Narrativa transnazionale

Warax

Tratto dal romanzo Warax di Pavel Hak (Paris, Seuil, 2009) – traduzione di Ugo Fracassa

Il calore del deserto sprofondato nella notte, una decina di ombre: la muta procedeva troppo in fretta per essere individuata nelle tenebre senza luna, mentre spariva in fondo ai crepacci, risaliva ripide scarpate, aggirava ammassi rocciosi. Sagome furtive, spettrali. La barriera che segnava il confine col paese agognato era ancora lontana. Una pausa però era necessaria. Sostarono nel cavo di una gola, sputata la polvere ciascuno bevve un sorso d’acqua. Erano riusciti a penetrare nella zona di frontiera senza essere intercettati da pattuglie, avevano attraversato il settore più sorvegliato senza che unità militari li obbligassero a restare nascosti per ore e ore in un crepaccio, non avevano mai avuto esitazioni sulla direzione da prendere (il cielo indicava loro la rotta da tenere). Il deserto non poteva ingannarli, e neanche le tenebre della notte. Bevvero ancora dalla bottiglia, poi, troppo inquieti per trattenersi più a lungo, ripartirono in direzione della barriera. Non si sarebbero fermati se non davanti a quella massa di cemento, eretta all’estremo nord del paese, terra dura e inospitale che conoscevano meglio di chiunque altro, poiché vi erano nati e ci avevano passato la giovinezza, fino a capire di non avere laggiù alcun futuro e di dover cercare in tutti i modi di andarsene, anche clandestinamente se fosse stato impedito loro di farlo legalmente. Controllarono l’ora. Stando ai loro calcoli, avrebbero raggiunto il confine in una quarantina di minuti. Il cassone che si portavano dietro da quando avevano abbandonato la macchina cominciava a pesare, nonostante i loro muscoli di sterratori. Non era facile da trasportare neanche la trave, rubata nel cortile di una caserma ai margini della zona frontaliera (dove il tronco, sfrondato grossolanamente doveva servire per l’esecuzione di gente come loro, arrestata nel tentativo di oltrepassare il muro). Ma la muta non perdeva coraggio. Sapevano che il loro destino si sarebbe deciso quella notte e che, se avessero rinunciato, non ci sarebbe stata una seconda possibilità, pensiero venato di una sorda rabbia che li incoraggiava a scalare i versanti, gli ammassi rocciosi del deserto, a calarsi nei pendii, a riapparire in superficie, sempre compatti, mantenendo il passo col quale avevano fatto intrusione nella zona di confine. Quando, fradici di sudore, superarono l’ultima altura, la barriera di cemento armato, rivestita di filo spinato e di spuntoni d’acciaio, si parò davanti a loro.

L'autore

Ugo Fracassa

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