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La grazia di casa mia – Marisa Cecchetti 1

Rosanna Morace in  Un mare così ampio. I racconti-in-romanzo di Jiulio Monteiro Martins (Libertà ed. 2011), scrive che l’Italiano di J. Monteiro Martins, come quello di tutta la “scrittura migrante” , negli anni ’90 ha prodotto un effetto di straniamento iniziale, qualcuno lo definiva pig Italian. E riporta le seguenti parole di una sua intervista a Monteiro: “ora invece le acque sembrano calmarsi e si può sperare in un periodo futuro di più attenzione reciproca”. Del resto Monteiro riconosce che anche la letteratura italiana sta cambiando “ con un processo sottile e sotterraneo…perché il mondo si trasforma e le lingue seguono passo passo queste trasformazioni”. Ora questo Italiano degli scrittori migranti “ha creato una corrente parallela che sembra più europea che italiana”.
Prova della sua padronanza della lingua è La grazia di casa mia,  seconda raccolta di poesie dello scrittore brasiliano, che ha lasciato il suo Paese e nel ’95  si è stabilito a Lucca. Le ragioni erano pubbliche e private, come lui spesso ha raccontato: profonda polemica con i nuovi governi corrotti del dopo dittatura, quella  dentro la quale lui era cresciuto e che ha sempre combattuto, perdita dei legami familiari più forti, quelli che lo tenevano legato alla sua terra.
La nostalgia è un elemento trasversale alla raccolta, pur  nella consapevolezza di aver chiuso una fase della vita  e di dover ricostruire tutto dalle fondamenta altrove: tu mi hai detto che ti consideri  / una donna senza storia. /“Sei il mio primo capitolo”, mi dicevi. / Ti sbagli, Yolanda. / Sei piena di storia, e io invece / sono fuori dal tuo libro: / sono elegante carta d’imballaggio in toni pastello, / e porto  il tuo libro dentro di me altrove, lontano da qui / come regalo per nuovi amici che non conoscerai mai
L’esule, che ha scelto, come lui dice altrove, il “suicidio amministrato” per uscire dalla vecchia vita, ha dovuto cimentarsi con la nuova lingua: Lasciare la favela / e riacquistare la favella. / Cantare / la favela carioca / con la favella toscana: / affabile favola.
L’appropriarsi della nuova lingua  gli permette di giocare e di sentire il peso e la bellezza dei nuovi significanti: Borborigmo birbantello. / Procacciatore. Progenitore. Profittatore. Profiterole. (dimmi un po’, / quanto ti piacciono le parole?) / Fatterello, mulinello, turbinio, risucchio, / pescecane, pisciacane, marzapane, piantagrane (ma quanto ti piacciono le parole/italiane!).
Julio Monteiro Martins sa usare la parola, del resto ha ascoltato professori come Raymond Carver, quando ha frequentato il più importante International writing program per scrittori famosi ed emergenti, a soli 23 anni, presso l’Università dello Iowa, ed ha tenuto corsi di scrittura creativa negli USA, in Portogallo, in Italia. Ha un’idea molto chiara a proposito della poesia: una poesia che si apra al mondo, che raccatti elementi dal reale, che si sporchi la mani, lacera a stracciona, che sia specchio della società: «La poesia / si vestì di tutto punto / per la grande festa della domenica, / a solo due passi da casa sua ./ Indirizzo alla mano, / si mise a camminare /tranquilla e decisa /[…] Pioveva però, / e le macchine / sfrecciando nelle pozzanghere / spruzzarono / la blusa linda stirata / di acqua sporca / mentre il fango / del marciapiede / inzaccherava l’orlo dei pantaloni».
Per il Poeta è un imperativo  morale non nascondere il vero: Sono il poeta / che ha deciso di non mentire. / Il poeta impopolare / a cui poco e rimasto / da dire. / Tre o quattro cose, / tutte cose tristi, / tutte cose vere.
C’è tanto dolore  fuori, il mondo “costruisce trappole senza scampo”,  le prospettive di una fase migliore di vita diventano fragili, il male è dovunque:  Da tanto tempo / custodisco / i miei terrori / dentro di me, / e anch’io li porto in giro / ovunque vada.
Tragedie immani come l’attacco alle Torri gemelle hanno segnato un tragico punto di svolta,  l’incertezza e la paura strisciano su tutta la Terra: Impressi nella mente / i pompieri / per le scale delle torri gemelle / a pochi secondi / dal crollo. / Tutti i nostri / ultimi giorni / in diretta dal mondo: / fiume in piena /carico di carcasse. /Che infinita / indicibile tristezza / quando penso / quanto poco tempo resta / al tanto che ho ancora da fare!
Rimane un’ illusione  quella di poter  tenere  fuori dalla porta  la Storia: Diluvio di Storia, / ti lascerò fuori, / all’addiaccio! / Il mio letto /sarà un’isola al centro / del vorace abisso. / Isola cieca / e sorda, / fatta solo / di carne viva e respiro. Il presente purtroppo è “peggio di un film trash messicano
La solitudine   incalza ormai noi “barbari cristianizzati”, seduti davanti alla TV,  ormai soli senza rimedio, incapaci di comunicare con gli altri, in un contesto desertificato. Ma c’è nostalgia di vita nei versi di Monteiro, che sente il tempo andarsene veloce e  rubargli i giorni, e c’è anche la saggezza di chi ha già visto tanto ed ha fatto tesoro della vita: Sta per scadere / la mia vita. / Eppure / solo ora ho capito / delle cose / e imparato a farne bene / delle altre. / Solo ora so amare / e godere dell’amore, / ora comincio / ad avere un’idea / chiara del mondo.
Monteiro non  nasconde l’uomo dietro parole di convenienza,  si scopre nel suo privato, senza falsi pudori: Ho visto un film stasera / alla TV / in cui un uomo muore / e lascia l’amante incinta / del suo primo figlio, / che lui non vedrà mai. / In silenzio / ho ringraziato non-so-chi / che mi ha permesso / di vivere abbastanza / per conoscere i miei. E le pareti domestiche sono garanzia di coccole e d’affetto. Il ritorno a casa  ha insieme un valore reale e simbolico, racchiude la stanchezza dell’uomo e dell’esule: Sono tornato a casa. / È cosi tardi. / Ma come facevo a tornare prima? / Dormono tutti. / Voglio dormire anch’io. / Sono esausto. /
E voglio dormire a casa.

Nella casa oltreoceano non c’è più nessuno, dormano davvero tutti. Per fortuna la poesia lo ha seguito nel Paese che ha scelto, e “l’usignolo / canterà così /tutta la notte”. E’ pur vero che non è l’uirapuru della sua terra, ma anche davanti all’usignolo bisogna fare silenzio.

L'autore

Marisa Cecchetti