Racconti e poesie

Oltre il ponte

Maddalena e Gigiona vivevano da tanto tempo insieme, sole, in una casa sperduta in mezzo ad un bosco sperduto. La ragazza andava matta per i funghi, i pinoli e le ciliegie . Ed è per questo che ogni mattina di pioggia Gigiona andava a cercarli facendo attenzione a non oltrepassare il confine. Si fermava cosi, con esattezza, di fronte alla linea d’allarme, il sentiero che portava verso la città. Questo confine si faceva più nitido per via di un albero gigantesco di ciliegie spuntato magicamente lì in mezzo. Si ergeva generosamente con dei rami potenti e larghi offrendo i suoi dolci frutti rossi al sangue a chi li desiderava.

Era giugno e quella mattina, ammirando l’albero fertile, pensava :” Col cavolo che torno a casa a mani vuote! Quanta gola mi fanno quelle piccole meraviglie succose!” . Così pensava con le braccia incrociate, il cesto posato sull’erba e la testa che guardava in su. Era ancora l’alba e oltre, la città ancora dormiva. Si sentiva solo il canto di un gufo e il fruscìo delle foglie per via della brezza mattutina. Finalmente decise. Alzò la gonna larga e si arrampicò come un serpente lento, ma sicuro. Il cesto lo aveva sistemato dietro il collo. Era leggero e, per questo, poteva guardarsi intorno. Arrivò al ramo più vicino e cavalcò disinvoltamente sopra un tronco forte e tondo. La posizione pareva ideale e cosi girò il cesto tra le gambe. Iniziò in fretta a riempirlo e non ci mise tanto . Finì prima che le cicale iniziassero a frinire e, mentre scendeva con il cesto pesante, sentì un filo di sudore scivolare dalle ascelle fino ai fianchi. Forse erano già arrivate le sette.

Giusto mentre Maddalena si stava alzando dal letto e andava di fretta a vedere fuori la finestra. Se il sole era caldo, le piaceva strofinarsi il naso sul vetro e restare cosi con il viso attaccato. In questo modo le sembrava che il vetro le schiarisse i capelli e che le scaldasse le palpebre. Scuoteva leggermente la testa e salutava con la mano una papera selvatica che si divertiva in una pozzanghera. Una volta uscita dall’acqua si mise a strofinarsi il becco tra i fili d’erba. Da lontano le roccate di sterpaie sembravano come delle macchie brunastre sopra un telaio lasciato incompleto il giorno prima . Così pareva il mondo a Maddalena mentre giocherellava con i lunghi capelli e con gli occhi controllava il ponte sul fiume.

  • Signora! – la intimidì la voce dietro le spalle.

Girò la testa per un attimo e poi volse lo sguardo di nuovo verso il ponte.

  • Maddalena! – insisté la voce
  • Che c’è Gigiona?
  • Ciliegie… – e la donna le fece vedere il cesto colmo . La ragazza aprì gli occhi meravigliata. Un forte istinto di fame la tentò ma rimase ferma per via del strillo della donna:
  • Eh no eee! Per carità! Non adesso amore mio! Dobbiamo mangiarle poco a poco. Un po’ ci serviranno a fare della buona confettura. Ultimamente scarseggiano i cibi …perciò… un po’ oggi ,un po’ domani. A pranzo cucinerò i funghi! Sapessi quanta umidità …. Oh mamma !
  • E allora? – chiese la ragazza.
  • E allora secondo me pioverà presto!
  • Eh si …

La donna sentì questo e la fissò dritta negli occhi . Poi alzò le spalle rassegnata e si mise a sistemare il letto fischiettando. La ragazza lanciò uno sguardo birichino e cominciò ad andare via vai per la stanza. L’orlo della lunga vestaglia disegnava delle rughe sulla polvere del parquet. La donna aprì le finestre e tirò fuori le lenzuola sbattendole una decina di volte. Poi le posò sull’infisso . Stava per uscire quando la voce calda di Maddalena la fermò.

  • Gigiona, che ne dici? Ritornerà?
  • Cosa? Chi? Chi ritornerà?
  • Come si fa ad aspettare così a lungo una creatura così piccola? – disse la ragazza titubante.

Era sempre così ogni volta che l’estate veniva risciacquata da piogge inaspettate.

  • Stai bene ? – le chiese Gigiona.
  • Ah – la ragazza si sedette sull’angolo del letto – Qualcosa non va…qualcuno sarebbe dovuto venire da oltre il ponte…
  • Forse dobbiamo cambiarlo … – sussurro la donna tanto per dire una.

La ragazza esclamò alzandosi in piedi:

  • Oh Dio Gigiona, chissà come è difficile vivere con me!
  • Ma no! Ma no dolcezza mia – rispose l’altra sommersa nei sensi di colpa – Viviamo meglio di tutti. Credimi. Ognuno vive come vuole …
  • Ma credi veramente – troncò l’altra – che dobbiamo cambiarlo? Intendo il ponte . Sono stanca ad aspettare ….
  • Ragazza ! Esci e respira l’aria fresca! – alzò la voce la donna – Vai a fare colazione, passeggia un po’ in cortile…è cosi bello fuori.
  • Almeno arrivasse il mio usignolo…
  • L’usignolo non ritorna mai nella gabbia! Te l’ho detto cento volte, te l’ho detto – rispose la Gigiona.

La ragazza ascoltò assente come al solito e dopo un po’ scivolò fuori scendendo le scale in fretta. Si fermò davanti alla porta e usci in cortile. La donna era convinta che non poteva andare oltre. Chiuse la porta della camera dietro le spalle e rimase in mezzo al corridoio con le mani dentro le tasche. Rimase così per un po’ di tempo. Ma appena vide il cesto sul pavimento lo riprese al braccio e scese anche lei giù verso la cucina.

***

Era notte fonda quando una strana sensazione la svegliò. Alzò la testa e di nuovo la posò sul cuscino. Chiuse gli occhi . Si concentrò meglio e riprese a dormire. Man mano il corpo si rilassò e sentì il sonno. Il letto galleggiava obbediente nel buio, e sul comodino brillava un fermacapelli e un bicchiere di acqua. Riusciva a immaginare come l’acqua tremasse leggermente dentro il bicchiere e la sensazione di qualcosa la stesse osservando fu talmente forte che aprì di nuovo gli occhi. Riprese a fissare il buio e sentì il rumore di passi venire da giù, dalla cucina. Maddalena, sussurrò come al solito. Sembrava tutto a posto e riprovò a dormire. Strinse le palpebre, ma sentì un altro rumore, strano, sommosso, come un strisciamento penoso lungo il pavimento. No, non era normale, e lei si alzò sul letto con le orecchie tese . Di nuovo quel rumore. Anzi un gemito. Un suono lagnoso sistematico e insistente. Balzò fuori dal letto e si recò in cucina in un batter d’occhio, spingendo con il gomito, senza rendersi conto, il bicchiere che cadde sul tappeto . Con sua sorpresa trovò la ragazza con la schiena a terra, gli occhi spalancati mentre si grattava la gola e si dava dei pugni sul petto . Non c’era dubbio per quello che stava accadendo a Gigiona. La ragazza stava per soffocare. Con una forza enorme la alzò di peso da dietro e fece quello che sapeva fare. Sbattè il mezzo busto della ragazza come un sacco, su e giù, con tutta la forza, senza temere di romperle le ossa, finché vide fuoriuscire dalla bocca una specie di pallottola . Si schiantò sul muro e scivolo lungo il pavimento . Sembrava un nocciolo di ciliegia . Lei rimase, cosi, stordita, con la ragazza sotto il petto e sentì il suo corpo che si stava rilassando fino allo svenimento. La spostò piano sulla poltrona vicino al frigo e la fece sedere. Poi le alzò il viso per controllare meglio. Percepì la pace e la stanchezza della ragazza. Intuì che stava per scoppiare dalle risate, così come faceva di solito quando si rendeva conto che si era salvata per un pelo . Infatti così fece. Scoppiò della risate in lacrime . Le lacrime andavano a mischiarsi con delle righe di sangue sotto gli angoli delle labbra. Andò avanti un po’ così finché incominciò a tossire. Doveva avere la gola sanguinante. Gigiona immaginò un po’ come sarebbe andata. Probabilmente lei si era svegliata di notte come una zombie e, golosa com’era, si era precipitata in cucina per cercare delle ciliegie sotto il lavandino. Poi, di sicuro, ne aveva inghiotte due o tre assieme . Ah, poveretta. Gigiona prese uno strofinaccio e le pulì il viso . Poi mise un dito su una goccia color rubizzo sotto le labbra e l’assaggiò . Succo di ciliegia. Oh grazie a Dio, sussurrò, grazie a Dio che mi svegliò. Prese la ragazza per le braccia e la aiutò a rialzarsi. Salirono le scale e lei la accompagnò fin dentro la stanza . La mise sul letto e lasciò accesa la luce di neon . Poi si dirisse verso la sua camera e appena dentro sentì i piedi immergersi nell’acqua calda. Si infilò nel letto. Dalla stanza accanto udì la voce debole della ragazza che cantava la sua ninna nanna:

“La mia testa viaggia di notte

la mia bambola ha le gambe rotte,

la la la,quant’è bello qua… “

Continuò così per un bel po’ finché entrambe caddero nel sono profondo.

* * *

Apparvero le prime goccioline di pioggia intrecciate dentro la luce fiacca del mattino come se fossero delle frecce appuntite sulle tegole del tetto, Gigiona stava prendendo il primo caffè forte e zuccherato. Mentre sorseggiava e scrutava il cielo tra la montagna e il bosco, le sembrò di intravedere una silhouette maschile attraversare il ponte. Rimase impietrita con la tazzina di caffè in mano. Sistemò istintivamente i capelli dietro la nuca e mise la tazzina sul lavandino. Poi tremando leggermente sussurrò:

  • E adesso?

Uscì fuori . Aveva visto bene. Si stava avvicinando un uomo. Un uomo con un ombrello in una mano e un dossier nell’altra con addosso pantaloni grigi e un pullover bianco. Mentre si dirigeva verso la casa, l’uomo osservava sbigottito intorno . Poi si fermò un paio di metri davanti alla casa e la donna avanzò verso lui di soli tre passi :

  • Buongiorno! – sentì la voce un po’ soffocata dell’uomo.

Lei salutò semplicemente con la testa e l’altro abbassò gli occhi per un attimo spulciando dei documenti del dossier. Poi li rialzò e disse :

  • Siamo dell’ufficio censimento … Siete in due … – e di nuovo la testa sulle carte – Si? Abitate in due qui?

La donna annuì con un cenno di capo.

  • Dov’è l’altra? – chiese l’uomo e poi aggiunse – Avete dei documenti?

Domandò questo e ascoltò curioso il modo in cui Gigiona rispose :

  • La signorina sta dormendo! Non abbiamo i documenti. Tutti persi! Qual’è il problema?
  • L’appropriazione illegale della casa…questo è il problema! – riprese a parlare l’uomo – I proprietari hanno avuto una soffiata. Rientreranno dalla Norvegia tra pochi mesi . Non vogliono crearvi problemi . Però dovete liberare la casa entro fine mese. Lasciate tutto com’era. Ok?- poi sussurrò un po’ nervoso – Beh,è vero che in Albania è un casino ma non può andare sempre così… Come avete fatto a vivere qui senza farvi vedere? Non avete pagato niente ! Dieci anni, niente! Nascoste dal mondo. Ma come fate a vivere così? Di spirito santo ? Ok! – e la voce diventò più decisiva – Fate come potete ma…
  • Basta! – lo fermò lei infastidita – Consegnatemi i documenti necessari e andate prima che si svegli la ragazza. Non potete capire …

Tutto d’un tratto l’uomo diventò un bambino impaurito e frastornato . Girò la testa e vide il ponte, la pozzanghera con la papera che lo guardava disinteressata . La veranda rifletteva la montagna e le sterpaie bagnate. C’era una vecchia sedia di legno nel cortile. La donna con addosso il grembiule non sembrava né giovane né vecchia . Aveva delle mani rosse e grandi, i capelli tutti raccolti dietro la nuca come un bocciolo di rosa al cioccolato . Sulle labbra le si vedevano due strisce nere di caffè. Gli occhi lo stavano fissando con delusione e amarezza. Poi sentì come se una sirena d’allarme le suonasse da dentro pancia. Si piegò senza rendersi conto di quello che stava per fare e mise i documenti per terra .Non ebbe il coraggio di tenerli in mano o di infilarli dentro la tasca del grembiule dal quale sarebbero pesi come in una bocca aperta . Scappò in fretta . Attraversò il ponte e sparì tra gli alberi, i tronchi e i sentieri umidi. La donna sentì da lontano il rumore sordo di una macchina. Poi niente. La pioggia diventò più densa e le goccioline messe assieme battevano sui vetri. “ Ma come avete fatto a vivere così …? – echeggiavano le parole dell’uomo. Ripeté un paio di volte la frase finché si sentì fulminata da una memoria nitida. Ricordò contemporaneamente sia l’ultimo pranzo del fratello, sia la storia della finestra rotta. Per primo Todi , mentre spirava con gli occhi spalancati verso il soffitto e le braccia lasciate cadere sul lenzuolo bianco con fiorellini blu. Una mano appoggiata sul grembo e l’altra appena un po’ più giù. Il letto era alto e da sopra si vedeva a malapena il corpo magro del fratello . Però neanche un segno dalle unghie lunghe , le ciglia e le sopracciglia che crescevano smisuratamente. Nessuno poteva tagliarle,e in fondo non aveva più senso. La testa del letto guardava verso la parete con il comò color pesca . Sopra era appeso lo specchio ovale di mezzo secolo scheggiato lungo i bordi . Lui voltava gli occhi sia verso lo specchio vecchio , sia verso il soffitto candido come la panna. Non doveva soffrire più di quanto aveva già sofferto .Ed infatti dopo tre giorni di agonia si spense come un coniglietto avvelenato con la icona di Santa Naun che le figlie gli avevano attaccato stretta al petto. Era notte fonda quando morì e, come tutte le agonie, al morto scivolò una lacrima lungo il viso fino al collo. Gigiona lo aveva baciato proprio sulla fronte ed aveva soffiato con le labbra i capelli bagnati dal sudore dell’ultimo respiro. Sapevano d’origano e basilico.

L’altra storia, quella della finestra rotta era uno di quei vecchi episodi successi a Vito , alla sua amica d’infanzia e alla sua bambina di nove anni. Aveva a che fare con le due sorelle gemelle, le vicine di casa del piano di sotto. Una di loro morì d’un colpo macinando i chicchi del caffè appena tostati. L’altra sentì dall’altra parte della casa un rimbombo sordo nel cuore e automaticamente si recò in cucina. Trovò sua sorella con la testa posata sul tavolo e con il macina-caffè sopra le ginocchia che cadde improvvisamente sul pavimento con un rumore acuto. Aveva appena compiuto cinquantacinque anni. Lo stesso giorno del funerale, la sera tardi, la gemella rimasta sola bussò con forza alla porta di Vito. Le disse qualcosa con la voce bassa. Poi insieme scesero le scale senza accorgersi della bambina, Maddalena, che le seguiva con i suoi passi piccoli, ma veloci e con in mano il suo elefante di gomma. Entrarono nel corridoio e sentirono il suono ritmico di un qualcosa d’invisibile che andava battendo sopra i mobili, come se una grossa farfalla saltasse e li urtasse alla cieca in cerca di una via d’uscita. Continuò così per un bel pezzo finché il rumore si spense sulle tende leggere della finestra del balcone. La tenda si sgualcì come se degli artigli la tenessero stretta e con un ritmo decisivo, una sorte di movimento graffiante, fece gli angoli delle tende a brandelli, a pezzi. Dopodiché, da sopra il vetro della finestra si sentì un altro forte e insistente urto. Una picchiata nervosa. Vito fece due passi in avanti. Aprì con forza le finestre e contemporaneamente un’ altra forza spalancò i battenti esterni . Si sentì un sospiro liberatorio. Poi il silenzio. “ Che bello… ” sussurrò una vocina da dietro di loro. Solo allora videro la bambina, la guardarono sbalorditi e lei alzò le spalle come per dire:”Bello! No? Non bello? ”. Aveva contemplato tutto passivamente con l’elefante tirato per il grugno rosa. Quel giorno aveva addosso la gonna nuova con piccole farfalle violette e una canottiera bianca che risaltava l’abbronzatura delle braccia magre con quel segno del vaccino sulla spalla sinistra, come una nuvoletta grassa. I capelli erano sempre corti per evitare i pidocchi ,ma la bambina trovava sempre un modo per creare una piccola coda sopra la testa minuta. Il ricordo si fece ancora piu chiaro,nitido come il bianco immerso nel nero . Dopo dieci anni le vennero in mente le urla della gente, gli spari dei fucili , il via vai delle macchine con sopra sacchi di farina e di zucchero. Persone che andavano a piedi o in bicicletta con oggetti sopra le spalle,quasi tutti coperti di polvere . Poi le urla di quella ragazza violentata dietro l’angolo del panificio, le strade soffocate nel buio con solo qualche filo di luce debole delle candele , i ragazzini e gli anziani con le armi in mano. “Ma chi aprì i magazzini militari nel 1997 ? “ sussurrò. Oh Dio,aveva seppellito tutto . Le rapine, gli imbarchi verso Bari e Lecce, le bande spuntate come dei funghi ad ogni angolo della strada. Rinfrescò con la pioggia le tempie bollenti, poi le guance. Dopo la morte di una delle gemelle, Vito giaceva sul letto agonizzante per via di una malattia lugubre. Le restavano pochi mesi di vita. Respirava con difficoltà fissando con gli occhi pieni di lacrime la sua unica figlia. Maddalena aveva solo nove anni. Dal loro balcone si vedeva dal palazzo di fronte Alì, un anziano accomodato su uno sgabello di plastica che sparava divertito per aria con un kalashnikov ingoiando bicchierini di grappa a dismisura. Contemporaneamente sentì uno sparo e le urla di Maddalena attaccata al corpo di Vito. Si accorse che il vestito della bambina era imbevuto di sangue. Apparentemente calma, l’aveva tirata piano e le aveva controllato ogni centimetro del corpo senza trovare niente. Avrebbe continuato di nuovo se non fosse per Maddalena che aveva indirizzato il suo ditino tremante verso il petto di Vito. É allora che la donna vide quel piccolo buco mortale sul petto della donna, in mezzo ai seni. Da li sgorgava una riga magra di sangue . Si sentì svenire mentre girò la testa fuori balcone e vide Ali con gli occhi sbarrati verso di loro, in piedi con il kalashnikov in mano. Si capiva chiaramente che l’aveva colpita per sbaglio. Lei non fece caso all’uomo che in un lampo si buttò giù dal balcone. Non sentì il rumore del corpo straziato in cortile. Neanche le urla della gente sotto. Sapeva solo che da quel momento in poi lei era morta, come la sua amica. A malapena riuscì a ricordare la bambina che con una pazienza divina aveva preparato delle piccole borse. L’aveva presa per mano e spinta fuori dall’appartamento verso le scale. Sapeva di aver viaggiato a piedi , ore e ore, giorni e giorni. Di aver attraversato città, villaggi, boschi e campi. Troppi campi e, tanti villaggi mezzi distrutti pieni d’immondizia agli argini dei fiumi. Non sapeva però, come fossero arrivate fino a qui. Non sapeva nulla. Si sentiuva vuota , come sgusciata. Nella sua nudità la donna sentì una fitta nel cuore e un freddo lacerante. Vide il cielo e sentì un palpito di ali sul petto. Sapeva che quella massa grigia lassù sarebbe diventata ancora più scura, e forse per questo,o per un’altra ragione, una goccia di pioggia come l’ultima lacrima del morente cadde sulla carta, e tentò di scolorire laddove era scritto con la macchina da scrivania : 10/10/2007.

L'autore

Gentiana Minga

Nata 12 aprile 1971 Durazzo (Albania). Laureata in Storia e Filologia a Tirana(Albania) nel 1993.
Ha lavorato come professoressa di lingua e letteratura albanese, bibliotecaria e giornalista professionista per diverse testate albanesi.(Koha jone,Rilindja e Kosoves,Studenti,Drita ecc ecc). Poetessa e scrittrice, ha pubblicato: Autopsia del disastro (racconti e novelle – 1993 – Ed. Europa – Tirana, Albania), La signora di Scutari (poesie – 2003 – Ed. Florimont – Tirana, Albania), Abbracciata dalla luce (traduzione in albanese dall’italiano – 2003 – Ed. Medaur – Albania). Pubblica tutt’ora cicli poetici e racconti in diverse riviste letterarie.
Collabora con Enmigrinta, bollettino on line, Alto Adige come redattrice per la sezione di Bolzano, con “Poeteka” ,tre – mensile letterario albanese, e con altre testate e siti multiculturali . Attualmente vive a Bolzano .dove partecipa in diversi progetti culturali e multi culturali.