Interviste

A colloquio con l’autore

1)    Ti consideri un seguace di Senghor e autentico poeta della negritudine. Puoi spiegare in poche parole che cos’è questo movimento e che cosa si propone?

Mi ritengo un seguace di Senghor sia nella forma sia nel contenuto. Il movimento della Negritudine fu politico, ideologico, culturale ed è sorto in Francia prima della seconda guerra mondiale in un momento molto difficile in cui gli studenti neri, mulatti riscontrarono enormi difficoltà. Come l’ha definita Senghor, la Negritudine è l’insieme dei valori della diaspora nera.I neri della diaspora rivendicarono i loro diritti con l’uso della letteratura e in particolare la poesia e il teatro come genere.

Nel contenuto seguo il cammino tracciato dai miei padri spirituali difendendo quello che rappresenta la mia essenza, la mia ontologia, la mia dignità insomma la mia cultura. Cosa sarebbe la letteratura africana di espressione francese senza il loro contributo? Aimé Césaire, Senghor e Damas e tanti altri hanno avuto il coraggio di scrivere, rivendicare i loro diritti e hanno difeso la diaspora nera intera e i senza voce. Non solo. Il movimento ha segnato la sua epoca quasi facendo ombra alsurréalisme francese.

E nella forma ho apprezzato molto Senghor nel suo modo di imporsi. Ricordo che egli fu il primo nero ad entrare nell’accademia Francese, il primo nero con l’agrégation in grammatica. Senghor ci ha lasciato  un patrimonio ricco, una scrittura ben elaborata e la sua padronanza linguistica con l’uso sapiente delle figure retoriche ha segnato il suo percorso accademico. Ecco il motivo per cui Senghor mi ispira, seguo il cammino tracciato per custodire il suo modo di poetare e la sua posizione  pacifica nel dialogo interculturale e inter – religioso  per rivendicare l’esistenza della sua cultura.

Il terzo punto che aggiungerei è la filosofia dell’universalità delle culture, quindi la Negritudine è umanesimo e non è mai stata una negazione dell’altro. La Negritudine non fu creata per mettere il nero in prigione ma è un approfondimento nella sua singolarità. Il movimento è prima di tutto una presa di coscienza, una consapevolezza per il nero al fine di valorizzare la sua identità, la sua cultura, le sue origini, quindi il nome interessa poco ma il contenuto è molto più importante. Oggi chi difende la cultura africana fa della negritudine, magari uscirà un nuovo neologismo per contestualizzare meglio l’epoca in cui viviamo.

2)    Ha ancora una ragion d’essere e uno sviluppo del movimento della negritudine  ai nostri giorni?

Chi racconterà oggi le fiabe? Come continueremo a valorizzare la nostra identità? Chi parlerà ancora del paganesimo africano? Dobbiamo copiare il modello occidentale e non prendere mai più come riferimento i nostri griot? Non dobbiamo più attingere dall’oralità dei nostri anziani? Chi parlerà dei fucilieri neri morti per la gloria della Francia? Chi ricorderà i secoli bui della schiavitù? Chi parlerà dei secoli bagnati di sangue del colonialismo? Chi risponderà a Hegel e ai suoi amici che hanno negato all’Africa l’esistenza della sua cultura? Chi continuerà a difendere l’Africa derisa e umiliata? Possiamo porci tante domande ma naturalmente dico che continuare a parlare di Negritudine ha un senso. Come ogni corrente letteraria occorre giudicarla rispetto alla sua epoca e usare in positivo l’eredità per le generazioni future. La Negritudine ha sollevato molte critiche nell’ambito accademico e intellettuale, ma ricordo che il tema è tuttora attuale. Nell’era della mondializzazione, la ricetta senghoriana può essere una soluzione e non il palliativo. Leopold Sedar Senghor propone l’arricchimento per ogni cittadino nella sua propria cultura ossia dobbiamo conoscere profondamente la nostra cultura e poi aprirci verso altri orizzonti culturali per creare la simbiosi delle culture.  Ecco perché critico alcune idee che vanno ad imporre l’integrazione a binario unico. La strada senghoriana è l’interazione tra le culture tramite il dialogo e il rispetto reciproco per una sana convivenza. Il suo lavoro, ricordo, è stato premiato in Campidoglio nel1977 e ha ricevuto il premio “ Cultori di Roma”.

3)    Siamo in un’epoca ove la migrazione assume una caratteristica strutturale delle società, che funzione può avere sotto questa luce il movimento della negritudine?

Dobbiamo recuperare le basi ideologiche e letterarie del movimento, riprendere la nostra oralità, la saggezza che i nostri antenati hanno sempre usato per dirigere le nostre società. Non voglio ripetermi ma questo patrimonio va custodito. Non possiamo sempre continuare a ricevere, dobbiamo anche dare. Per partecipare a questo appuntamento del dare e del ricevere, ci vuole l’uso delle nostre realtà culturali senza le quali non ci faremo distinguere nei confronti di altre culture. La diaspora nera deve giocare il suo ruolo, farsi sentire e partecipare contribuendo culturalmente nella nuova società italiana in piena mutazione. Penso sia importante che ognuno di noi – l’africano subsahariano in generale – abbia la propria ontologia che  è molto diversa da quella occidentale. Questo va preservato.

La politica non deve spingere troppo facendo prevalere solo l’integrazione e prevaricando le altre culture come la cultura d’origine dei cittadini della diaspora nera: così facendo si rischia di fare dell’Europa e dell’Italia in particolare il cimitero delle identità. La forza di un popolo risiede nel rispetto delle culture delle minoranze e nella loro valorizzazione. Penso sia importante ripercorrere nuovamente  le opere che hanno segnato il Movimento e poi estrarre quello che potrà essere realmente coniugato nella nostra epoca. I nostri predecessori hanno fondato la Negritudine, siamo noi ora che la dobbiamo contestualizzarla per renderla viva e adatta alle nostre esigenze.

4)    Come vedi la situazione della migrazione e degli immigrati in Italia?

Direi rispetto ad alcuni paesi come la Francia, l’Inghilterra, la Germania, l’Italia dovrà recuperare in quanto siamo molto indietro e lavorare per riuscire ad arrivare ai livelli di “integrazione” di questi paesi. Non è tutto oro quello che luccica. Faccio una piccola premessa: i paesi che ho appena citato hanno avuto una storia coloniale rilevante, ma ricordo che i loro modelli di “integrazione” per l’immigrazione hanno fallito. Prendo ad esempio l’assimilazione francese e il multiculturalismo britannico. Oggi non occorre fare un lavoro di “copia-incolla”, o meglio creare associazioni di attivisti che magari puntano solo ad appoggiare alcuni partiti, finire in politica e ricoprire dei ruoli,  ma pensare a risolvere lo squilibrio che esiste già tra i cittadini. Oggi non dobbiamo più parlare di italianità ( parola che ho sempre amato) ma di “italicità” in quanto ci sono italiani neri, italiani latini, italiani arabi… Ci sono italici che hanno condiviso realtà culturali del paese con grande voglia di partecipare al suo sviluppo. Nell’era della globalizzazione, il fenomeno delle barriere, dei muri appartiene al passato. Il territorio diventa più ampio, più largo e consente a chiunque condivida la cultura del posto di farne parte, per cui ribadisco che occorre valorizzare l’italicità e non l’italianità.

L’Italia dovrà inventarsi un progetto affidabile, pensato per il paese, in grado di favorire l’uguaglianza tra i cittadini. La vera “integrazione” si farà solamente quando la politica interagirà con rispetto usando un linguaggio paritetico come accade per gli autoctoni.  Non solo. La vera “integrazione”, la si legge e la si interpreta solo quando lo Stato incomincerà ad inserire nei vari settori dell’amministrazione pubblica i cittadini di provenienza diversa. Fino ad oggi assistiamo solo ad opere dilettantesche ma siamo ancora lontani dal vedere un vero progetto per l’immigrazione ad hoc studiato per l’Italia.

5)    Potranno a tuo parere gli immigrati o i figli di immigrati esprimere una presenza significativa sul piano culturale in Italia.

Penso di sì. Stiamo partecipando e cerchiamo di contribuire per lo sviluppo del nostro nuovo paese: l’Italia. La vera partecipazione dipende da due fattori: avere i mezzi per arrivare a farsi sentire, quindi include prima di tutto la conoscenza, la preparazione culturale solida  e non solo i mezzi finanziari ma dall’altra parte aver i cittadini disposti a ricevere. Per l’ultimo è il dovere della politica di lavorare in questa direzione. Purtroppo sia per la sinistra che per la destra l’apertura per sviluppare il contributo degli immigrati a livello culturale non è ancora presente nell’ agenda politica. Penso sia importante che il politico vada a superare la posizione ideologica di partito e lavori per il beneficio della collettività come succede in America.  Gli Stati Uniti investono molto nella ricerca e non guardano la provenienza dei ricercatori mentre l’Italia taglia le spese alla ricerca . Ecco la differenza, quindi ci vuole una rivoluzione nella politica. In qualsiasi società, ogni cittadino va valorizzato e quando lo Stato punta solo sui cittadini autoctoni, c’è un problema. L’importante  per ora è continuare a lavorare e penso in un futuro breve si riuscirà ad arrivare a premiare i lavori dei cittadini non italiani. Penso anche che dobbiamo smettere di aggrapparci al PIL per misurare il contributo degli immigrati. Oggi il contributo linguistico è incommensurabile. Non vi è un aggregato in grado di misurarlo. Se dovessero svegliarsi Dante o Leopardi, si renderebbero conto che i nuovi soggetti hanno e stanno contribuendo culturalmente portando nuove forme di scrittura nella letteratura italiana. Ecco il dato di fatto che nessuno può negare, per cui occorre puntare sulla meritocrazia, unico barometro per fondare una società equa. Penso sia anche una buona regola di civiltà.

6)    Alla espressione letteraria degli immigrati si è dato il nome di Letteratura della migrazione o Letteratura Nascente. Ma ci sono tante altre definizioni, come ad esempio Letteratura minore. A tuo parere è stato un errore dare un nome a questo fenomeno letterario? Ha ciò aiutato gli immigrati ad esprimersi con più consapevolezza sul piano letterario e inserirli nell’alveo della letteratura italiana, oppure aver denominato la produzione letteraria degli immigrati li ha confinati in una nicchia emarginante?

Non voglio fare il distinguo tra la letteratura italiana  e migrante. Ho sempre sostenuto che non si può chiudere la letteratura in una scatola. Posso solo dire che l’una e l’altra sono obbligate a camminare insieme. Il bisogno di affermarsi è profondo e la letteratura italiana ne esce molto più forte grazie all’apporto considerevole della nascente letteratura. L’italofonia è un fenomeno italiano, ma altri paesi occidentali hanno da anni vissuto tale fenomeno. E quindi il fenomeno ha sempre esistito e ricordo che la Francofonia ha portato ottimi risultati in Francia. La cosa bella dell’italofonia è soprattutto la sua nascita naturale rispetto alla Francofonia che è stata fondata per motivi colonialisti e come obiettivo: aver il controllo sugli stati colonizzati quindi le ex-colonie. Se la Francofonia sviluppa la lingua francese in tutti i paesi francofoni, bisogna aggiungere che opera in vari altri settori per la pacificazione in caso di guerre nonché l’ingerenza nella vita politica dei paesi ex- colonie. L’italofonia non è la Francofonia.

Per quanto mi riguarda, penso che tutte le opere pubblicate dagli autori migranti saranno oggetto di studio in futuro e in un modo o nell’altro costituiranno un grande contribuito. La mia idea in quanto poeta non è di inserirmi nella letteratura italiana. Scrivo per lasciare alle generazioni future un pensiero quindi offro la mia scrittura a tal fine. Mi sembra, per buon senso necessario “sfruttare” quest’opportunità che potrebbe servire alle future generazioni. La letteratura è una e rimarrà sempre una. Di sicuro i detrattori della nuova letteratura nascente ne usciranno sconfitti.

7)    Qual è stata la tua conoscenza della Letteratura italiana. Quali letture hai fatto e che cosa ne pensi. Qual è il poeta, scrittore che della Letteratura italiana hai apprezzato maggiormente.

In generale tutti i poeti mi piacciono in quanto non vi è una poesia brutta. Il poeta italiano che mi ispira molto e che seguo è Pasolini. Tutti i poeti che hanno difeso i senza voce mi rappresentano. Penso che il poeta sia il vate del suo popolo, il poeta lo deve incarnare e il suo grido non deve aver solo come obiettivo quello di cantare per far piacere, ma quello di difendere coloro che hanno bisogno quindi i senza diritti, i senza tetto, denunciare lo Stato che imbroglia, che maltratta… Ho arato molto nel campo letterario di Pasolini e mi piace anche il suo modo di scrivere.

8)    Che ruolo pensi stia avendo la rivista el-ghibli come stimolo di conoscenza della Letteratura e di produzione letteraria?

Cosa sarebbe la letteratura migrante senza la rivista? Penso sia la domanda da fare. Oggi la rivista rappresenta la letteratura migrante e occorre, a mio parere sostenerla e far sì che possa continuare ad esistere e informare la cittadinanza di quello che accade. El ghibli, oltre ad essere il vento che soffia è ponte, il facilitatore, il mediatore, infine il riferimento e il traghettatore di culture.

9)    La rivista, come sai è divisa in sezioni, la prima riservata agli autori della Letteratura della migrazione , la seconda chiamata “stanza degli ospiti” riservata ad autori stanziali italiani e non. Ritieni che la prima la seconda sezione debbano essere unificati? Oppure è preferibile che si mantenga ancora la struttura presente?

Il modello editoriale attuale che divide le due stanze dimostra anche la credibilità della rivista. Non dimentichiamo che l’obiettivo principale è presentare gli autori migranti, perciò bisogna separare le due stanze. Sono del parere che la rivista dovrà pensare ad aprire la stanza dei saggisti che non dovrebbe rientrare né nella stanza degli autori né in quella degli ospiti in quanto l’ospite può contribuire in tutte le forme ma il saggio rimarrà sempre saggio. Penso sia importante aprire la stanza dei saggisti, questo spingerà i professori e docenti magari giornalisti culturali a scrivere sugli autori e sui poeti “nascenti”.

L'autore

El Ghibli

El Ghibli è un vento che soffia dal deserto, caldo e secco. E' il vento dei nomadi, del viaggio e della migranza, il vento che accompagna e asciuga la parola errante. La parola impalpabile e vorticante, che è ovunque e da nessuna parte, parola di tutti e di nessuno, parola contaminata e condivisa.

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