Se pensi io sia
persona sfìngea,
ti propongo
insolubile enigma:
dimmi
all’ombra di chi
scrivo la rima.
Quando ebbe certezza che il viaggio si sarebbe concretizzato cominciò a pensare di darne notizia in modo enigmatico. Per eccellenza simbolo di ambiguità e mistero, era la Sfinge l’opera che più la incuriosiva vedere. Nella mitologia greco-romana è un mostro alato, con corpo leonino, testa umana, coda di serpente, che propone enigmi insolubili; nella mitologia egizia ha la stessa rappresentazione, ma priva di coda e di ali. Fu così che prese forma l’indovinello che apre questo brano. Nessuno, ma proprio nessuno dei suoi amici azzeccò dov’era, e lo strano fatto si è aggiunto ai misteri che avvolgono la Sfinge.
Vari fattori motivarono la forte emozione che stava avvertendo: trovarsi in un paese ancora esotico nonostante l’invasivo turismo internazionale; esserci soprattutto grazie alla squisita ospitalità di un amico che vi lavorava; percepire il deserto anche nella sua accezione metafisica; avvertire l’odore dell’onnipotenza che un complesso architettonico come quello di Giza può esalare; avere accanto un’amica d’infanzia con cui trasformare un viaggio fisico in percorso esistenziale. Seppe che di notte, con l’ausilio di riflettori dai colori sapienti, il luogo diviene scenario per rappresentazioni dell’Aida. Il peso dell’informazione attivò scavi interiori: i ricordi riproposero un nome proprio di persona e flash di situazioni vissute in un tempo passato remoto, il tutto riconducendo alla stessa opera di Verdi.
Vicini di casa, adolescenti e amici: tre ragazze e un “frocetto”. La scelta di quest’ultimo termine è funzionale all’ambiente operaio del paesaccio in cui si svolsero i fatti di seguito narrati. Trasformò l’Aida in rappresentazione teatrale, realizzò scenografia e costumi, sua era la regia; il compito di trasformare in attrici le mocciose fu il più arduo. La maggiore o minore importanza dei ruoli da lui stesso assegnati rifletteva il diverso grado di amicizia che lo legava a ciascuna ragazza. Le prove avvenivano nella cantina del futuro pittore: un ambiente aggrappato alla roccia, dalla vista mozzafiato essendo affacciato a strapiombo su verde valle e fiume nero. Illuminato dai colori che all’epoca il giovane usava già con maestria, il locale era pieno di strumenti da falegname; ma anche di trucioli e segatura su cui, senza farsi male, potevano cadere i sogni dei quattro adolescenti.
Non ci è dato sapere perché quell’adattamento teatrale dell’Aida non venne mai rappresentato, nonostante tutto fosse stato messo a punto: dalla scenografia ai costumi, alla registrazione in musicassetta della “Marcia trionfale”, che avrebbe fatto da contrappunto alla recitazione. Nei giorni in cui il giovane artista decise di sospendere la già programmata prima della rappresentazione circolava una notizia appena bisbigliata: era stato violentato da due coetanei. Qualche tempo dopo propose alla sua migliore amica di fidanzarsi con lui. Intuendo che il giovane volesse servirsi di lei per cercare di camuffare la propria omosessualità, la ragazza gli disse no molte volte; la sua insistenza la indusse poi a prendere una decisione radicale: gli comunicò di non volerlo più vedere. Senz’altro maldestro, pur sempre opportunistico, l’atteggiamento di colui che era stato il suo migliore amico indignò talmente la ragazza che prima segò il ritratto di profilo che lui le aveva eseguito; poi lasciò che i due pezzi del dipinto affrontassero separati le intemperie; infine, per non posarci più lo sguardo nemmeno incidentalmente, procedette al rituale del fuoco: fu così che quadro e amicizia bruciarono insieme.
Trasferitosi a Roma per coltivare la sua passione, il giovane si impose come pittore, scenografo e costumista. Quella che era stata la sua migliore amica, la fidanzata mancata insomma, si allontanò un po’ più e andò a cercare sé stessa in Amazzonia. L’artista era ormai affermato quando decise di ristabilirvisi, ma non per questo il paesaccio gli portò più rispetto; durante una visita che lei fece alla madre seppe che il pittore era stato aggredito, malmenato, violentato, questa volta da un branco.
Aveva rinunciato alla promettente carriera di attrice, essendosi resa conto che la sua vera passione era la scrittura. Decise di registrare ciò che l’informazione delle rappresentazioni dell’Aida a ridosso delle Piramidi aveva in lei suscitato. Ha del portentoso il fatto che una sola frase abbia il potere di riportare alla luce plurime, lontanissime emozioni. Quando poi sono messe per iscritto, è come se le parole venissero imbalsamate e poste al sicuro all’interno di tombe, templi, piramidi: nonostante il lento scorrere del tempo che attraverserà i secoli dei secoli, si manterranno intatte e sorprendenti. Ricordò che l’amicizia tra lei e il pittore era stata edificata sulla passione di entrambi per la lettura: si imprestavano i libri di cui riuscivano a entrare in possesso; si scambiavano commenti e valutazioni con la petulanza di critici letterari; le aveva passato racconti di Edgar Allan Poe, che diceva di adorava, e lei si era costretta a leggerli nonostante il terrore che le incutevano. Sì, la scrittura può trasformare in arte anche il senso dell’orrore, le ossessioni personali, le angosce, il dolore, il mistero. Durante la stesura del presente brano ha sentito l’esigenza di rileggere qualcosa di e su Poe. Nella biblioteca pubblica ha preso in prestito i Racconti del terrore, in una edizione B.U.R. del 1950; facendo riaffiorare il ricordo delle inquietanti sensazioni provate in gioventù, il contatto fisico con il volumetto le ha regalato brividi di emozione. La ricerca bibliografica le ha fatto capire cosa l’accomuna a Poe: la convinzione che la scrittura non è ispirazione, spontaneità o improvvisazione; è la progettazione esatta, spesso ossessiva, di un’architettura verbale; è una costruzione superba composta di blocchi pesantissimi faticosamente posti uno dopo l’altro. Dei coetanei che avevano violentato il futuro pittore, uno morì prima di completare i diciotto anni; l’altro si sposò e dall’unione infelice nacque un essere complesso ed enigmatico, che per i conterranei è solo “il frocetto”; del branco, a tutt’oggi, il paesaccio non ha svelato i nomi dei componenti. Sì la scrittura può anche trasformarsi in anelito di giustizia, in denuncia di perversione e omertà, in tentativo di gettarsi nel baratro dell’animo umano al fine di capirne, almeno in parte, il mistero.
Una tomba superbamente affrescata; suppellettili che fanno arrossire i designer contemporanei; di una modernità sorprendente gli antichissimi monili; un corpo vissuto in tempo passato remoto, cui la mummificazione ha assegnato il compito di parlarci oggi; sul volto la magnificenza di una maschera dai tratti effeminati, così luminosa che ha trapassato le tenebre della sepoltura e si è appropriata del futuro. L’egittologa cui si deve il ritrovamento l’ha chiamata “Tomba dell’Amicizia”.
* Il brano “Frocetto” è uno dei capitoli del libro inedito A passo di tartaruga.
[…] Loretta Emiri Frocetto […]