Mi chiedi cosa ricordo? Il limone e il melograno. Il giallo e il rubino. Il verde delle foglie. Dove? Nel cortile della mia casa. Macchia di luce. La mia casa…
Prima. L’ombra della sera. Il calore. La pace. La voce di mia madre. I passi di mio padre. Il canto di nonna. Il riso e il pianto del mio fratellino.
Il rumore dei piatti, del mestolo nella pentola. Lo splendore dei bicchieri. Il profumo del cumino e della cannella.
Il colore sul viso, sul vestito di mia madre.
Il ritratto del nonno, i suoi baffi. Il cappello nuovo del babbo.
La mia palla. L’orsetto. La macchinina.
Briciole. Frammenti.
Ora. Grigio. Tutto. Polvere e cenere.
Le lacrime sul ciglio di mia madre. Un attimo e poi niente.
Mettere insieme il poco rimasto. Salvare i documenti. Partire. Come? Forse un’auto, una camionetta ci darà un passaggio. O a piedi.
È dura la strada. Scarpe salvate ora sdrucite infangate, consumate.
File di gente. Quanta? Infinita. E il peso di questo silenzio. Non di pace ma
grida e pianto, dolore tenuto dentro.
La mano di mio padre che stringe la mia. Da far male, ma non dico nulla, non mi lamento, non voglio staccarmi. Perdermi.
E poi il mare. Io l’amo il mare. No, l’ho amato. Entrare uscire dalle onde gentili. E Sinbad il marinaio e le sue fantastiche avventure. Le imprese di Dragut, il terrore dei mari, la spada dell’islam.
Storie di mamma.
E questa barca, troppo piccola, troppo piena. E le onde non più gentili. Che ci scuotono, ci sommergono. Afferro il vestito bagnato di mamma. Sono così piccolo. E mamma è muta. Nella voce. Nel volto.
Spiagge, rocce, che non conosco. Approdi di altre terre.
E strada. Ancora strada. Di terra. Di asfalto. Di ferro..
Mani che ci accolgono. Il pane e l’acqua. Il sorriso.
Mani, piedi che ci respingono.
Cosa sono? Un profugo? Un migrante?
Sono solo un bambino.
E non ho più età. Spazzata dalle bombe, dall’acqua, dalla strada.