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Negritudine e Tango

Scritto da Pap Khouma

Il libro “Negritudine e Tango”, dell’autrice Monica Maria Fumagalli, un saggio pubblicato dalla Casa Editrice Segni e Parole di Novara, e presentato al Mudec, durante l’importante evento letterario: Milano Book City Novembre 2019.

L’autrice ha scritto tra l’altro “Le donne e il Tango”; “Il Tango e il mare”; “Jorge Luis Borges e il Tango”.

Ha tradotto dallo spagnolo dei saggi sul Tango, per citarne alcuni, quelli di Rafael Flores Montenegro; Gloria e Rodolfo Dinzel; ecc.

Monica Maria Fumagalli ha collaborato con Emanuela Bussolati, Massimo di Marco. Segnalo en passant che i suoi libri sono pubblicati in italiano, spagnolo e inglese. L’autrice è danzatrice professionista, balla e insegna Tango da molto anni,insieme al compagno di vita, Yatma Diallo, tanguero professionista di origine senegalese.

Ha percorso decine di migliaia di chilometri e ha sollevato chili e chili di polvere e di raffreddore,  da archivi sparsi tra un continente e l’altro.

Iniziamo dalla prima parole del titolo: “Negritudine!”

La parola, “Negritudine”, è stata coniata tra le due guerre Mondiali da un giovane poeta, originario della Martinica francese, Aimé Cesaire. Proseguiva la lotta per i diritti civili degli africani e dei neri in Francia e nelle Colonie, insieme ai poeti Leon Gontra Damas, originario della Cayenna, Guyana francese e di Leopold Sédar Senghor, del Senegal Francese, (diventato nel 1960 primo Presidente della Repubblica indipendente). I primi due erano discendenti di schiavi africani.

Tutte e tre si sono conosciuti in Francia dove erano studenti e fondatori della rivista “L’Etudiant Noir”, ed erano dei colonizzati dall’Impero francese, che considerava da secoli chi ha la pelle nera un essere inferiore, senza cultura, senza storia, senza civiltà, senza lingua. Insieme a loro c’erano tanti altri intellettuali africani e della diaspora che si sono conosciuti in Francia dove erano studenti. Jean Paul Sartre ed altri umanisti francesi sostenevano le loro rivendicazioni.

Aimé Césaire ha coniato il termine “Negritude”, nel suo lungo poema “Cahier d’un Retour au Pays Natal”. Leopold Sédar Senghor definiva, in sintesi, Negritude : “L’ensemble des valeurs  culturels de l’Afrique Noire …”

“Radicarsi (nella propria cultura) ed essere porosi a tutti i soffi dell’universo”, così diceva Aimé Césaire della Negritudine.

Loro hanno continuato, definendola “negritudine”, ma la sostanza non cambiava, le lotte per l’emancipazione dei neri, schiavizzati o colonizzati, intraprese tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, dal professore William Edward Burghardt Washington Du Bois, (Great Barrington, Usa, 23 febbraio 1868 – Accra, Ghana, 27 agosto 1963). Du Bois, a sua volta, potrebbe essere definito l’erede naturale di uomini, donne, neri e persino bianchi di tutto il Continente Americano, dal Canada all’Argentina, vissuti nei secoli precedenti, che avevano preso coscienza delle condizioni disumane in cui erano tenuti i neri e dunque si erano ribellati.  

Tango!

La seconda parola del titolo ci porta direttamente al saggio di Monica Fumagalli.

Leggo direttamente la quarta di copertina, le parole dell’autrice:

“Gli schiavi parteciparono alla fondazione di Buenos Aires e alle guerre che ne modificarono il destino. Era figlio di schiavi anche il primo bandoneonisti della storia: difficile immaginare il tango come creazione indifferente alla presenza della negritudine.”

Abbiamo di fronte  un saggio approfondito, ben documentato, perciò ho parlato non tanto metaforicamente di quanti chili di polvere sollevati dagli archivi. Il libro è molto scorrevole e piacevole. Sebbene ho avuto qualche difficoltà, qualche momento di sconforto, leggendo “Negritudine e Tango. Mi spiego, ripercorrendo le pagine del libro di Fumagalli, ho avuto le stesse sensazioni di rabbia repressa, come quando mi confronto con storie che trattano della schiavitù dei neri. Senza esagerare, per me africano nato e cresciuto a circa 20 km dell’Isola di Gorée, al largo di Dakar, Senegal. Gorée isola simbolo da cui per circa 400 anni, partirono e non ritornarono mai, milioni di africani ridotti in schiavitù, leggere “Negritudine e Tango mi ha catapultato in una dimensione emotiva, un pathos profondo.

Quando si sente Tango, si pensa Argentina.

Il libro ricorda l’arrivo dei primi schiavi africani in Argentina, diventata un centro di smistamento della tratta, un business colossale sulla pelle di esseri umani, fino all’abolizione e anche dopo. La storia degli africani e dei loro discendenti in questa terra che oggi sembra popolata soltanto di bianchi e di pochi nativi.

A pagina 17, possiamo leggere (posso testimoniarlo, perché in quell’epoca ero casualmente in Argentina) che durante l’ultimo censimento:

“Gli
afroargentini non scomparvero - l’ultimo censimento conferma che il 4,6% della
popolazione attuale di Buenos Aires discende da schiavi africani- così come non
scomparve il candombe originale.”

“Negritudine e Tango é dunque una saga sul lungo travaglio e il complicato parto di una musica e danza dei più romantici a livello universale. Il Tango !

Alla pagina 28, l’autrice scrive:

“Il
Tango apre una parentesi della storia di una società che ha fatto di tutto per
essere considerata l’eccezione bianca dell’America Latina, attingendo alle
poche tracce rimaste accessibili, ai ricordi dei discendenti, all’immaginario collettivo,
ecc …”

Prima ancora, a pagina 24, leggiamo:

“Per
comprendere quanta Africa sia rimasta nel Tango è anche necessario andare oltre
il concetto, ormai obsoleto, che l’Africa apporti il ritmo e l’Europa armonia e
melodia …”

“Negritudine e Tango, non mi sembra un libro di rivendicazioni sulla quantità o qualità dell’apporto dei neri nella nascita del Tango. Questo saggio ripercorre la storia del Tango e dei suoi protagonisti, africani, mulatti, europei, donne e uomini alcuni nel rango sociale di padroni, gli altri in quello di schiavi.

Tornando indietro a pagina 20, Fumagalli scrive:

“La
possibile eredità africana va cercata, a mio parere, entrando nel profondo di
una cultura che mette in primo piano l’improvvisazione, elemento chiave anche
nell’universo del Tango, musica, danza e poi canto. In Africa ogni espressione
musicale è improvvisazione, in quanto legato in modo inscindibile al ritmo
della vita. La musica, così come l’arte, la scienza, la religione, il corpo,
partecipano di un movimento universale in continuo mutamento. Il ritmo  appartiene ad ogni cosa ed a ogni aspetto
della vita, quindi si adatta continuamente: improvvisa chi suona il tamburo,
chi balla, chi canta. Musica, canto e danza, creati spontaneamente, entrano a
fare parte della memoria collettiva, trasmessa oralmente.”

Aggiungo dunque, impossibile non sentire i ritmi africani attraverso le pagine del libro, le citazioni, le poesie, i canti contenuti nel saggio, questi ritmi africani che hanno contributo a partorire nel dolore del meticciato, le melodie e i passi del Tango e di altri generi musicali, Candombe, Milonga, divenuti patrimoni culturali, nazionali dei paesi dell’America del Sud e del Nord. Tango, Milonga, Candombe, generi musicali che si sono influenzati e meticciati.

Nonostante l’autrice sottolinea a pagina 19:

“E’
difficile immaginare il Tango che, nato sul finire dell’800 quando la
negritudine è ancora presenza viva in terra argentina, possa essere rimasta
impermeabile alla sua influenza. Non si tratta certo di affermare che il Tango
sia musica nera. Nonostante il nome africano, dinnanzi alle sue sonorità e i
tratti della danza, qualunque africano oggi, tenderebbe a classificarlo come
roba da bianchi.”

Cosa si potrebbe aggiungere su un libro breve ma così bello e importante?

Che i lettori troveranno dentro le pagine di “Negritudine e Tango”, le citazioni di scrittori e musicisti, Rimbaud, Jorge Luis Borges, Wolé Soyinka, presente alla Milano Book City 2019, John Coltrane, Wilson Marsalis, l’atmosfera dei caffè e dei locali di Buenos Aires dell’800 e della prima metà dell’900. I nomi dei precursori del Tango, tante foto e immagini storiche, originali, poesie, canti del Tango.

Il libro si conclude:

“Nel Tango ognuno è artefice della propria storia e protagonista di quella che Borges ha definito per sempre la comédie humaine della città di Buenos Aires.”

Pap Khouma

Book City

Milano 16 novembre 2019

L'autore

Pap Khouma

Pap Khouma, di origine senegalese, vive a Milano, dove si è sempre occupato di cultura e di letteratura, attraverso numerose e svariate esperienze. Per dodici anni ha girato l’Italia, invitato da scuole di diverso ordine e grado a svolgere “lezioni” sulla storia e la cultura africana, e sui temi della multiculturalità. Per conto dei Provveditorati ha tenuto corsi di aggiornamento per insegnanti sull’integrazione, e per tre anni (1991 – 1994) ha insegnato italiano agli stranieri nei corsi di alfabetizzazione del Comune di Milano. Ha partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali e internazionali, presso le maggiori università italiane (Milano, Roma, Bologna), sui grandi temi dell’immigrazione, della cultura e della letteratura , e nel 1998 è stato invitato a svolgere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti (Africa/Italy: an interdisciplinary international symposium, Miami University, Oxford, Ohio; Immigration et intégration, Sénégal/ Italy/ France, Northwestern University of Chicago; Società multiculturale, Queen’s College of New York; Letteratura degli immigrati in Italia, Casa italiana of New York University). Dal 1990, quasi annualmente, si é occupato, per conto di centri studi, organizzazioni non governative ed amministrazioni comunali e provinciali, di ricerche ed approfondimenti, con relative pubblicazioni, sui temi già citati. Ha lavorato come responsabile della “libreria del viaggiatore” all’interno del Megastore B612 di via Muratori a Milano, e ha partecipato alla progettazione e all’ideazione della stessa, prendendo personalmente i contatti e i successivi accordi con le maggiori case editrici nazionali. Ha lavorato presso la libreria FNAC di Milano, dove si occupava in particolare del reparto libri in lingua originale. Iscritto all’Albo dei giornalisti stranieri dal 1994, per quattro anni (1991-1995) ha firmato una rubrica su “Linus”, e ha collaborato con “l’Unità”, “Il Diario”, “Epoca”, “Sette”, “Metro”. Ha pubblicato Io, venditore di elefanti (insieme al giornalista e scrittore Oreste Pivetta, Garzanti ed. 1990), giunto oggi all’ottava edizione, adottato da molte scuole come libro di testo, e i cui brani sono inseriti in numerose antologie scolastiche, ed è stato curatore e coautore del libro Nato in Senegal immigrato in Italia (Ambiente ed. 1994).
Nel 2005 pubblica Nonno Dio e gli spiriti danzanti e nel 2010 Noi neri italiani. E’ presidente della giuria del premio Sengor.

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