Editoriali

Editoriale – Ottobre 2016

sant’agostino nero – intervento di Dario Fo alla presentazione di el ghibli a milano il 21 febbraio 2005

 

Io vorrei tanto che ci fossero qui stasera alcuni personaggi della sottocultura e della sottopolitica lombarda. Coloro che ci mettono a disagio che non hanno l’afflato, come si dice in poesia, ma si può dire un minimo di intelligenza e di atto culturale di comprendere l’importanza dell’accogliere e di abbracciare la presenza di stranieri, come si dice a Milano estranei, ma non in senso cattivo della parola, anzi affettuoso. Ecco una delle cose che ho imparato e devo dire non lontano nel tempo, ma abbastanza recentemente è che tutto quello che noi abbiamo acquisito di arricchimento culturale lo dobbiamo proprio ai visitatori, a coloro che si sono trovati qui da noi nei secoli lontani, a partire dal II secolo dopo Cristo, III secolo e via dicendo. A centinaia, a migliaia sono venuti, hanno imparato la nostra lingua, hanno portato la loro conoscenza, hanno portato la loro cultura, hanno arricchito la nostra possibilità della vita, arricchito la vita e sono stati benemeriti della nostra cultura. A centinaia, a migliaia. E’ impressionante quanti ne trovo. S. Agostino, per esempio. Pochissimi sanno di S. Agostino che era nero e arrivò qui in Italia, prima a Roma, si trovò molto male devo dire. Insegnava retorica. Non veniva neanche pagato. Gli hanno tirato un bidone, insegnava in una scuola della Moratti, voglio dire in una scuola privata e i suoi allievi dovevano pagare un tot, così ad un certo punto non si son fatti vedere e per sua fortuna c’è stato un grosso personaggio della Amministrazione che lo apprezzava soprattutto per il linguaggio, per lo spirito e per l’umorismo. Veniva dall’Africa, nato in Africa, era proprio scuro e teneva lezione e a un certo punto pensò di mandarlo a Milano. E a Milano venne, arrivò. C’era l’Impero allora a Milano, e anche questo pochi lo sanno, Milano era capitale dell’impero d’Occidente ed era la più importante fra le città che ci fossero in Europa allora. Aveva una vivacità culturale. Sto parlando del IV secolo dopo Cristo. Era il momento in cui giravano situazioni di tensione. C’erano nuove facce, nuove lingue che arrivavano dappertutto. Si sentiva proprio un pericolo e un’effervescenza, un fatto rivoluzionario nella coscienza della gente. E lui si presentò e quando tenne il suo discorso lo disse esplicitamente: “Io sono pagato per adoperare le parole, la vostra parola, il vostro linguaggio e molti mi applaudono sapendo benissimo che il mio mestiere è quello di insegnare e dir bene delle cose stupide. Sono un retore!” Ma io cercherò di dir male semmai quello che ho imparato di autentico, di vivo nella vostra città e una delle più belle pagine sulla città, sulla generosità della città di Milano è stata proprio scritta da S. Agostino e con lui c’erano in quel tempo moltissimi autori stranieri che hanno dato per primi un ritratto della nostra città che è straordinario, sconosciuto. Non si insegna a scuola ed è molto bello questo fatto, non si sa se per distrazione verso quello che è la conoscenza della nostra origine, della nostra razza, di quello che eravamo o per ottusità. Credo che vi sia proprio ottusità più che altro perché non c’è altra ragione e quando vedo alcuni che si rifanno al Carroccio, le tradizioni lombarde antiche e in verità non sanno, non conoscono niente, proprio ignorano ogni cosa che è avvenuta nella nostra storia. Capisco anche perché non accettano la presenza di alcuni che non parlano la nostra lingua, che hanno una cultura, che avrebbero cose da raccontarci, molto, molto da insegnarci, per apprendere, ed invece ecco che si cerca di tenerli lontani. Si pensa a priori che essi non abbiano niente da raccontarci di importante. Noi non abbiamo bisogno di loro e questa è veramente la forma più bassa di civiltà che si possa immaginare. Il nostro décalage sul piano culturale parte proprio dal fatto che i nostri politici, alcuni di loro insomma non hanno capito l’importanza di sostenere la presenza di persone che vengono da altri posti. Sono la nostra ricchezza, sono la nostra verifica, sono la possibilità di arricchire il nostro linguaggio, il nostro essere, la nostra gestualità, il nostro pensiero e io dico disgraziato è quel popolo che ha degli stranieri con sé e non li adopera per arricchire il proprio modo di vivere e di arricchire anche la coscienza e la conoscenza della cose. Noi dagli stranieri abbiamo saputo tantissimo nei tempi antichi, ma poi abbiamo avuto anche la possibilità e la fortuna di arricchire gli altri. Nel 500 le persone che partivano dall’Italia e che andavano nel mondo vivo di allora a lavorare, a produrre, a dar cultura, erano un numero incredibile. Si pensi al numero di architetti, di geometri, di muratori che sono stati in Russia, per esempio, in Polonia, in Inghilterra, che sono andati in Francia, in Spagna, in Africa; dappertutto andavano ed erano degli scienziati, della gente con una ricchezza enorme e tutte le volte che tornavano di là, tornavano con la ricchezza della conoscenza di quello che avevano appreso.
Questo si potrebbe collegare a una notizia che ho avuto recentemente e che forse anche qualcuno di voi ha inteso e cioè che la nostra lingua è stata declassata in Europa, non è ritenuta degna di essere una delle lingue fondamentali del rapporto, diciamo del dialogo. Cioè di seconda serie rispetto ad altre che sono state ritenute di prima serie. Non è che ce l’abbiano con noi. Il fatto è che di colpo in noi mancano coloro che nella storia, nel tempo hanno fatto veramente il battage straordinario di quello che noi sapevamo. Io mi ricordo di un grande libro di un grande francese, scritto nei primi del ‘900, un testo fondamentale per me [la leçon des italiens]. Ebbene che cosa ci racconta . Ci racconta tutto quello che gli italiani hanno portato all’estero, in Francia in particolare, di conoscenza, di musica, di teatro, di letteratura, di danza, della pantomima, del teatro da quello di strada fino a quello aulico, la costruzione dei teatri l’architettura, pittura, gli strumenti musicali, incredibile e poi anche il vivere, il mangiare, la sapienza del godere la vita. Ebbene noi abbiamo perso verso gli stranieri il portare questa conoscenza del godere la vita. Non credo che noi, noi abbiamo degli ambasciatori, ma non credo che uno come Bossi possa, adesso ha anche dei problemi, ma voglio dire, forse Berlusconi sì insegna che cosa è la vita degli italiani. E’ uno che come lo vedono dicono: quest’estate non vado lassù”. Sento che in voi… c’è in me una specie di reticenza a aprirmi così in battute, in satira politica. Questo perché lo ho detto? Per agganciarmi a un elemento: l’importante del nostro spirito è il sarcasmo, l’ironia, il grottesco, il saper capovolgere le situazioni, anche quelle dure anche nel momento della sofferenza, per cui altri popoli crollano, franano, non tengono. Noi anche nei momenti più duri abbiamo avuto la possibilità di colpi di reni straordinari dovuti alla nostra immaginazione, alla fantasia, al sarcasmo, al gioco, alla satira, al grottesco. Stiamo perdendo anche quello, stiamo perdendo proprio un timbro nostro personale di una razza che è costato secoli di storia e di coscienza civica. Noi siamo gli inventori dei Comuni: anche un’altra cosa che non studiamo a scuola. I Comuni è un fenomeno unico e guarda caso soltanto singolarmente italiano. E’ stato da noi che hanno capito l’importanza di convivere, di vivere e di sviluppare, di avere rapporti con gli altri, di aprire le nostre porte e andare a bussare anche alle porte degli altri. Ebbene questo fatto, questo fenomeno viene anche da questa straordinaria gioia, giocondità di dialogare con gli altri, di imparare la loro lingua, di aprire a conoscere le nostre lingue. E noi ne abbiamo avute molte. Una ricchezza di lingue che fa paura. Perché i nostri dialetti non sono l’argot, sono proprio lingue, con loro leggi, regole, con loro strutture. Ed ecco quando penso ad alcuni che vorrebbero trasformare certe, non so, strade con nuovi nomi legati al lombardo, al napoletano ecc., la pochezza dello spinger verso una attenzione alla nostra cultura si ferma proprio lì a cambiare i termini, una parola, invece di arricchire la conoscenza con tutte le parole, di tutti i dialetti per arricchire la nostra lingua. E la ricchezza della nostra lingua, ce lo insegnano proprio gli inglesi, i francesi (ho vissuto parecchio in Francia). Ecco la ricchezza per esempio che sono riusciti ad ottenere imparando anche i linguaggi dei popoli che vengono da noi. L’ospitalità serve a quello. E basta così.

L'autore

Raffaele Taddeo

E’ nato a Molfetta (Bari) l’8 giugno 1941. Laureatosi in Materie Letterarie presso l’Università Cattolica di Milano, città in cui oggi risiede, ha insegnato italiano e storia negli Istituti tecnici fin dal 1978. Dal 1972 al 1978 ha svolto la mansione di “consulente didattico per la costruzione dei Centri scolatici Onnicomprensivi” presso il CISEM (Centro per l’Innovazione Educativa di Milano). Con la citata Istituzione è stato coautore di tre pubblicazioni: Primi lineamenti di progetto per una scuola media secondaria superiore quinquennale (1973), Tappe significative della legislazione sulla sperimentazione sella Scuola Media Superiore (1976), La sperimentazione nella scuola media superiore in Italia:1970/1975. Nell’anno 1984 è stato eletto vicepresidente del Distretto scolastico ’80, carica che manterrà sino al 1990. Verso la metà degli anni ’80, in occasione dell’avvio dei nuovi programmi della scuola elementare, ha coordinato la stesura e la pubblicazione del volumetto una scuola che cambia. Dal 1985 al 1990 è stato Consigliere nel Consiglio di Zona 7 del Comune di Milano. Nel 1991 ha fondato, in collaborazione con alcuni amici del territorio Dergano-Bovisa del comune di Milano, il Centro Culturale Multietnico La Tenda, di cui ad oggi è Presidente. Nel 1994 ha pubblicatp per il CRES insieme a Donatella Calati il quaderno Narrativa Nascente – Tre romanzi della più recente immigrazione. Nel 1999 in collaborazioone con Alberto Ibba ha curato il testo La lingua strappata, edizione Leoncavallo. Nel 2006 è uscito il suo volume Letteratura Nascente – Letteratura italiana della migrazione, autori e poetiche. Nel 2006 con Paolo Cavagna ha curato il libro per ragazzi "Il carro di Pickipò", ediesse edizioni. Nel 2010 ha pubblicato per l’edizione Besa "La ferita di Odisseo – il “ritorno” nella letteratura italiana della migrazione".
In e-book è pubblicato "Anatomia di uno scrutinio", Nel 2018 è stato pubblicato il suo romanzo "La strega di Lezzeno", nello stesso anno ha curato con Matteo Andreone l'antologia di racconti "Pubblichiamoli a casa loro". Nel 2019 è stato pubblicato l'altro romanzo "Il terrorista".

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