Interviste

Intervista. Rainero Schembri

INTERVISTA DI RAINERO SCHEMBRI

1) Lei ha fondato una scuola di scrittura creativa Sagarana. Cosa si propone di raggiungere e cosa significa esattamente Sagarana?

JMM – “Sagarana” è il titolo del primo libro di João Guimarães Rosa, pioniere del realismo fantastico in America Latina. Sagarana è una parola inventata da Guimarães Rosa, grande creatore di neologismi, composta da due particelle di origine etimologica diversa: “saga”, che in portoghese ha lo stesso significato dell’italiano, sta per storia che attraversa epoche e generazioni, e “rana”, suffisso collettivo tratto dall’idioma nativo brasiliano tupí, che significa “un’infinità”. Sagarana, quindi, sarebbe la “storia plurima”, la “saga infinita”: forse, la riunione ideale di tutte le storie mai create dall’uomo nel suo lungo esilio su questo pianeta.

Una scuola di scrittura è lo spazio ideale per lo sviluppo della creazione letteraria, dove gli allievi trovano l’accompagnamento di uno o più scrittori esperti, studiano le tecniche e la storia della letteratura, sviluppano un forte scambio con i propri colleghi e sono immersi in un ambiente dove prevale l’amore per i libri e per la narrazione. Lo scopo è preparare e incentivare le nuove generazioni di scrittori, qualcosa che è imprescindibile per qualsiasi nazione. Infatti quando una letteratura si indebolisce è tutta la società che ne soffre, che perde il contatto con sé stessa, smarrisce la sua identità profonda e perde la coscienza critica. Vi invito ad approfondire queste riflessioni leggendo un mio breve saggio sulle scuole di scrittura al link: http://www.sagarana.net/speciale/link1.htm

2) È noto che negli anni settanta e ottanta gli scrittori brasiliani hanno avuto un ruolo importante nella caduta della dittatura militare. Oggi il Brasile è un Paese democratico guidato da molti anni da governi di sinistra e che ha avuto in Lula un presidente di fama internazionale. In questo contesto che ruolo svolgono oggi gli scrittori e intellettuali brasiliani?

JMM – Sono lontano dal Brasile già da quasi 20 anni. Il mio primo anno di esilio (le cose hanno un loro nome, non dobbiamo averne paura) l’ho vissuto a Lisbona, e dal 1995 sono in Italia. Il Brasile ed io abbiamo “deciso” di tagliare reciprocamente i legami. Anche perché non è possibile ricostruirsi una vita in un nuovo paese se si rimane con un piede su ogni sponda dell’oceano. Solo negli ultimi anni i rapporti si stanno pian piano ricucendo.

Comunque leggo i giornali brasiliani on-line tutti i giorni e penso di avere le informazioni per paragonare la situazione attuale a quella degli anni 70 e 80, quando pubblicavo i miei libri in Brasile. Se devo essere sincero, non mi sembra che il ruolo degli scrittori e degli intellettuali oggi sia simile a quello del passato, anzi, direi che è stato molto ridimensionato. Il Brasile ha prosperato in tante aree importanti, nella democrazia, nella solidità delle istituzioni, nell’area sociale ed economica, ma per quel che riguarda la cultura vedo un inarrestabile – e pericoloso – impoverimento generale. Tranne qualche film interessante e i nuovi festival letterari, che però sono solo una vetrina un po’ soggiogata di quello che si produce all’estero, e non necessariamente il meglio, per il resto il panorama è piuttosto misero: il teatro, la creazione letteraria, le arti figurative e addirittura la musica dove siamo sempre stati forti non hanno ripetuto il livello raggiunto nel tardo Novecento. Se si fa un paragone tra le parole delle canzoni di allora e quelle di oggi, il risultato è sconcertante. Tutto questo sotto lo sguardo indifferente o ignaro della società. Nel caso della letteratura, molti scrittori importanti sono morti, senza un “ricambio” di talenti, altri, come me, si sono esiliati per assoluta mancanza di prospettive in patria, altri sono scomparsi per mancanza di visibilità nei media, per oblio vero e proprio, e non si sa se hanno scritto delle cose valide o meno negli ultimi decenni, perché da loro non ci sono più notizie. Una situazione molto triste. Si parla solo del banalissimo Paulo Coelho e di tre o quattro autori di storielle umoristiche o di patetici consigli di self-help. Niente di nuovo sul fronte tropicale. E questo non vuol dire che magari una produzione originale non ci sia, ma che non gode di alcuna visibilità, rimane nascosta e clandestina, ignorata dai possibili lettori.

3) Esistono dei tratti distintivi della letteratura latino americana e, più specificatamente, della letteratura brasiliana, o anche in questo campo predomina la globalizzazione?

JMM – Sì, esistono in entrambi i casi. A mio parere però la letteratura brasiliana è sempre stata più vicina a una letteratura “mondializzata” di quella ispano-americana, tra l’altro perché quest’ultima è partita da una sorta di mimesi, e poi di carnevalizzazione di un mondo rurale, quello dei “fiumi profondi” di Arguedas, della Macondo di Márquez, di “Pedro Paramo” di Rulfo, per citarne alcuni, mentre in Brasile sin dall’Ottocento la narrativa è predominantemente urbana, ambientata nei tropici ma con lo sguardo rivolto verso l’Europa. Penso a Machado de Assis, a Lima Barreto, allo sguardo rigoroso e positivista di Euclides da Cunha, autore del monumentale “Os Sertões”, ai “modernistas” de 1922 influenzati dal Futurismo, dal Surrealismo e dal Dadaismo, fino ad autori raffinati e moderni come Clarice Lispector o come Caio Fernando Abreu, che ha scritto per esempio storie belle e terribili sull’epidemia di Aids nelle grandi metropoli brasiliane. Il Brasile è sempre stato in forte sintonia con l’Occidente, è il suo “estremo Occidente”. L’Occidente invece non è ancora entrato in sintonia col Brasile, lo vede ancora attraverso stereotipi superficiali, antiquati, caricature volgari, una sorta di “repubblica delle banane” gigantesca, e si rifiuta di vedere la nuova civiltà che si sta costruendo nei tropici.

4) Che analogie e differenze vede tra la contemporanea letteratura italiana e quella brasiliana?

JMM – Poche analogie. Quando negli anni 90 si presentavano in Italia i libri della nuova generazione dei “cannibali”, il Brasile sviluppava un stile simile, il cosiddetto “brutalismo” brasiliano, un realismo crudo, sopra le righe, cinico e senza limiti, erede dei racconti di Rubem Fonseca. Ma le coincidenze si fermano qui. Quel poco di significativo che si produce oggi in entrambi i paesi sembra ben diverso: in Italia, un manierismo stilistico troppo estetizzato e artificiale oppure storie di sfruttamento, gialli e romanzi storici, in Brasile l’avanguardia sembra composta di storie di violenza estrema per scioccare la borghesia benpensante, oltre agli autori che ho citato sopra. Anzi, se c’è un punto forte di intersezione è proprio quello della sterilità e dell’impoverimento. Per esempio, ho notato che le concertazioni di punti di vista narrativi in uno stesso testo, che era dato acquisito in Italia a partire dagli anni 40, e largamente praticato da autori come Calvino, Buzzati, Manganelli o Elsa Morante, oggi è molto raro. Gli scrittori italiani oggi iniziano e finiscono i loro libri con uno stesso unico punto di vista narrativo, sia il monologo interiore sia la terza persona col narratore assente. Questo è un sintomo inequivocabile di impoverimento tecnico (che è chiaro ripercuote in un impoverimento di contenuto). Vedi, anche a questo serviranno le scuole di scrittura, per cercare di ripristinare una ricchezza tecnica smarrita.

5) Lei vive da molti anni fuori dal suo Paese. Quando torna in Brasile c’è qualcosa che con rammarico non trova più?

JMM – Qualcosa? Ma non trovo quasi niente di ciò che conoscevo! Paesi giovani e dinamici come il Brasile cambiano in un decennio più di quanto un paese europeo non cambi in mezzo secolo. Sono tornato a Niterói circa sei anni fa, e camminando per le strade del quartieri dove sono nato non c’era più un volto che conoscessi. Anche i negozi erano quasi tutti diversi, e le case non esistevano più, le ultime ville art-déco della spiaggia di Icaraí sono state demolite e hanno dato luogo a nuovi palazzoni di vetro e acciaio. La mia bucolica Icaraí sembrava Miami Beach. Non esiste più una sola casa dove sono vissuto, e anche le scuole, i parchi, sono profondamente cambiati. La città mi è sembrata affollata, pericolosa, velocissima. Tutti i cinema sono stati convertiti in nuovi templi delle sette evangeliche. Non c’è mai dove parcheggiare, le favelas si sono ingigantite e minacciano i quartieri bassi, si ascoltano sparatorie di fucili durante la notte, e sono nati interi nuovi quartieri dove soltanto pochi anni fa c’erano solo “sítios”, la campagna. Quartieri con palazzi di dodici piani, uno accanto all’altro. E poi, il discorso romantico e politico del mio tempo sembra essere stato rimpiazzato dal discorso della violenza e della pornografia, presenti anche nelle parole della musica “funk” che domina lo scenario musicale. Una terra straniera. E tuttavia so che c’è un’essenza di “brasilianità” che non scompare, che rimane sommersa, guidando le scelte quotidiane e la visione del mondo, ma non è facile scorgerla nel panorama attuale.

6) Invece cosa pensa che gli italiani dovrebbero imparare guardando al Brasile?

JMM – Tante cose, tutte legate a quella “brasilianità” e alla visione di mondo di cui parlavo prima. Che la forza del carattere e la capacità di affrontare le avversità non deve necessariamente essere seria, o triste. Che è possibile, anzi, è molto efficace affrontare la crisi, o le tragedie cantando e ballando, sviluppando una particolare forma di “sete” solo per i bicchieri mezzi pieni. Che c’è una parte importante della nostra vita che non è soggetta al libro arbitrio, alla forza di volontà, ma al “destino”, a una sorta di logica particolare di ogni esistenza, che si manifesta attraverso il caso, le coincidenze, i nessi causali misteriosi, incomprensibili, e ci lascia senza molto da fare, quindi meglio rilassarci e assecondare questa logica. Che l’intera vita è una somma di momenti presenti in successione, e non un viaggio nel passato o nel futuro, quindi le preoccupazioni eccessive sono inutili, ci rubano un tempo prezioso, mentre le memorie, meglio addolcirle e selezionarle, assaporarle con gusto, come nel brasilianissimo meccanismo della “saudade”.

L'autore

Raffaele Taddeo

E’ nato a Molfetta (Bari) l’8 giugno 1941. Laureatosi in Materie Letterarie presso l’Università Cattolica di Milano, città in cui oggi risiede, ha insegnato italiano e storia negli Istituti tecnici fin dal 1978. Dal 1972 al 1978 ha svolto la mansione di “consulente didattico per la costruzione dei Centri scolatici Onnicomprensivi” presso il CISEM (Centro per l’Innovazione Educativa di Milano). Con la citata Istituzione è stato coautore di tre pubblicazioni: Primi lineamenti di progetto per una scuola media secondaria superiore quinquennale (1973), Tappe significative della legislazione sulla sperimentazione sella Scuola Media Superiore (1976), La sperimentazione nella scuola media superiore in Italia:1970/1975. Nell’anno 1984 è stato eletto vicepresidente del Distretto scolastico ’80, carica che manterrà sino al 1990. Verso la metà degli anni ’80, in occasione dell’avvio dei nuovi programmi della scuola elementare, ha coordinato la stesura e la pubblicazione del volumetto una scuola che cambia. Dal 1985 al 1990 è stato Consigliere nel Consiglio di Zona 7 del Comune di Milano. Nel 1991 ha fondato, in collaborazione con alcuni amici del territorio Dergano-Bovisa del comune di Milano, il Centro Culturale Multietnico La Tenda, di cui ad oggi è Presidente. Nel 1994 ha pubblicatp per il CRES insieme a Donatella Calati il quaderno Narrativa Nascente – Tre romanzi della più recente immigrazione. Nel 1999 in collaborazioone con Alberto Ibba ha curato il testo La lingua strappata, edizione Leoncavallo. Nel 2006 è uscito il suo volume Letteratura Nascente – Letteratura italiana della migrazione, autori e poetiche. Nel 2006 con Paolo Cavagna ha curato il libro per ragazzi "Il carro di Pickipò", ediesse edizioni. Nel 2010 ha pubblicato per l’edizione Besa "La ferita di Odisseo – il “ritorno” nella letteratura italiana della migrazione".
In e-book è pubblicato "Anatomia di uno scrutinio", Nel 2018 è stato pubblicato il suo romanzo "La strega di Lezzeno", nello stesso anno ha curato con Matteo Andreone l'antologia di racconti "Pubblichiamoli a casa loro". Nel 2019 è stato pubblicato l'altro romanzo "Il terrorista".