzi disse, come se stesse facendo il riassunto di tutta la loro conversazione:
– Il nuovo ordine mondiale che la supremazia dell’America ha imposto al mondo, non concerne solo gli arabi ma Ë proprio una specie di strategia globale integrale che ha per obiettivo essenziale il dominio di tutto il mondo per sottometterlo alla sua volontà.
Karim era d’accordo con lui. Ma opponeva:
– Perfino l’Europa Occidentale?
– Si, credi ancora che le sia rimasto qualcosa della sua tradizionale influenza? Ma anche questa potenza Ë ormai obbligata a seguire questo nuovo ordine, diversamente andrebbe incontro a problemi molto consistenti nel suo commercio e nei suoi interessi. Non vedi che nessuna decisione nei rapporti internazionali e perfino nazionali puÒ essere presa senza che siano in accordo con gli Stati Uniti?
– Ma va! Stiamo scherzando? Non mi dire che la decisione dell’ex Presidente della Repubblica e l’assassinio del suo successore entrano nell’ottica del cosiddetto nuovo ordine mondiale?!.
– PerchÈ no? Sai che la Francia ha grandi interessi vitali in Algeria e che l’America ha altri interessi ancora pi˘ vitali in altri paesi nel resto del mondo. Se la Francia fosse danneggiata e impossibilitata a usufruire delle risorse dell’Algeria, dovrebbe far concorrenza all’America sul suo “terreno di caccia”, e l’America non potrebbe accettare facilmente ciÒ. Allora Ë molto meglio per l’America permettere che la Francia si interessi dei casi dell’Algeria e ne difenda i suoi interessi. Eh! E’ la volontà dello zio Sam, questo titano dei tempi moderni, a condizione che la Francia si curi dei suoi interessi.
– Vuoi dire che le dimissioni dell’ex presidente siano state pilotate dalla Francia e cosÌ anche l’assassinio del nuovo?
– Non voglio dire questo. Ma ho solo fatto intendere che tutto quello che non piaceva a Parigi , non poteva aver luogo. Alla Francia non interessa che la direzione del paese sia fatta da X o Y, le basta solo che i suoi interessi rimangano intatti! PerciÒ, se un qualsiasi regime volesse presentarsi e quindi preservare le briciole che rimangono sul tavolo dell’America e dei suo sudditi, occorrerebbe chiedere consigli agli esperti di quelle nazioni e accettare tutto il bene dal male che essi imporrebbero. Vedi l’Egitto per esempio, la Siria e l’Arabia Saudita e le posizioni assunte da questi paesi nella guerra del Golfo. Tutte quante e molti altri paesi arabi hanno dato il loro consenso….
– Hanno capitolato, erano obbligati.. – intervenne Karim togliendo la parola a Fauzi. Ma questi non rimase per nulla perturbato e continuÒ la sua analisi correggendosi:
– Come vuoi, erano obbligati a benedire quella “piccola” operazione chirurgica alla Bush. Quasi tutti i regimi arabi hanno perso qualcosa alla fine? No! Non hanno perso niente! Al contrario si sono avvicinati agli Stati Uniti ancora di pi˘. Hanno provato che erano pronti a collaborare, a essere amici.
Spaventato Karim disse:
– Non hanno perso niente? Ma hanno perso tutto!
– Ehe che cosa hanno perso?
– Prima di tutto la fiducia dei popoli.
– Secondo?
– Secondo ed Ë l’importante, hanno fatto alleanza con le forze cristiane, malgrado si ritengano islamici, per uccidere i mussulmani.
– Hai dimenticato che i mussulmani non sono innocenti dal momento che si uccidono fra di loro?
– ll Kwait Ë una provincia dell’Iraq. La storia dice cosÌ. Poi quella divisione Ë stata opera dei colonizzatori che hanno spezzato la “umma” arabo-mussulmana. Stanno ancora dividendola; la questione dei Kurdi iracheni ad esempio, la divisione del mondo islamico in integralista e moderato..
– Sembra che tu non abbia capito molto della nuova logica geostrategica; la forza Ë con colui che sta in piedi. Impariamo dagli ebrei attraverso la storia. Quando i loro antenati capirono che i mussulmani erano forti vi si allearono. Preferirono allora continuare a vivere fra di loro. Ma quando il bilancino delle potenze si squilibrÒ a scapito dei mussulmani e a favore dei cristiani, afferrarono al volo questa nuova situazione. Si affrettarono a cambiare vestito, ad adattarsi alleandosi colle nuove potenze emergenti. Evitarono i tribunali dell’inquisizione. Sai che questi tribunali furono istituiti per combattere gli ebrei e i mussulmani in Spagna?
Karim non rispose niente, ma Fauzi continuÒ:
– Perfetto. Poi accetteresti che il Marocco invadesse l’Algeria, ad esempio? L’accetteresti? Dimmelo francamente!
– Non accetterei. Ma..
– Ma….Che cosa?
– Ma non sarei mai d’accordo d’essere lo strumento di una qualsivoglia ideologia per fare la guerra agli amici ed essendo alleato ai nemici.
– Anche se questi amici ti avessero dichiarato guerra?
– Anche!
– Sei testardo.
– Inoltre hai visto quel disastro che la cosiddetta operazione chirurgica ha lasciato? Quante migliaia di morti?!
– Gli americani stessi non volevano che le cose arrivassero a quel punto di atrocità e hanno sperato che i responsabili iracheni fossero ragionevoli e che riflettessero un po’ prima che fosse stato troppo tardi per riflettere.
– Pensi che il popolo iracheno sia stato libero quando ha votato per la guerra, pensi che non fosse manipolato e obbligato a prendere le armi e ad invadere il Kwait? Pensa un attimo se la vera democrazia fosse esistita fra gli iracheni e avessero avuto da scegliere fra guerra e pace. Avrebbero forse preferito il loro annientamento e il loro sterminio?
– E allora?
– Allora sono contro la guerra del Golfo.
– Da questo punto di vista hai ragione, perchÈ nel caso gli iracheni fossero i veri responsabili dell’invasione del Kwait, il castigo sarebbe stato della stessa portata del delitto e cosÌ Bush sarebbe un vero giustiziere.
Karim tacque poichÈ non trovava pi˘ parole per commentare. La notte era avanzata ma i due amici stavano ancora discutendo in piedi. Fauzi era un universitario come Karim. Ma era pi˘ giovane. Amava molto l’occidente e specialmente l’american way of life. Si burlava molto di chi pensava che agli arabi rimanessero ancora forze o saggezza o intelligenza. Apprezzava molto l’America per la sua supremazia, per il suo dinamismo. Anzi la santificava! PerciÒ non aveva esitato neppure un attimo a studiare la sua lingua e la sua civiltà quando gliela avevano proposta all’università e malgrado avesse da scegliere a piacimento fra materie artistiche e scientifiche aveva preferito la lingua inglese. La stimava molto. Era tra le rare persone – mentre la guerra del Golfo stava “girando il suo mulino” – a prendere in giro i tifosi del regime di Saddam. Appariva agli occhi della sua famiglia e dei suoi amici un traditore dell’Islam e della comunità mussulmana. Si burlava soprattutto di quelli che affermavano che l’Iraq fosse una grande potenza militare che aveva fatto tremare l’America e i suoi alleati. Sapeva che ciÒ era un’esagerazione dei mass-media. Era un pretesto messo a punto dagli imperialisti per punire l’Iraq e picchiare forte. Ma quello che Fauzi non aveva capito era la posizione di Karim che era opposta a quella che lui si aspettava. In realtà Karim non credeva e non aveva mai creduto che l’Iraq potesse vincere l’America. Ma quando aveva ripensato alla resistenza degli spartani, a quella dei popoli oppressi del Vietnam, dell’Algeria, e quando aveva visto che l’Iraq non mostrava per nulla paura, al di là di ogni realtà, aveva sperato che la vittoria potesse essere dell’Iraq, di questo minuscolo paese che era stato la preda di una decina fra le maggiori superpotenze del XX∞ secolo. Ma temeva allo stesso tempo per l’Iraq. Era convinto che in caso di sconfitta non sarebbe rimasta che quest’espressione “combien desolante” “C’era una volta una nazione che si chiamava Iraq”. Dopo un breve momento di silenzio Fauzi riprese :
– Ma lasciamo la politica ai politici. Dimmi, che cosa senti dopo aver deciso di partire? Hai detto che non saresti tornato che “colla gamba di legno o coi denti d’oro”, come dicevano i nostri anziani dell’Indocina.
– La mia patria Ë dovunque possa vivere. Ho pensato molto a questo viaggio. Non ho nient’altro da fare. Ti confesso che ho una missione, che la mia vita non Ë assurda o inutile. Ho delle grandi ambizioni. Prima di pensare ad emigrare, ho provato a realizzarle nel mio paese. Ma ho visto che non era possibile. Voglio essere un uomo di cultura. Contribuire allo sviluppo della mia società che manca terribilmente di molti elementi di progresso e dei fattori di civiltà. Ho voluto pubblicare alcuni libri ma non ci sono riuscito perchÈ i nostri concittadini non si interessano quasi mai alla vita spirituale. Non leggono.
– Hai ragione. Ho vissuto nell’Università e ho visto che alcuni dei nostri studenti non riescono a scrivere due frasi senza errori! Per quanto poi riguarda il contenuto, meglio non parlarne. Fanno molti errori; non studiano che nel periodo degli esami. Quando passa il momento degli esami li si vede sfaccendati e poltroni, ma felici come pinocchio nel paese dei balocchi.
– A chi devono scrivere dunque i nostri intellettuali?
Fauzi mosse la testa dall’alto in basso e dal basso in alto per dire che condivideva con Karim la dolorosa preoccupazione sulla situazione culturale presso di loro. Non diceva niente. Karim aggiunse:
– Poi se mai riuscirÒ a fare degli studi lÌ, in Europa, la mia cultura personale si arricchirà. Le mie idee diverranno pi˘ sagge e profonde e quindi pi˘ efficienti. Magari, dopo ciÒ, troverÒ delle possibilità per contribuire a cambiare le cose della nazione almeno sul piano delle idee. Una semplice laurea non significa pi˘ niente da noi. Ma la parola “dottore” ha ancora il suo peso e il suo valore. Tutta la gente rispetta e apprezza il dott….
Karim fermÒ il suo discorso perchÈ Fauzi era esploso in una gran risata. Karim era stupito. Disse a Fauzi:
– Ma perchÈ ridi?
– Rido della nostra maniera di rispettare i dottori.
– Non ho capito.
– Ho riso quando mi sono ricordato di quel duro trattamento di cui era oggetto il Dr. R’KIBI. Non era dottore? Non era uno dei cervelli della nazione? PerchÈ Ë stato trattato cosÌ? So che Ë stato in ospedale.
– Adesso ricordo. E’ stato veramente un comportamento vergognoso della nostra polizia. Come mai si permette a un poliziotto di picchiare violentemente una cosÌ grande figura della nostra cultura? Inoltre ciÒ Ë avvenuto sotto i riflettori della televisione. Tutti i cittadini ne sono stati testimoni. Ma tu pensi che tutto ciÒ abbia diminuito il prestigio sociale di R’Kibi? No! Poi le case editrici e i lettori non si fidano che di coloro che conoscono; cioË di quegli autori che per meriti accademici fanno intendere di essere dotati di grande spirito e che detengono la scienza e la saggezza. PerciÒ sono desideroso di correre dietro un alto diploma anche se debbo pagarlo con il resto dei giorni che mi rimangono da vivere.
– Non so se hai ragione. Ma noto solo che la maggior parte dei personaggi della storia, della cultura e della scienza hanno bevuto al calice della gurba, sia per imparare, sia per diffondere le loro idee che per sfuggire ai loro persecutori. Voltaire senza dubbio pensava a questa dura realtà quando consigliava ai filosofi di vivere vicino alle frontiere.
– Senza dubbio!- Disse Karim. Poi tacque.
Fauzi aveva toccato uno dei fili pi˘ sensibili di Karim. Questi provava dentro di sË un sentimento di fierezza e di grandezza. Era felice all’idea d’essere stato paragonato a quei grandi personaggi. Infatti li stimava molto. Spesso si sforzava di imitarli nella loro vita, nelle loro idee, perfino in molti dei loro comportamenti. Questo fatto man mano l’aveva condotto ad allontanarsi dalle tradizioni e dai contenuti della sua cultura. Ma egli si era accorto che era ancora lontano da questo viaggio. Avrebbe potuto non farlo e provava già frustrazione per non essere in grado di raggiungere l’alto livello culturale di questi grandi personaggi. A questo pensiero il suo viso si contrasse. I due amici tacquero. Fauzi si accorse che non avevano pi˘ niente da dirsi; proferÌ una veloce “buona sera”, aprÌ la porta ed entrÒ in casa. Karim s’avviÒ verso la sua. Una buona parte della notte era già passata. Quando Karim entrÒ la famiglia aveva già lasciato il desco e si era dispersa. Come era sua abitudine quando tornava tardi, tirÒ fuori dal frigorifero la cena, la mise sul fuoco e cominciÒ a mangiare mentre il cibo si scaldava. Era molto preoccupato del viaggio che stava intraprendendo. Quello che lo faceva pi˘ temere era l’inverno con il suo freddo. L’inverno del Nord non assomiglia a quello del Sud. Poi pensÒ di non essere capace di legare con gli italiani, perchÈ non sapeva niente su di loro. Si era reso conto della sua ignoranza su quel popolo solo quando aveva letto per la prima volta l’opera di Stendhal: la Certosa di Parma. L’autore aveva usato alcune espressioni in italiano. Non sapeva che la differenza fra il francese e l’italiano fosse cosÌ grande. Fin da allora e benchÈ stesse seguendo alcune lezioni di “berlitz”, incominciÒ a pensare che quella lingua fosse molto difficile per lui. “Ma non fa niente”-diceva-“l’imparerÒ comunque. Poi ci sarà la pratica quotidiana con gli italiani. So che occorrerà fare fatica. Ma come passerÒ il mio tempo: cercando di imparare a capire la gente?”.
Capitolo XI
Aveva deciso di portare con lui alcuni libri. Pensava anche a quello che Mahdi gli aveva detto in una lettera a proposito dell’esistenza di un Centro Culturale francese, poi continuÒ a fantasticare. “Una volta a Milano occorrerebbe comprare necessariamente una tessera d’abbonamento, dico occorrerebbe perchÈ non sono sicuro che questo viaggio avrà luogo. Sposare un’italiana. Certo”. Sapeva secondo le sue informazioni e le sue indagini che nei paesi benestanti il matrimonio era facile. Quanti giovani del suo quartiere si erano sposati con donne francesi! “Basta solo”- diceva ancora Karim a se stesso “basta solo che il pretendente abbia la fiducia in sË e sia fedele a quella che egli ha scelto o da cui Ë stato scelto come socio della sua vita”. Sapeva che l’infedeltà era la bestia nera delle donne occidentali. “PerciÒ non ho da temere. Io non tradirÒ mai mia moglie” – pensava Karim lodandosi, rallegrandosi dei suoi meriti. Poi ripensÒ: “Ma come posso esserne tanto sicuro? Supponendo che riesca a conoscere una donna, che lingua userÒ con lei? L’arabo? Assurdo! Il francese? Ho sentito che gli italiani sono molto fieri della loro lingua. Loro l’usano anche con gli stranieri. CosÌ costringono gli altri ad interessarsi della loro lingua. Chissà? Magari riusciranno in questo modo a diffondere la loro isolata lingua e ristretta rispetto all’inglese, e francese e perfino l’arabo. Comunque bisogna fin da adesso prendere le misure necessarie per conquistare il cuore di una donna. E’ vero che le italiane non assomigliano alle donne algerine. Sono molto diverse le une dalle altre. Le donne italiane sono emancipate da tutti i lacci che legano al passato ancora le consorelle algerine. Ma come fare per combattere la mia timidezza? E’ veramente un handicap!” SospirÒ profondamente all’idea di essersi accorto della sua incapacità di parlare di amore e matrimonio davanti a una donna straniera. Poi riprese i suoi pensieri:” Quando sarÒ in Italia e avrÒ avuto successo, farÒ un annuncio sul giornale. Ma che cosa scriverÒ? Il mio cognome senza nome? No, cosÌ la mia identità sarà nascosta, anzi tronca. Ma se io userÒ il lunghissimo nome della famiglia la gente sarà disturbata. Inoltre sono algerino, arabo e mussulmano, qualità che le vicende della storia contemporanea del mondo islamico ha imbevuto di incultura, di inciviltà, di violenza e di estremismo. Che c’entro io in tutto ciÒ? Non sono responsabile di quello che fanno gli altri. Io sono abbastanza colto, aperto e libero. PerciÒ sono pronto a convivere con quella che avrei scelto o che m’avrebbe scelto. PerchÈ non mandare la mia foto? Si. E’ una bella idea. E’ l’unica soluzione…adesso devo spegnere il gas”- aveva notato che il cibo s’era scaldato troppo. Si rimmerse subito nei suoi pensieri di prima: “Che cosa stavo dicendo? La foto! Si! Ë l’unica soluzione, perchÈ quando le donne le vedono danno subito le loro risposte”. Karim infatti era molto bello, sembrava un tedesco, con i suoi occhi azzurri attorno ai quali c’erano delle ciglia intense che assomigliavano a 2 oasi. Era bello anche con le sue due arcate sopraccigliari. Si sarebbero dette due giovani lune. I suoi capelli erano di seta dorata. Era bello a meraviglia. “Devo precisare la mia altezza e la mia taglia perchÈ la foto non riesce a renderne conto”-pensava-“per quanto riguarda la larghezza delle mie spalle, la foto ne farà l’affare” “allora devo scrivere: algerino di 30 anni, 1,82 di altezza, elevato livello culturale, ama la letteratura, lo sport e i viaggi, cerca donna. Non interessa molto la bellezza e l’età, purchÈ accettabile, seria e amabile” Poi rifaceva, sempre nella sua mente, rettificando il testo: Cerco una donna di non pi˘ di 36 anni” EsitÒ un po’, poi aggiunse: “Cerco donna di 36 anni al pi˘. Preferibilmente conoscenza francese o inglese, residenza italina, indifferente la nazionalità”. CosÌ concludeva la formulazione mentale di quell’annuncio. Era occupato da tali pensieri mentre cenava. Quando ritornÒ a sË si rese conto che aveva finito di mangiare e che era rimasto per un momento in piedi davanti al piatto vuoto. SistemÒ tutte le cose, spense la luce della cucina e si avviÒ verso la sua camera. Era stanco, la schiena gli faceva male. Ciononostante sentiva il desiderio di sfogliare alcuni giornali e di leggere un nuovo capitolo dei “Giorni” che era sul punto di finire. Facendo ciÒ pensava di seguire, essere fedele all’insegnamento di AverroË. Questi non si ricordava di aver mancato di aver letto qualcosa ogni notte della sua vita eccezion fatta per il giorno del suo matrimonio e quello della morte di sua madre. Karim era dunque molto stanco quando si addormentÒ. Si svegliÒ alle 10. Corse al lavandino, lavÒ il viso e uscÌ in fretta. TrovÒ Rabah che lo stava aspettando. Gli chiese scusa d’essere in ritardo. Rabah non era affatto contrariato….disse: Non ho niente da fare, ti stavo aspettando; andiamo. Quando Karim vide Rabah si rassicurÒ e la paura di perdere i suoi soldi si dissipÒ. Rabah era sincero ed onesto da questo punto di vista. Dopo aver ricevuto il denaro Karim si diresse ‘ipso facto’ verso l’agenzia di “Timgad” per depositare il suo dossier che, malgrado la sua fretta nell’uscire, non aveva dimenticato di portare con lui. L’impiegato si assicurÒ che il dossier fosse completo e poi disse:
– Perfetto. Torni mercoledÌ prossimo.
– Domani?
– No, Non domani, ma l’altro.
– Vuol dire fra otto giorni?
– Esattamente.
– Va bene, la saluto.
– Arrivederci.
Karim non voleva parlare a nessuno del suo viaggio imminente, salvo alla sua famiglia e ad alcuni dei suoi amici: Fauzi, Amel, Hascine e Rabah naturalmente. Tutti quanti erano stati pregati di mantenere il segreto. Agli altri amici non aveva detto niente. Poi ciascuno di loro aveva le sue preoccupazioni. Non tornÒ a casa che dopo la preghiera del tramonto. Non aveva mangiato dalla sera precedente e tuttavia il suo stomaco era stato distratto, insensibile alla fame. Aveva passato il pomeriggio nella biblioteca comunale. Tentava di finire “I fratelli Karamazov”. Adesso che era sicuro della partenza voleva liberarsi di tutti i suoi debiti nei confronti degli altri, anche se quel debito fosse stato solo la promessa di leggere un libro. Pensava che mai si era appassionato ad un altro romanziere come lo era per Dostojevski, quel gigante della letteratura. Parlando di debiti gli venne in mente che a un tassista doveva 20 Dinar. “Devo cercarlo fin da domani per pagarlo” disse fra sË.
Capitolo XII
Non avanzava di uno iota nel progetto del viaggio senza mettere suo padre al corrente di ogni tappa come se desiderasse che questi gli benedisse il viaggio. Non aveva sentito nessuna fierezza nonostante l’importanza della vicenda. Al contrario era modesto perchÈ non credeva ancora al cento per cento che egli sarebbe riuscito ad emigrare, anche se fosse riuscito a superare la frontiera. Non poteva immaginarsi capace di rimanere via per lungo tempo. Era questo il motivo per il quale aveva tenuto segreto il suo viaggio. CosÌ se avesse fallito avrebbe potuto risparmiarsi beffe e battute della gente dal cuore spietato. Aveva già avuto un’esperienza del genere prima, quando era tornato dalla Francia. Quasi tutti gli amici che erano al corrente del viaggio l’avevano preso in giro. Vi erano perfino alcuni che dicevano con crudele sarcasmo: Sei proprio uno scemo! Pensi che le università francesi avrebbero accettato nei loro ranghi persone come te? Accanto a un gran dolore morale, aveva sentito allora una gran delusione. Era stato coperto di ridicolo. Era riuscito a fatica a nascondere la sua amarezza. Ma ciÒ che gli aveva arrecato maggiore tristezza era stato l’atteggiamento degli amici. Ne aveva ricavato una lezione importante. La tavola era già pronta quando Karim entrÒ: Sciorba di fric all’agnello, sciaksciuca e spaghetti al tacchinno, bibita gassata, antipasti misti, cosparsi di deliziose olive verdi. Era la cena di una festa religiosa. Forse l’emigrazione del profeta dell’Islam dalla Mecca verso Medina. Queste feste non l’interessavano ormai pi˘. Anzi le aveva dimenticate. Inoltre gli occhi di Karim caddero su un altro piatto: caffË, latte, 2″piattini”, l’uno di zalabia e l’altro di tammina. Ne aveva dedotto che qualcuno della famiglia aveva digiunato in quell’occasione. Erano i suoi genitori e sua sorella. I suoi fratelli non lo facevano di solito. Karim commentÒ sghignazzando:
– Anch’io sono a digiuno. Non ho mangiato da ieri.
– PerchÈ non hai fatto il voto del digiuno? – gli rispose la madre.
– Non puÒ farlo adesso? – disse uno dei fratelli scherzando anche lui.
Il padre intervenne come se la domanda gli fosse indirizzata:
– No, naturalmente, perchÈ colui che digiuna deve formulare la sua intenzione almeno prima del “Doh’r”.
– Per quanto mi riguarda io non ci vedo nessuna differenza – disse il “curioso” e esplose in una grossolana e sconcertante risata al fine di provocare il padre che gli disse:
– Tu non sei neanche capace di fare la differenza fra la vittoria di Saddam e la sconfitta di Bush!
– Hah! Credi ancora che Saddam abbia vinto la guerra?
– Eccezion fatta per lui, ha rialzato la testa degli arabi.
– Forse Ë meglio dire che, salvo lui, ha contribuito ad abbassare la fronte degli arabi!
– Che lingua lunga che hai!
– Quasi tutti gli arabi non sono capaci di scegliere gli alleati. Ti assicuro che se l’Iraq avesse scelto come sostegno gli “States”, egli avrebbe preso il Kwait.
– E gli americani l’Iraq – aveva continuato il padre
– Questi non domandavano nient’altro che di lasciarli vivere.
– Vai! Seguili! PerchÈ sei qua?
– Se avessi avuto la possibilità di andarci non sarei qua.
Poi girÒ il suo sguardo verso Karim e continuÒ:
– Segui il mio consiglio, provati a non tornare pi˘ dall’Europa.
Karim disse con un sorriso calmo:
– Io non dico cosÌ. Direi, anzi, partirÒ solo per uno o due anni. Poi tornerÒ.
– Tu ritorneresti al paese della desolazione? La terra della desolazione? Ma sono i suoi che sono desolati!
– Vuoi dire il popolo?
– Chi altro?
– Lui non puÒ niente, il poverino! Ma i suoi governanti!
– Non ti Ë capitato di cercare di conoscere la biografia dei governanti? Tutti quanti provengono dalla classe paesana o proletaria. Solo che hanno presto dimenticato la loro origine, la loro passata miseria che Ë la stessa del popolo….
Ma il curioso interruppe le parole di Karim come se avesse sentito una qualsiasi colpa.
– Pensi che ci abbiano lasciato delle chance per studiare e imparare? Guarda te stesso. Qual Ë la causa della tua emigrazione? Perfino tu hai confessato che lo scopo dei tuoi sogni Ë la prosecuzione degli studi.
– Si, ho detto questo.
– E allora! PerchÈ non aprono l’Università per coloro che hanno voglia di continuare i loro studi. Spendono immense fortune per cose inutili, per aumentare le loro forze militari, per comperare armi – vecchie armi sfortunatamente – per tenere estenuanti congressi e grandi riunioni sterili, mai niente per le cose serie!
Allora il padre esplose come se avesse trovato l’argomento irrefutabile per affermare la sua posizione. Disse ad alta voce:
– Cerca di trovare risposte dagli americani e dagli europei.
– Che c’entrano l’America e l’Europa?
– Sono i tuoi simili che li hanno preferiti alla loro patria. Ma loro due non tollerano mai che altre nazioni siano loro concorrenti nel campo della scienza e della tecnologia. PerciÒ hanno costretto le loro pedine (i nostri governanti) a chiudere le Università.
– Hanno ragione!
– PerchÈ?
– PerchÈ sono forti.
– Ma va! ma va!
Queste discussioni appassionate succedevano spesso attorno al tavolo quando tutti i membri della famiglia si incontravano tutti insieme. Madre e figlia si occupavano del servizio. Erano aiutate da un maschio. Gli altri ridevano del loro papà o del curioso. Si erano molto divertiti. Uno fra di loro di tanto in tanto lanciava una parola dando ragione al padre o al fratello, a seconda, e cosÌ sul pi˘ bello rilanciava il dibattito. Il gruppo cominciÒ a disperdersi man mano dopo questa cena un po’ calda. Restavano il padre che s’era sdraiato sul fianco centellinando il suo caffË e Karim che era seduto su una vecchia poltrona. La madre era andata a dormire. La ragazza con due bambini stava pulendo la cucina. Karim approfittÒ della calma e disse:
– Ho ricevuto due giorni fa una lettera da Madhi.
– Che cosa ti ha detto?
– Pensavo che Smain te lo avesse detto. E’ cosÌ curioso. E’ stato il primo a leggerla.
– No sai che da molto tempo non comunichiamo proprio?
Karim esitÒ. Era imbarazzato. Riusci, perÒ a dire:
– Era una lettera vuota senza senso. Poi non credo sia stata scritta da Madhi.
– Non mi hai detto di che cosa si tratta – continuÒ suo padre sempre imperturbabile.
– Niente. Solo che—- Poi si interruppe e morsicÒ il suo labbro superiore e aggiunse:
– solo che Madhi ha deciso di tornare in Algeria!
– E allora?
– Naturalmente il mio avvenire non dipende da lui. Ho deciso di partire comunque anche se là non trovassi nessuno che conosco.
– Come vuoi. Ma stai attento che le cose non finiscano male. quando partirai?
– Ah, ho dimenticato di dirtelo. Il 7 novembre. Fra 20 giorni circa.
Il padre tacque, stava pensando. Karim non disse pi˘ niente. Tentava, perÒ, di leggere i pensieri di suo padre. Se gli fosse stato possibile sapere ciÒ che suo padre aveva in mente avrebbe compreso il suo dolore. Il suo viaggio imminente faceva pena a suo padre. Ma questi, come lui ripeteva sempre, aveva vissuto situazioni ancora peggiori. La pi˘ famosa, perchÈ l’aveva sempre presente, era il giorno in cui un soldato francese durante un’operazione di rappresaglia l’aveva fermato e messo in una fossa improvvisata. Aveva diretto la canna del mitra verso di lui come per finirlo. Era sul punto di scaricare l’arma sul suo petto, ma per fortuna un ufficiale glielo aveva impedito. Tutto ciÒ era avvenuto sotto gli occhi di sua moglie e della sua famiglia. Da quella esperienza aveva imparato ad affrontare con coraggio e serenità le prove pi˘ dure della vita. Se aveva sopportato un calvario del genere perchÈ non sarebbe stato capace di sopportare l’allontanamento del figlio? SospirÒ forse perchÈ gli era venuta alla mente qualche altra esperienza di estremo dolore e disse a Karim:
– Che dirti? Mantieni la tua fede, la tua morale, non dimenticare la mamma e i tuoi fratelli e sta attento e sempre sveglio.
Stava dicendo ciÒ mentre i suoi occhi fissavano la tazza del caffË che si era svuotata già da lungo tempo. Karim non rispose niente. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Aveva paura , se avesse detto qualcosa, di piangere proprio e cosÌ suo padre si sarebbe accorto della sua debolezza. Si alzÒ dalla poltrona e se ne andÒ nella sua stanza. Quando passÒ quel momento di sofferenze Karim si sentÌ pi˘ leggero. Si sentÌ calmo e sereno, persino contento. Non sapeva il motivo, la causa di questa euforia. Era stato felice perchÈ aveva riferito a suo padre di quella lettera? Oppure era felice perchÈ aveva capito attraverso quella discussione che suo padre gli aveva permesso di partire, perfino gli aveva benedetto quel viaggio? Forse era felice per tutte e due i fattori. cap.XIII Tutti i giorni della settimana erano diventati a parere di Karim giorni festivi fin da quando aveva smesso di lavorare. Aveva una sorta di vergogna a chiamare lavoro i suoi studi e le letture quotidiane nonostante il serio e nonostante i grandi sforzi intellettuali e anche fisici che richiedevano da lui. Esitava dunque a nominare lavoro un impegno del genere. Ma ciononostante era convinto che solo questo meritava di essere chiamato lavoro, e non quello che faceva prima nella ditta. Fra i due impegni c’era una grande differenza; quest’ultimo era obbligato a farlo ed era quindi costrittivo; quell’altro era libero e piacevole. CosÌ quando uscÌ il mattino dopo non sapeva che quel mercoledÌ era giorno festivo. Aveva visto il suo rione brulicare di gente. Prese “annasr” ed entrÒ nel caffË che era pieno di clienti. Prese un tË ed uscÌ. Fuori c’erano alcuni posti liberi. SpiegÒ il giornale e cominciÒ a sfogliarlo. Era sprofondato nella lettura quando arrivÒ Hascime:
– Buon giorno.
– Ah tu? Buon giorno -rispose Karim che era contento di incontrare il suo amico.
Poi aggiunse:
– Sei venuto allora? Non hai lavorato oggi?
– Stai scherzando?
– No, sono serio.
– E’ la festa di capo d’anno “hegire”.
-Sai bene che per gli “Haitist” tutti i giorni sono festivi, mentre sono giorni di lavoro per gli occupati.
– Mi rendo conto che tu sei diventato uno di loro, usi perfino il loro gergo.
– Non hai visto che sono diventato tale non appena ho smesso di lavorare?
– E il tuo viaggio?
– Arriva.
– Quando? Oppure Ë ancora nell’età dei sogni?
– No questa volta la sua concretizzazione Ë ormai un processo avviato. Sto aspettando il visto. L’agenzia del turismo m’ha promesso che sarà pronto per MercoledÌ prossimo.
– A quando la separazione allora.
– Una o due settimane dopo.
– Non dimenticare di scrivermi
– Il tuo progetto di studi?
– Ne ho abbastanza di aspettare. Sono disperato. Tuttavia ho sentito dire che il direttore si interessa di nuovo ad esso. Speriamo che ciÒ avvenga fra poco.
Prendendo la tazza di te Karim si rese conto dell’amico e disse ad Hascim:
– Che cosa prendi?
– Niente, grazie. Ho già bevuto un caffË.
– Bevi ancora qualcosa, un te, un succo di frutta per esempio.
– PerchÈ non entrare dentro e discutere tranquillamente?
– Il luogo Ë pieno di gente. E’ impossibile trovare un posto. Aspettami, torno subito. Tieni il giornale – aveva detto Karim mentre s’affrettava dentro il caffË. Poi aggiunse:
– Che cosa prendi?
– Come vuoi.
– Allora tË.
– Va bene.
Dopo tre minuti Karim ritornÒ con la tazza di te. Intanto Hascim aveva letto una brevissima notizia in cui si parlava di un tentativo di assassinio del sindaco della città vicina.
– Hai letto? un tentativo di assassinio, aggiunse Hascime dandogli il quotidiano.
– No, non ancora. Ho comperato questo giornale solo perchÈ spero trovarci alcuni studi letterari. Ma dimmi, hanno detto qualcosa a proposito dei responsabili dell’operazione?
– Si dice che un’OAS sta dietro questo fatto. Si dice anche che la polizia abbia trovato la macchina dei protagonisti(?).
Karim voleva sapere di pi˘ e chiese:
– Solo questo?
– Non ti basta tutto ciÒ? Oppure l’amazzare gente Ë diventato qualcosa di accettabile, anzi un’esigenza, un bisogno per soddisfare gli istinti primari?
– Non mi hai capito. Voglio dire che Ë tutto ciÒ che Ë riportato sul giornale.
– Ah! Adesso ho capito. Ma da quando abbiamo un giornalista professionista indipendente?
– Sono d’accordo con te. Il nostro giornalismo Ë nato solo per affermare l’ordine stabilito. Dedica i grandi titoli e le pagine
importanti ai governanti e alle persone potenti. Dire che la nostra politica d’informazione rispecchia la realtà, non Ë proprio vero.
– Qual Ë a tuo parere il ruolo dell’informazione?
– Ascolta, io vedo cosÌ le cose: L’informazione consiste nell’informare i cittadini di tutto quello che avviene attorno a loro, in maniera oggettiva e fedele. I giornalisti hanno il diritto inviolabile, il dovere di partecipare colle loro idee di rappresentare gli affari e interessi comuni e dare ai cittadini l’occasione di esprimere la loro opinione e le loro proposte sui problemi pi˘ importanti e nevralgici.
– Problemi nevralgici? Non ho capito, Che cosa credi di dire?
– Fino a quando devo spiegarti tutti i concetti. Problemi nevralgici….i grandi problemi, ad esempio, non so…ad esempio l’annullamento delle votazioni. Hai mai sentito, letto che un giornale abbia condannato questo misfatto? Certo no! Al contrario quasi tutti i giornali hanno benedetto, tranne quelli di opposizione, quell’assassinio orribile delle aspirazioni di tutt’un popolo che ha scelto d’essere libero di propria volontà. E guarda per esempio la successione dei Presidenti del governo fin dal terremoto popolare dell’Ottobre ’88. Finora 4 primi ministri hanno presieduto il governo. Ogni volta che un ministro parte e viene rimpiazzato da un altro, i nostri mass-media s’affrettano a maledire il primo e a benedire il secondo lodandolo. E’ la storia di “le roi est mort, vive le roi”. E’ proprio una tragedia degna del medioevo europeo. Riconosco, purtroppo, che la denuncia dei mass- media non avrebbe potuto cambiare niente nel corso delle cose. Pensi che i cosiddetti dimissionati-despoti siano stati davvero allontanati dal potere? Pensi che loro siano usciti fuori dalla scacchiera del governo? No, ciascuno costituisce una parte del tutto. Assomigliano a una “troupe” teatrale. Ognuno di loro ha un suo ruolo ben definito che a lui tocca interpretare. Quando arriva il suo turno, egli esce da dietro le quinte per giocare alcune delle sequenze fino a che non finisce. Poi torna nell’ombra per osservare il resto dello spettacolo, e cosÌ via. L’attore-governatore se gli capita di essere nascosto, non vuol dire che Ë stato ormai definitivamente allontanato o che non puÒ pi˘ servire . CosÌ Ë la nostra politica. Abbiamo visto gente che era stata scartata proprio dal potere, 30 anni prima circa; poi Ë tornata ed Ë rientrata al potere “Par ses grandes portes”. Il caso di quest’ultimo premier che Ë stato designato ambasciatore a Parigi. Senza dubbio ne hai sentito qualcosa?
– Si dice che quando gli Ë stato proposto l’incarico dal governo, abbia accettato a condizione d’essere pagato in Franchi francesi!
– Si dice? Ma io ho letto questa notizia su “le soir d’Algerie”! con questi miei occhi – esplose Karim accennando ai suoi occhi con ira.
– Che cosa c’Ë da arrabbiarsi? Stiamo solo parlando. Pensi che si possa fare qualcosa?
– Hai ragione, in queste circostanze no. Rispose Karim con calma, dopo aver sentito il sangue bollire nelle sue vene.
Hascime non smise di provocarlo con un’altra spinosa domanda mentre rideva in cuor suo.
– Non hai detto niente sulla manipolazione della opinione generale.
– Non ho capito?
– PuÒ darsi che quello che hai letto o sentito finora non era nient’altro che una maschera dei mass-media, gestita da forze occulte, i cui interessi si trovano nella separazione fra popolo e governanti?
– 26 miliardi di dollari rubati! 26 miliardi di debiti che pesano sulle spalle di tutti gli algerini! Non vedi che tutte le risorse del paese sono state ipotecate? Oggi l’Algeria Ë una preda facile agli occhi del nemico di ieri! PerchÈ sono morti 1 milione e mezzo di cittadini? PerchÈ il resto del popolo ha sofferto le torture, la fame, l’ignoranza, l’oppressione protrattesi per intere decadi? PerchÈ sangue e lacrime si sono versati a fiume? PerchÈ? Per offrire la nostra cara patria in un “piatto” di dollari a coloro che ci hanno uccisi, esiliati, sparpagliati , a coloro che hanno fatto degli algerini un popolo ignorante, snaturando la nostra cultura, e che hanno voluto farci dimenticare la nostra identità e la nostra personalità? Purtroppo ci sono riusciti.
– Non sapevo che avessi vecchia ideologia, vecchi pensieri?
– Se il patriottismo fosse un segno dell’epoca paleotica, allora io sono un uomo delle caverne. Si! PerchÈ no? Ma tuttavia riconosco che la nostra situazione Ë zoppicante. CiÒ mi fa pena e mi dispiace molto.
– Per quanto mi riguarda non mi curo molto di ciÒ che ti ha fatto arrabbiare molto.
– Non Ë una cosa straordinaria! Se tutti quanti ci interessassimo della nostra casa come se fosse un uomo unico, il paese non sarebbe arrivato a questo stato di mediocrità. Il peggio Ë che questo stato di cose continua a crescere , forse non migliorerà molto anche dopo generazioni e generazioni!
– Dunque sarebbe meglio preservare ciÒ che abbiamo nelle mani.
– Un’altra volta, hai ragione. Contentiamoci di quello che Ë rimasto. Ma teniamolo bene, perÒ.
Karim e Hascime avevano finito di bere da molto tempo, ma erano preoccupati della loro discussione. Non si mossero dal loro posto. Alcuni amici di Karim erano presenti a quel dibattito un po’ caloroso, ma avevano preferito stare zitti, ascoltavano gli universitari mentre analizzavano la strategia politica e sociale del paese. L’argomento era esaurito. Karim cambiÒ disco dicendo ad Hascime:
– Se tu fossi arrivato in ritardo di qualche minuto non mi avresti trovato.
– PerchÈ, dove saresti andato?
– Allo stadio. Ho deciso di riprendere il mio jogging.
– Ah pensavo che tu andassi ad Annaba.
PerchÈ sarei dovuto andare ad Annaba? -disse Karim meravigliato
– Da Meissa.
– Lo ricordi ancora? Io, invece, l’ho dimenticata da tempo. Ti ricordi il giorno in cui ti ho detto che ero andato a vederla?
– Si quel giorno in cui hai notato che ti aveva accolto in maniera pi˘ fredda del solito.
– Appunto fin da quel giorno ho sentito come la mia anima cominciasse ad averne abbastanza. Ne ho conosciuto un’altra.
– Davvero? Chi ti conosce superficialmente pensa che tu non sia capace neppure di guardare nella schiena di una donna.
– Ma sono perplesso. Ormai Ë difficile per me lasciarla.
– Lasciare chi? La prima o la nuova?
– Ti ho detto che non penso pi˘ alla prima. Non ho pi˘ voglia di lei.
– PerchÈ t’Ë difficile lasciarla? Non mi hai detto il suo nome.
– Amel Ë il suo nome. Lavora, abita a “Belle-vue”. Penso che mi ami davvero. I suoi occhi erano pieni di lacrime quando le ho detto che sono sul punto di partire in Italia. Non ho altre scelte. Le ho fatto comprendere che se sarà “seria” io ritornerÒ dopo uno o due anni per sposarla. Non mi ha creduto. Karim cominciÒ a confidare questi segreti ad Hascime, mentre si dirigevano verso la riva erbosa del fiume verso cui si recavano spesso ogniqualvolta si incontrava con lui. In quel giorno il sole era radioso e la temperatura splendida. Per questo fatto scelsero la riva del fiume. Parlarono molto in quel giorno anche del progetto di ricerca di Hascime. Karim parlÒ di poesia e di critica letteraria. Rimasero a parlare fino alle 2 del pomeriggio. Al ritorno entrarono in una trattoria, era ancora aperta, per fare colazione. PagÒ non senza mercanteggiare. Poi si separarono. L'”au revoir” fu un po’ solenne soprattutto quando salutando il suo amico Karim disse: Arrivederci amico mio- forse non ci incontreremo mai pi˘! Per quanto riguarda le tue cassette e i tuoi libri li troverai da Ismail, mio fratello, e per le mie cose che sono da te, prendine cura fino al mio ritorno dall’Europa, se mai ritornerÒ.
– No! Dovremmo incontrarci ancora prima che tu parta. Comunque ti saluto.
Si abbracciarono, poi ciascuno partÌ per la sua strada. cap. XIV
Karim passÒ tutta la settimana successiva in un’attività intellettuale intensa, tra la lettura e la scrittura. Era anche preoccupato della sua situazione presente. Era stupito. Parlava di rado. Lo si vide spesso muto, quasi fosse mentalmente assente. In una di quelle notti chiare uscÌ per una passeggiata verso il fiume, sotto il debole e sereno chiaro della luna. Sentiva delle turbolenze e dei disturbi malgrado paresse calmo al vederlo. Fu per questo che uscÌ a cercare pace e serenità per la sua anima. Non faceva freddo, si era messo ugualmente la giacca di pelle. Camminava tra i pioppi lungo la riva del fiume. Questo scorreva risplendendo come le pietre di diamante sparpagliate dal ricco che non teme la povertà. Riempiva i suoi polmoni con la vivificante brezza notturna ripiena di vari profumi di erba e di piante autunnali. Di tanto in tanto, un usignolo rompeva il silenzio della notte, cantando alcune affascinanti melodie nelle quali era imbattibile. Era una splendida notte. Non pensava a niente di particolare. Era preoccupato, stupefatto della bellezza di un tale panorama. Le sue idee erano vaghe e assomigliavano ai fiotti di brezza di quella notte serena. Erano queste idee che di tanto in tanto lo richiamavano a prendere coscienza di sË. Allora pensava: Non vedrÒ la prossima luna che in Italia. Senza dubbio là la natura Ë ancora pi˘ bella. I fiumi scorrono in tutti i luoghi. Il verde non si separa mai dalla natura. Ma riuscirÒ a trovare con questa pulizia il cielo del Nord? PerchÈ no?. Quando ero in Francia, ho visto una nitidezza come quella del nostro cielo. Anzi maggiore di questa, perchÈ lÌ la pioggia pulisce sempre lo spazio del cielo e lo sbarazza di aerosol. Ma l’Italia non Ë come la Francia. No! Sono sugli stessi paralleli. Allora vedrÒ di nuovo quello che avevo pensato che non avrei mai pi˘ rivisto? Sentiva un po’ di calore che gli stava invadendo il viso. Cominciava da dietro le sue orecchia e poi si stendeva oltre le guance per coprire tutto il viso. Sentiva che i battiti del suo cuore aumentavano il loro ritmo. Soffocava. AspirÒ una grande quantità di aria, poi la espirÒ. RipetË l’operazione due volte. Si era distratto per un breve momento da ciÒ che stava pensando. Ma non tardÒ a tornare ai suoi pensieri quando si sentÌ meglio. “Se Ë scritto che devo stabilirmi in Italia farÒ tutto quello che ho voglia di fare”. Si fermÒ, per non fare rumore. aveva paura di disturbare un usignolo che lanciava nell’aria in quel preciso momento una splendida melodia. Gli piaceva molto sentire gli uccelli. Aveva ripreso il suo cammino. Andava adagio, sempre per non disturbare il cantate della splendida notte. TornÒ anche ai suoi pensieri, ai suoi sogni: Là realizzerÒ tutti i miei desideri. Nei paesi ricchi ci sono molte occasioni. Basta solo che la persona sappia sfruttarle. Noi non siamo come gli italiani o i francesi. No, noi siamo diversi. Invece loro hanno esaurito tutti i loro voti e stanno adesso cercando quello che non hanno raggiunto ancora. Non Ë ,perÒ, che ne hanno abbastanza di tutto! No, ma la loro anima Ë pi˘ grande dei loro beni. Invece noi..Ma anche la nostra anima Ë pi˘ grande dei nostri beni. Le nostre ricchezze non valgono niente in confronto alle loro. E’ meglio per noi visto che stiamo sempre cercando quello che rimane sui tavoli degli altri; non avremo mai dei concorrenti, da questo lato siamo tranquilli. Ma questo non Ë mediocrità, bassezza? Non credo. Anche loro hanno fatto come noi, quando i loro antenati del medioevo hanno voluto risuscitare la gloria della Roma antica. Hanno fatto parecchie guerre per fare in modo che l’Europa approfittasse della civiltà che illuminava le terre degli arabi e dei mussulmani. S’era allontanato molto da casa sua. Mezzanotte era già passata.
Karim se n’era accorto. Decise di tornare. Ma le sue idee o i suoi sogni di prima tornavano alla coscienza e con maggiore forza. Era talmente preoccupato che sentiva appena quel clamoroso concerto che gli “abitanti” del fiume avevano fatto a suo onore! Diceva dentro di sË come se fosse in uno stato di ebrezza: ImparerÒ la lingua. ProverÒ a trovare un lavoro come corrispondente con alcuni giornali. La materia non mi mancherà: la nostra cultura, la nostra storia; la nostra situazione politica presente, la nostra rivoluzione, la nostra letteratura, le nostre canzoni, la nostra religione. Tutto ciÒ potrebbe costituire la materia o uno dei fattori che costituisce il dialogo tra le civiltà e l’avvicinamento e la comprensione tra le culture diverse del mondo. Questi argomenti, inoltre, sono recenti, moderni. (Da questa parte) non temo di presentare ai miei ospitanti argomenti vecchi e cose già conosciute. Ma innanzitutto devo riuscire a passare le frontiere, poi dopo a stabilirmi in Italia. PerciÒ sono pronto a trattare, persino col diavolo, berrei il vino, dormirei con le prostitute, se ciÒ occorresse, smetterei di pregare anche, mangerei carne di maiale, sopporterei fame, freddo e fatica. sarei pronto ad accettare diverse umiliazioni, purchË non torni con le mani vuote, purchË non fallisca. La disavventura della Francia non deve ripetersi, neppure le beffe della gente”. Camminava a passi pesanti, col petto prominente. I suoi occhi fissavano a volte il luogo per vedere dove mettere i suoi piedi per non cadere, a volte guardava la luna per godere la sua meravigliosa luce anche se debole, e a volte guardava a destra e sinistra per poter svelare i segreti dei rumori delle tenebre. Mentre camminava il suo sguardo cadde su qulacosa che scintillava di un colore rosso, dall’altra parte della riva del fiume, vicino al ponteggio di legno. Si affrettÒ un po’. Guardava pi˘ da vicino quel punto rosso che brillava sotto l’ombra scura degli alberi. Era una sigaretta nella mano di una persona. PassÒ il ponte, gli si avvicinÒ e salutÒ. Quando ebbe ricevuto la risposta scoprÌ dal timbro della voce che era “Geha” Contento dell’incontro disse:
– Sei tu?
– Tu sai. Amo la solitudine. “Un genio Ë meglio che mille persone”!
– Hai ragione. ma che cosa fai a quest’ora? Sei venuto per pescare? Dov’Ë la canna da pesca? – scherzÒ Karim.
Ma Geha rideva di Karim che non era capace di indovinare il motivo segreto della sua presenza a quell’ora della notte e in quel luogo deserto. Diceva continuando a ridere:
– Sono venuto, hih, hih, hih, per sentire l’usignolo.
– Hai fatto bene. Anche a me piace molto la sua soave voce.
– Non sei per caso tu che hai fatto venire questi usignoli?
Avendo capito cosa volesse Karim, Geha rispose come se non avesse capito.
– Ma come Ë possibile per me farli venire?
– Non voglio dire che tu li hai portati in gabbia, ma li hai chiamati.
– Come sarebbe possibile? Hai sentito qualche appello? – disse Geha cercando con fatica di nasconedere il suo sorriso di trionfo.
– Non fare finta, dai. Sai di che cosa sto parlando.
– Ah! No. Niente. Ti giuro.
– Non nascondere niente. Dimmi la verità.
Geha rideva di pi˘, perchË si inorgogliva, poi riconobbe quello che sapeva, anzi ciÒ che sospettava Karim. Questi disse:
– Allora ecco perchË si erano moltiplicati i canti degli uccelli.
Geha e parecchi dei suoi amici (la gente di Diwan) credevano che quando gli usignoli sentono l’odore della “Zetla” arrivano e si pongono sugli alberi sotto i quali si trovano i fumatori di hascish, o vicino a loro. Continuano a cantare fino a quando non c’Ë pi˘ odore di “zetla”. Ma questa sera con Geha c’erano solo sigarette normali “HOGGAR”. Malgrado Karim lo sapesse, Geha voleva apparire come uno della gente di Diwan. Gli bastava quell’onore! Voleva appartenere alla “Rodjla” cosÌ come si chiamavano. Lo scherzo con Geha non durÒ pi˘ di questo. Karim salutÒ poi andÒ via. Erano le due quando Karim entrÒ nella sua camera. Non voleva dormire subito. Prese il libro di Omar el Khyam e cominciÒ a leggere per la quinta volta i celebri quartetti. Non smise che qunado ebbe finito di leggere tutto il fascicolo. Poi dormÌ per non svegliarsi che dopo mezzogiorno. Non ci fu dunque nessuna novità nella sua vita rispetto alla settimana precedente tranne quella passeggiata notturna che aveva rifornito la sua turbata anima con un po’ di calma e serenità. Quando arrivÒ il mercoledÌ dell’appuntamento egli si recÒ all’agenzia “Timgad”. Prese il suo dossier. Il consolato italiano gli aveva accordato un visto turistico di 10 giorni. Non gli importava molto. Mise il dossier in una borsetta che aveva portato per la circostanza e tornÒ a casa. GiudicÒ utile informare suo padre e i suoi fratelli. Insisteva per la seconda volta su questi, perchË non divulgassero il segreto. Che cosa gli rimaneva da fare? Era pronto. Non aspettava che la venuta del settimo giorno del mese successivo che stava per iniziare di li a pochi giorni. Ormai Karim cominciava a pensare seriamente alla partenza. CominciÒ a restituire i libri, che aveva preso in prestito da alcuni amici e dalla biblioteca del comune. Aveva anche ricuperato i suoi libri che erano da alcuni suoi amici. Aveva procurato un armadio di ferro dove aveva messo tutto il suo archivio personale: libri, lettere, manoscritti, cassette, cartoline, un paio di occhiali da sole e un orologio che Amel gli aveva offerto. Aveva chiuso bene l’armadio. Prese quei pochi soldi che gli rimanevano per comprare un paio di pantaloni, una maglietta, i necessari della barba. Uno dei fratelli gli aveva dato una camicia bianca. VerificÒ la sua giacca di pelle e i suoi cari pantaloni neri di Tergal. Era tutto a posto; era tutto perfetto. Un altro fratello gli aveva dato un pullover. Le scarpe che aveva – pensava – erano sufficienti. In compenso lasciÒ loro tutti i suoi vestiti e un registratore in perfetto stato. Adesso era perplesso. Doveva tagliare la barba? Se l’avesse fatto egli avrebbe eliminato con la barba la sua bellezza di cui era orgoglioso. Se non lo avesse fatto ciÒ avrebbe potuto arrecargli alcuni problemi colle autorità di frontiera. Decise di non farlo almeno per il momento. Una volta la sua barba l’aveva messo in una situazione imbarazzante. Un poliziotto gli aveva giurato di staccargliela – pelo per pelo – se si fosse rivelato uno dei “barbuti”. Un altro, un direttore di un’agenzia che conosceva bene, lo aveva esortato a tagliarla perchË non gli andava bene dal punto di vista estetico. Non sopportava il parere di questi, anzi si offendeva perchË quell’uomo era un omosessuale. Un altro vicino, un professore di fisica all’Università, gli aveva detto una volta, quando aveva visto la sua densa e bella barba: “Che meraviglia? Hai l’intenzione di seguire la tradizione?” Karim non voleva rispondere per pudore. Temeva che smentendolo potesse in qualche modo essere danneggiato. Si accontentÒ di sorridere e tacque. Il giorno dopo, il professore aveva visto Karim senza barba. Lo salutÒ lo stesso, ma non gli disse niente nË della barba, nË della tradizione. Karim si sentiva in peccato. Avrebbe voluto che la terra si fosse aperta per inghiottirlo, piuttosto che guardare in faccia quel vicino che lui rispettava molto.
Non era attaccato a una sola immagine di se stesso con la quale apparire alla gente. Amava il cambiamento. Anzi il cambiamento del “decor” come diceva lui; lasciava la barba quando giudicavache il suo viso piaceva e pareva pi˘ bello e se la radeva quando gli sembrava che egli, senza, potesse sembrare ancora pi˘ bello. Odiava i baffi. Non voleva apparire con quell’immagine. Non voleva essere una fotocopia di suo padre: i baffi gli riportavano l’immagine di un padre autoritario e onnipotente. Il suo atteggiamento nei confronti della barba era un modo di mediare con alcuni suoi amici che il problema della barba non Ë strettamente in rapporto con la religiosità della gente, come loro credevano. Nessuno aveva potuto provare il contrario e fargli cambiare opinione. Bisognava incontrare Amel per baciarla prima di partire e provare a convincerla per l’ultima volta che egli non aveva nessuna intenzione di lasciarla fino a che lei lo avesse amato e che sarebbe ritornato entro breve tempo. Decise di renderle visita l’ultimo giovedÌ prima di partire. Fino ad allora egli era preoccuapato per le cose da fare. Non accordava nessun interesse nË alla gente, nË al mondo intero! Non parlava pi˘ molto. Mangiava molto adagio perchË era sempre distratto. Quante volte sua madre sospettando il suo vero stato d’animo gli diceva compiangendolo :”Se la partenza ti sta causando tutto questo disagio psicologico, perchË questa insistenza di partire? PerchË non rinunciare? La casa che finora ti ha preso in carico Ë rimasta nella sua generosità! Lui però rispondeva con gran dolore e tristezza: “non ho paura; al contrario ho avuto disgusto per questa vita di rinvio che somiglia a quello di un viaggiatore che non ha ancora raggiunto la sua città, ma che di tanto in tanto si siede per riposarsi all’ombra mentre il suo cuore Ë sempre preoccupato per la strada e la continuazione del suo cammino. Ho l’impressione che la mia patria mi abbia umiliato. Non posso pi˘ pazientare dopo questo”.
CosÌ passÒ la settimana tra paura e ottimismo, tra dolore e speranza. Il giovedÌ uscÌ per cercare Amel. Non l’aveva trovata dove pensava di vederla aspettandola. Quando una delle sue amiche uscÌ dal salone di parrucchiere dove lavoravano tutte e due, le a veva chiesto di Amel. Lo riconobbe; era lei che era venuta l’altra volta per vederlo. Parlava con lei mentre cercava di nascondere un sorriso che si era stampato sulle sue labbra. Anche lei sorridendo gli aveva detto: “Amel Ë malata. E’ una leggera influenza. Tornerà all’inizio della settimana prossima”. Avrebbe voluto incaricarla di trasmetterle un messaggio. Poi si trattenne. La ringraziÒ e partÌ con grandi sensi di colpa. non gli era mai capitato di odiare la vita e se stesso come in quel giorno. Poi disse, consolandosi:”Áa ne fait rien”?. Quando tornÒ a casa, apprese che Hascime era venuto a vederlo. Lo attese molto. Ma quando ormai disperava di vederlo prese i suoi libri e le sue cassette dicendo a Smain :”Non dimenticare di baciarlo da parte mia”. Si trovÒ isolato da tutto quello che costituiva il suo universo. La sua amica, il suo amico, i suoi libri che aveva chiuso in un armadio di ferro, le sue cassette, la riva del fiume e il sentiero dei pioppi. Cominciavano a mancargli del tutto! Se almeno fosse stato tutto: di li a due giorni avrebbe dovuto lasciare la mamma, il padre, tutti i suoi fratelli e parenti. Cominciavano già a mancargli i libri di Hussein e la voce della signora della canzone araba, quella stella che non solo brillava sull’Oriente, ma la sua luce e la vita che emanava, copriva tutti gli orienti e gli occidenti.
FINE DELLA PRIMA PARTE